Dream Theater + more @Rock The Castle – Villafranca di Verona, 5 luglio 2019

Il 10/07/2019, di .

Dream Theater + more @Rock The Castle – Villafranca di Verona, 5 luglio 2019

Luglio 2019. Con il Firenze Rock ad aver scelto quest’anno di strizzare l’occhio a una audience – forse – più vasta ma di sicuro meno metallara, l’immaginario testimone d’acciaio di festival “erede” del Gods of Metal è tornato in pianura Padana, fermandosi tra le antiche mura medievali del Castello Scaligero di Villafranca. Un evento quindi da mesi oramai sulla bocca (ma per fortuna anche e soprattutto sulle orecchie) dei vari lettori del nostro portale, motivo per cui non potevamo mancare a questa piacevole kermesse metallica.

Prima però di gettarci nel racconto delle prodezze (chi più e chi meno) effettuate sul palco dalle varie band protagoniste dei tre giorni di festival, ci prendiamo solo qualche riga per una veloce analisi dell’organizzazione, punto spesso dolente di questi eventi. In realtà, quest’anno il bilancio è per noi decisamente positivo: location suggestiva e senza eccessivi problemi di capienza, una logistica tutto sommato buona per code e attese varie e soprattutto un prato ben tenuto al posto delle temutissime griglie di asfalto (parcheggi Rho/Assago) o distese di fango (ippodromi) cui ci è capitato di presenziare anche negli ultimi anni. Un soluzione, insomma, che ha visto certo qualche scontento ma in generale anche abbastanza cenni d’assenso, cosa che sui social è sempre più difficile vedere.

È dunque con una sensazione di approvazione che subito dopo il nostro arrivo ci siamo apprestati ad assistere alle prestazioni delle varie band assegnate a questa prima giornata, sulla carta dedicata all’aspetto più concettuale e complesso della musica che amiamo. Ad aprire le danze ci pensa come da tradizione una band nostrana –  i ferraresi Levania –  che se anche di progressive in realtà hanno un po’ poco, di sicuro non si fanno mancare la voglia di rimboccarsi le mani e cercare di mostrare le loro capacità. Lo show non vive di troppi highlight ma non è nemmeno scarso; e la loro miscela di gothic e metallo alternativo alla Lacuna Coil riesce comunque a infiammarsi a tratti, acceso dalle scintille provocate dalle voci contrapposte di Marco e Elena, i due vocalist. Come sempre con gli opener è difficile valutare la proposta musicale in solo mezzora, ma come dicevamo l’approccio e la presenza sul palco tutto sommato ci sono, e di sicuro abbiamo apprezzato il tentativo di divertirsi sul palco nonostante lo scarso pubblico presente.

Con i Kingcrow invece ci viene più facile parlare anche della proposta musicale e non solo della presenza scenica… un po’ perché seguiamo la band (su disco e dal vivo) da veramente tanti anni, un po’ perché la scaletta è stata scelta in maniera secondo noi davvero azzeccata; ma le varie ‘Drenched’, ‘The Persistence’ e soprattutto ‘The Moth’ ci convincono senza remore, riproposte sul palco con professionalità e potenza, e graziate da suoni tutto sommato più che buoni. Colpisce sempre lo sguardo il bassista Nifosì- presenza calamitante al centro dello stage – mentre la voce di un Marchesi davvero in palla e le alchimie chitarristiche intessute  dal bravo Cafolla sono la vera carta d’identità della band, insieme ai ritmi spezzati ma precisi del drummer Thundra. Anche qui la risicata mezzora di spazio risulta insufficiente a cogliere un impressione più che fugace per chi non conosce la band. Tuttavia, per noi che come dicevamo li ascoltiamo da un po’, rincontrare i Kingcrow è sempre un piacere.

