L’importanza di chiamarsi Beatles (anche per il metal)

Il 24/10/2016, di .

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L’importanza di chiamarsi Beatles (anche per il metal)

Quando si vanno a setacciare le origini del metal sono tante le band che vengono tirate in ballo, dai Led Zeppelin ai Black Sabbath arrivando addirittura agli Steppenwolf. Difficilmente esce il nome dei Fab Four, eppure l’influenza di John Lennon e soci sui più svariati gruppi metal è tangibile…

Di GIULIO BELZER

Ricordo molto bene un certo pomeriggio della seconda metà degli anni ’90: ero in un’aula dell’Accademia di Belle Arti e stavo disegnando svogliatamente quando sentii un mio compagno di corso appassionato di musica metal che, chiacchierando con altri ragazzi, iniziò a denigrare i Beatles e le loro canzoni pop melense e stucchevoli. Allora ero un tipo molto più riservato e introverso di quanto sia oggi, quindi mi guardai bene dal partecipare alla discussione. Ma dentro di me friggevo. Morivo dalla voglia di spiegargli che in realtà quei brani avevano ispirato e influenzato molti dei suoi idoli e che quindi erano in qualche modo finiti anche nei dischi che ascoltava ogni giorno, come d’altronde in tante altre registrazioni prodotte dagli anni ’70 ad oggi. Sì perché, senza arrivare agli estremi lirici di William Burroughs (che dichiarò che i Fab Four erano “agenti evoluzionari inviati da Dio per creare una nuova specie”), ancora oggi posso affermare in tutta serenità che la musica degli ultimi 40 anni non suonerebbe come suona oggi senza il lavoro di quei quattro ragazzi (e il fondamentale apporto di George Martin). Metal compreso. Intendiamoci, non voglio dire che i Beatles hanno inventato il genere (come a volte si legge in giro), ma che hanno gettato alcuni semi che sono stati colti e portati a maturazione da altri grandi musicisti.
Uno di questi semi originari si trova nell’intro di ‘I feel fine’, che presenta il primo feedback di chitarra mai inciso su vinile (battendo sul tempo lo stesso Hendrix): una novità assoluta per l’epoca, un suono riproposto successivamente nel finale di ‘Penny Lane’ e (con un risultato decisamente più moderno e fragoroso) all’inizio di ‘It’s all too much’. Suoni di chitarra particolarmente saturi si possono ascoltare anche nella versione su 45 giri di ‘Revolution’ (grazie all’uso del fuzz-tone e alla registrazione realizzata in collegamento diretto con il banco di regia), in ‘Yer blues’ e negli assoli di ‘Taxman’ e ‘Happiness is a warm gun’. Ma la chitarra non era l’unico strumento a venire processato in maniera pesante durante le sessioni di registrazione ad Abbey Road. Per rendersene conto, basta ascoltare il suono profondo e risonante di alcune batterie ottenuto con accordature “lente” dei tom, compressioni e registrazioni realizzate a velocità accelerata per ottenere un effetto più potente una volta mandato il nastro magnetico a dei giri più lenti (ascoltate ‘Rain’ o ‘Tomorrow never knows’ per avere un’idea di questa tecnica). La stessa ricerca di suoni nuovi che ha ispirato queste registrazioni, ha portato i quattro di Liverpool a soluzioni molto sperimentali per gli anni ’60, ma che oggi costituiscono uno standard per i generi musicali più estremi. Come non citare ‘Think for yourself’, con il suo basso distorto (oggi un tratto distintivo del metal) o alcune equalizzazioni particolarmente metalliche dello stesso strumento presenti in pezzi come ‘Helter skelter’? Già, ‘Helter skelter’, ci siamo arrivati. Il brano beatlesiano proto-metal per eccellenza, scritto da Paul McCartney con l’intento di realizzare qualcosa di più pesante e rumoroso di ‘I can see for miles’ degli Who. La registrazione della canzone presente nel ‘White album’ è un vera miniera d’oro di soluzioni e suoni heavy: chitarre in drop D suonate con power chords, batteria dal suono potente e profondo, il già citato basso metallico e la voce tirata fino a quegli acuti che negli anni successivi sarebbero diventati un marchio di fabbrica del metal. Ma un altro brano è forse ancora più strettamente legato alla nascita di questo genere: ‘I want you’. Il cupo incedere delle progressioni chitarristiche nella coda della traccia fu un vero e proprio campanello d’allarme per le orecchie di un turbolento giovane di Birmingham: John Michael Osbourne, detto Ozzy. In realtà il giovane musicista era già stato folgorato alcuni anni prima da She loves you, pezzo che gli chiarì le idee su quale sarebbe stata la sua futura occupazione: la musica. Ma il suono oscuro e potente del brano contenuto nell’album Abbey Road ebbe la capacità di indicargli la rotta stilistica, suggerendogli il mondo tetro e pesante che avrebbe messo in musica insieme ai suoi Black Sabbath. Ozzy non fu l’unico musicista metal ad essere stato influenzato dai quattro di Liverpool.
Il fatto che la sorella maggiore di Dave Mustaine si chiamasse Michelle, ad esempio, spinse il musicista ad approfondire la conoscenza dell’omonimo pezzo dei Beatles: un ascolto che lo segnerà per sempre. “Venni catturato dal fatto che cantavano in francese” dichiarò il cantate e c’è chi è pronto a scommettere che questo ebbe una certa influenza nella composizione di ‘A tout le monde’. Inoltre la tecnica chitarristica nel suonare certi accordi sospesi cambiando solo la tonica, presente in alcuni brani dei Fab four, venne assimilata da Mustaine e proposta in molti pezzi dei Megadeth.
Ma ci sono gruppi che hanno reso omaggio alla musica degli Scarafaggi in maniera ancora più esplicita, inserendo nel proprio repertorio alcune cover dei loro grandi successi. E’ il caso dei Deep Purple e delle loro memorabili versioni di ‘We can work it out’, ‘Help!’ e ‘With a little help from my friends’, o di Ian Gillan con la sua ‘Helter skelter’, rifatta anche dai Motley Crue. Gli americani Trouble hanno rivisitato ‘Come together’ in chiave doom metal e i fuoriclasse Helloween hanno trasformato il twist di ‘All my loving’ in un energico power metal. Anche i grandissimi Scorpions non potevano rimanere indifferenti ai nostri 4 e il loro omaggio di ‘Across the universe’ li conferma ancora una volta i numeri uno nelle ballad .Gli attualissimi Ghost hanno inciso una versione quasi irriconoscibile ma affascinante di ‘Her comes the sun’ e gli svizzeri Coroner si sono cimentati con la già citata ‘I want you’. Infine, come non citare il personaggio forse più carismatico del movimento metal, Lemmy dei Motorhead con la sua ‘Back in U.S.S.R.’? Addirittura c’è chi ha intitolato un proprio disco citando un famoso album beatlesiano, portandolo, però, al suo opposto cromatico: vi ricorda qualcosa “The Black Album”? Una citazione resa ancora più fedele dal fatto che, anche in questo caso, il titolo ufficiale del disco sarebbe in realtà il nome del gruppo che lo ha inciso: Metallica. Metallica che qualche anno fa si fondono profondamente con i Beatles nell’universo trasversale dei divertenti Beatallica, ovvero Jaymz Lennfield, Grg Hammetson, Kliff McBurtney e Ringo Larz, capaci di unire le due band attraverso irresistibili tracce come ‘The Thing That Should Not Let It Be’ o ‘All You Need Is Blood’. E se musicisti come Rob Halford affermano che Sgt. Pepper è una pietra miliare, Gene Simmons arriva addirittura a dichiararsi “figlio dei Beatles”. E questi non sono che i casi più clamorosi e autorevoli.
Come dicevo, i Beatles non hanno inventato il metal, ma (con buona pace del mio vecchio compagno di studi) hanno influenzato molti artisti metal e, più in generale, con i loro esperimenti hanno suggerito alcuni degli sviluppi della musica che sarebbe nata negli anni a venire. Nella loro carriera non solo hanno giocato con i generi più disparati, ma sono arrivati addirittura ad anticiparne di nuovi.
Mi sto accorgendo di quanto questo sia vero da quando ho iniziato a suonare nei Beatzone, un progetto acustico in cui ci divertiamo a rivedere i brani dei Fab four con arrangiamenti nuovi, ispirati ai più svariati generi musicali (blues, bossa nova, reggae, funk rock, bluegrass e altro). Durante le nostre prove, più di una volta abbiamo avuto la netta sensazione che il nuovo “vestito” che stavamo cucendo sul brano in realtà fosse sempre stato lì, già presente nel pezzo originale, come una misteriosa traccia segreta nascosta nel mixaggio, registrata durante una di quelle straordinarie sessioni agli Abbey Road Studios. Chi volesse sapere di più sul nostro progetto, può venire a trovarci all’indirizzo https://www.facebook.com/beatzonegenova . Anche il mio vecchio compagno di corso.

THE FAB TEN

L’interessante articolo di Giulio Belzer, un autentico Beatles-maniaco, è stato spunto per un divertente giochino all’interno della redazione di Metal Hammer. Abbiamo indetto un sondaggio per stilare la nostra personale Top 10 di cover beatlesiane firmate da gruppi puramente metal, e le sorprese non sono di certo mancate:

1. ‘Helter Skelter’ – Motley Crue
2. ‘I Want You’ – Coroner
3. ‘Here Comes The Sun’ – Ghost B.C
4. ‘Eleanor Rigby’ – Pain
5. ‘Come Together’ – Trouble
6. ‘Hey Jude’ – Black Label Society
7. ‘Day Tripper’ – Whitesnake
8. ‘Lucy in the Sky with Diamonds’ – The Black Crowes
9. ‘Helter Skelter’ – Spite Extreme Wing
10. ‘Revolution’ – Running Wild

Ma ne sono rimaste fuori tante, dai nostri Labyrinth e la loro versione di ‘Come Together’ alla psichedelica ‘I Am The Walrus’ rifatta dagli Styx, da ‘It’s All Too Much’ dei Journey alla versione alternativa di ‘Come Together’ proposta dai Soundgarden. Ma sono ancora moltissime le cover dei Beatles rifatte in chiave metal, qualcuna ci è sfuggita, altre non le abbiamo considerate…se volete mettervi alla prova e dire la vostra, il gioco è aperto, noi siamo qui…

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