Cambio di stage, e la curiosità per la band successiva sale… non tanto per la band in sé quanto per il genere proposto: un hard rock purpleiano che di progressive ha proprio poco. Degli outsider? Una band finita lì per sbaglio? Queste domande, benché legittime, si rivelano ben presto di poco conto, non appena i colorati e istrionici cinque musicisti membri degli Inglorious fanno il proprio ingresso sullo stage. Le fiamme che avevamo visto solo a sprazzi con i Levania qui si innalzano violente già dal primo pezzo: col giovanissimo chitarrista de la Cruz a strappare sguardi ammirati con pose e un’aspetto da novello Slash, mentre tutto il resto dell’aspetto energetico dell’intero show pesa però sulle larghe spalle del veterano frontman Nathan James. Il bravo vocalist infatti –  tra acuti davvero degni di nota, una simpatica e un carisma esuberanti e una  certa facilità a stare sul palco – si rivela subito il vero mattatore dello show, quaranta minuti di musica che mischiano i già citati Deep Purple con gli Whitesnake e la band di Uli Jon Roth, di cui lo stesso James ha fatto parte in passato. Poco adatti alla giornata dicevamo? Sì, tutto sommato lo pensiamo ancora, ma c’è anche da dire che sono band come gli Inglorius che ci ricordano che – a prescindere da tutto – se anche hard rock e progressive sono oramai linguaggi diversi, il vocabolario di origine comunque e sempre in comune.

Purtroppo non abbiamo parole così belle da spendere sui Mono. Per noi, infatti, sono la vera delusione della giornata. Da un lato c’è da dire che – colpevolmente – non conoscevamo troppo bene la proposta della post rock band giapponese, ma già sapevamo che il loro show sarebbe stato in qualche modo ostico, solo non ci aspettavamo tanto. Invece la combinazione di una musica decisamente fuori dalle nostre corde, di una proposta puramente strumentale priva di qualsivoglia voce o coro, e dell’ora pomeridiana non adatta alle suggestioni psichedeliche e stranianti proposte ci risulta davvero letale, facendoci risultare inverosimilmente pesante l’intero show. Bravi certamente lo sono; anzi, diremmo addirittura geniali nelle loro distorte e allucinate trame chitarristiche; ma tutte queste qualità della loro musica, proposte di giorno, al caldo e sotto il sole invece che in cuffia di notte, si sciolgono come neve d’estate, lasciando dietro di se solo un senso di fatica che non chiedevamo a questa giornata di festival. Qualcuno che li applaude in realtà c’è, ma sinceramente gli sguardi smarriti ci sembrano la maggioranza sui sorrisi. Il punto è che lo show dei Mono ci è parso sinceramente buttato, non tanto per demerito della band, quanto semplicemente perché non capito dalla maggior parte dei presenti.

Tutt’altra ricezione troviamo invece per gli Haken, beniamini tanto attesi da molti dei presenti. La band inglese, in effetti, non sbaglia un colpo da… mai, e la qualità universalmente alta dei loro cinque dischi ha fatto sì che negli anni un discreto seguito si sia raccolto attorno al loro corto monicker. Lo show esplode subito con l’intro ‘Clear’ e la potente ‘The Good Doctor’, due brani che insieme a ‘Nil By Mouth’, ‘Veil’, ‘Puzzle Box’ e ‘A Cell Divides’ rappresentano sia l’80% dello show e che di ‘Vector’, il disco attualmente in promozione. Pazienza dunque se rimane ovviamente poco spazio per le hits del passato che vorremmo sentire (‘Cristallized’,’Paraedolia’); la qualità di questo ultimo lavoro è così alta da non strappare praticamente alcun brontolio da parte dei fan, i quali invece risultano invece  alquanto estasiati dalle abilità incredibili sfoggiate dai singoli. Incredibile da questo punto di vista il vocalist Jennings, bravo live quanto su disco (davvero!), da assoluti applausi la coppia di solisti Griffith e Tejeida ma soprattutto devastante il batterista Ray Hearne, davvero l’anello mancante tra l’uomo e il robot, preciso e potente come un improbabile incrocio tra lo stile di Mike Mangini, la precisione di Ray Herrera dei Fear Factory e la possanza di George Kollias dei Nile. Una roba incredibile! Anche qui, i minuti sono pochi, ma con la qualità della musica proposta questi passano se possibile ancora più in fretta, e lo show ci sembra iniziato davvero da poco, che già invece stiamo cercando di riposarci durante il cambio palco, in attesa della band successiva…

La quale, puntuale al minuto sulla scaletta comunicata si presenta sul palco alle 20 in punto. Sfondo psichedelico dalle impossibili figure intrecciate, luci roteanti sul palco e sei musicisti sul palco; così si presentano a noi gli inglesi Tesseract, pronti come non mai ad introdurci alle sonorità in qualche modo più estrema del progressive metal. Chiamatelo djent, chiamatelo modern progressive metal, chiamatelo come volete, ma i Tesseract oramai hanno fatto di un sound intricato ma non complesso, denso di atmosfere oscure ma non soffocanti, il proprio biglietto da visita, e grazie ad esso di sicuro si candidano a band tra le più originali e meno derivative della intera giornata. Nel loro vivere di equilibro tra opposti i Tesseract stupiscono continuamente: a tratti cullano il pubblico con distorsioni e suggestioni quasi aliene, a tratti scuotono la colonna vertebrale dei presenti con furiosi stacchi ritmici, a tratti invece ci fanno partecipare a mani alzate come una consumata band hard rock. Dei mille volti della talentuosa band inglese in questa serata ne vediamo diversi, e nessuna mai noiosa o ripetitiva. Anche qui lo show (lungo oramai un oretta) ci scorre piacevole e leggero, solo un po’ più impegnativo rispetto agli Haken per via di un approccio un po’ più incompromissorio alla musica; e di sicuro alla fine dell’ora a loro disposizioni non possiamo che dirci sempre più soddisfatti da questa prima giornata di festival.

Perfetti sulla tabella di marcia, i tanto attesi headliner Dream Theater si presentano alle 21.30 sul palco del Rock The Castle. E subito lo show viene aperte dal robusto riff di ‘Unthetered Angel’, l’ottima opener dell’album attualmente in promozione, davvero ben accolta dai presenti, che iniziano subito a cantare e scapocciare al ritmo della band. I suoni  – soprattutto quelli di Petrucci e Myung – si rivelano in realtà fin da subito piuttosto buoni, purtroppo però già da questo primo brano cominciamo a temere che per quanto riguarda il bilanciamento e il suono in generale della voce le cose invece non andranno così bene. LaBrie gracida e gracchia infatti dietro al microfono, con la voce che esce dai coni nasale e distorta, decisamente male prodotta soprattutto sulle note basse, proprio quelle che su disco il cantante canadese invece mostra di prendere ancora bene. Le cose non migliorano con ‘A Nightmare To Remember’, capolavoro del 2007 durante il quale però il divario tra la resa spettacolare – di Petrucci e Rudess e quella, tentennante a essere buoni,  di laBrie  si allarga ulteriormente, cominciando a strappare, almeno nella nostra zona, i primi commenti infastiditi. Anche stavolta però a lasciarci l’amaro in bocca sono più i passaggi rilassati e melodici, che non quelli impegnativi o acuti, quelli che potevamo immaginarci avrebbero dato i maggiori problemi. Invece è proprio  la pessima resa sonora a distorcere oltremodo la timbrica di James, arrivando al punto da rendere a tratti quasi irriconoscibile la sua voce. ‘Fall Into Light’ riporta per fortuna le cose sui binari giusti, e anche i problemi con la produzione delle linee vocali sembrano un po’ ridursi, per sistemarsi poi in maniera quasi definitiva sulla successiva ‘Peruvian Sky’, brano da sempre apprezzato dal pubblico dei Nostri. ‘Barstool Warrior’ è il terzo estratto dell’album nuovo, un pezzo davvero di qualità, ed è la giusta rincorsa prima che parta la complessa e veloce sezione strumentale introduttiva di ‘In Presence Of Enemies, Pt. I’ il momento che per quanto ci riguarda ha rappresentato il vero clou dello show. Le storiche ‘The Dance Of Eternity’ e ‘Lie’ sono gli omaggi che i Theater fanno ai loro primi quindici anni di carriera e come ci si poteva immaginare vengono accolte calorosamente da tutti i presenti, scorrendo rapidamente prima che la suite ‘Pale Blue Dot’ e la conclusiva ‘As I Am’ mettano il punto di chiusura sull’intera serata. Un giudizio sull’esibizione? Be’, oramai siamo convinti di poterci anche esimere dal trarne uno. I Dream Theater sono in assoluto la band che abbiamo visto più volte dal vivo, e abbiamo smesso oramai da anni di aspettarci il cosiddetto “show della vita”, quello che ci potrebbe raccontare qualcosa di diverso da quanto abbiamo già visto in altre occasioni, in altre location, in altri periodi della nostra vita. Tutto sommato, però, i cinque del Teatro del Sogno il loro lavoro lo fanno sempre, e l’ora e mezza dedicata a seguirli per quanto ci riguarda risulta sempre ben spesa. Con ancora nelle orecchie il vibrante assolo di ‘Peruvian Sky’ e i mirabolanti intrecci di ‘In Presence Of Enemies’ risaliamo in macchina, soddisfatti sia dello show che della giornata in generale.

FOTO DI ROBERTO VILLANI

Leggi di più su: Dream Theater, TesseracT, Haken.