Machine Head – track-by-track di ‘Catharsis’

Il 12/01/2018, di .

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Machine Head – track-by-track di ‘Catharsis’

I Machine Head li avevamo lasciati ormai ben quattro anni fa con il precedente (ed acclamato) ‘Bloodstone & Diamonds’, erano quindi attesi ad una prova del fuoco viste le tante attese ed aspettative del loro pubblico. Noi abbiamo ascoltato per voi questo nuovo ‘Catharsis’, un album che rappresenta certamente una cerniera nella loro carriera, un nuovo inizio dove nuovi elementi sono stati inseriti e che sono parte integrante (nonché fondamentale) del loro sound. Contaminazioni stilistiche vicine al rap o al modern rock ad esempio, un groove metal che oggi si presenta in maniera differente rispetto a quanto il quartetto statunitense ci aveva abituato in passato, più melodia e meno ‘attacchi frontali’ che apriranno più di una discussione tra i loro fans (e non solo). Lungi da noi criticare a priori le loro scelte stilistiche, ci siamo avvicinati in punta di piedi ai quindici (avete letto bene….) pezzi qui inclusi: produzione di primissimo livello come sempre, esecuzioni tecniche che non sono da meno ma che trova una nostra critica ha in un eccessivo minutaggio complessivo e nelle scelte stilistiche che in alcuni frangenti hanno lasciato per lo meno sorpresi. Molti gli ascolti che però ci hanno lasciato basiti ed interdetti, ad essere onesti. Ma basta con le chiacchiere, immergiamoci più a fondo negli abissi del nuovo ‘Catharsis’: bombole, pinne e maschera ci sono…si comincia…

Volatile
Primo brano in scaletta che al grido di ‘Fuck The World’ comincia le danze con un up tempo cadenzato ma diretto, liriche taglienti come il riffing selvaggio e chirurgico. L’elemento melodico è ben presente nell’arioso chorus che però smorza in maniera troppo decisa il carattere arcigno e schizofrenico di un brano che avrebbe meritato un chorus più pieno e possente. Le chitarre del duo Flynn / Demmel disegnano assoli armonici che saranno un pò il filo conduttore dell’intero disco, uno dei tratti migliori e salienti delle quindici composizioni presenti. In sostanza ‘Volatile’ rappresenta ‘l’opener che ti aspetti’ anche se rispetto a ‘Now We Die’ contenuta nel precedente ‘Bloodstone & Diamonds’ sfigura, e non poco. I ritmi sono alti ma il modo in cui questa è stata confezionata lascia un pò l’amaro in bocca, ci si sarebbe aspettati un po’ di più dalla ‘penna’ di un esperto Rob Flynn.

Catharsis
A seguire subito la title track con il suo mellifluo ed etereo intro fin dalle cui battute iniziali Rob Flynn prende per mano la situazione conducendo bands e fans in una canzone che rappresenta un pò quello che sembra il nuovo corso dei Machine Head. I ritmi si abbassano notevolmente rispetto all’iniziale ‘Volatile’, ci troviamo di fronte ad una mid tempo nella quale il chorus è stato sapientemente ‘costruito’ con una notevole chiave melodica che spiazza un pò durante i primi ascolti.

Beyond The Pale
Secondo estratto del disco dal lontano novembre, di questo brano si è già detto tutto ed il contrario di tutto a partire da quei ‘richiami’ agli Strapping Young Lad, suona quasi superfluo dover approfondire un brano già di dominio pubblico. Ma sottolineare però come sia uno dei migliori episodi di ‘Catharsis’ pare doveroso, godibile, coraggiosa, mai pedestramente banale e con quelle twin guitars che disegnano un soloing di pregevole fattura.

California Bleeding
California Bleeding’ è un altro brano dal grande potenziale inespresso. Il suo inizio è qualcosa di tellurico, possiede al suo interno quel germe violento che aspetta solo di deflagrare. Ed invece ci si perde con un cantato troppo morbido ed inespressivo per tutta la sua durata, aperture melodiche che non incidono. L’uso degli armonici smorza ulteriormente il mood, unica nota positiva il breve solo di chitarra, ispirato ad impreziosire un brano che non rappresenta in alcun modo un valore aggiunto di una track list troppo prolissa.

Triple Beam
A volte mi faccio prendere da sensi di colpa, bisogna essere open minded ed ascoltare senza paraocchi, chissà che da ogni brano si possa trovare nuova linfa con idee rivitalizzanti. Ma sentire Robb Flynn che si cimenta con un cantato al limite del rap forse per i Machine Head è troppo. O meglio, con il ritmo sincopato e troppo frastagliato di Triple Beam ci si perde, è un esperimento che forse tra il pubblico statunitense, maggiormente propenso alle contaminazioni musical culturali, potrebbe trovare seguito ma qui nella Vecchia cara Europa sa tanto di accozzaglia, un insieme sonoro senza né capo né coda.

Kaleidoscope
Kaleidoscope ricalca almeno nella parte iniziale quello che i Machine Head sono stati fino ad oggi, un suono diretto e groovy che nei primi trentacinque secondi colpisce in pieno volto e che si smorza piacevolmente in un chorus mellifluo e melodico che si badi non deve essere declinato con l’aggettivo zuccheroso. Saltellanti ed ispirati gli ultimi due minuti con batteria effettata, accenni di ripartenze a mille all’ora per evolversi in altri momenti melliflui. Interessante.

Bastards
Inizio classicheggiante e chitarra classica spiazzano l’ascoltatore per quella che possiamo considerare come una vera e propria ballad. Ora, anche i Disturbed realizzarono nel 2016 una (apprezzatissima) cover di ‘The Sound Of Silence’ con risultati positivi, quindi nessuna preclusione. Ma questo brano sembra autoindulgente e pretenzioso, dalle forti tinte modern rock più che groove metal, in alcuni frangenti si scivola addirittura in rigoli folk che rimandano ai Pogues. Lungi dal voler criticare a prescindere tutto ciò che contenga la parola ballad ci troviamo di fronte sconcertati ad una canzone che non decolla mai nonostante l’urgenza comunicativa del buon Flynn.

Hope Begets Hope
Finalmente un brano che convince dall’inizio alla fine, un connubio interessante tra vocals graffianti e pulite, un solo per così dire classico ed ispirato, stop and go che non ci si stufa di ascoltare a ripetizione. Quando la melodia viene incastonata perfettamente in un nuovo tessuto sonoro per i Machine Head le cose si fanno inaspettatamente gradevoli.

Screaming At The Sun
Inizio orientaleggiante, quasi etereo come è il suo sviluppo ‘Screaming At The Sun’ nonostante tutto è però ancorata al classico riffing che li ha resi celebri e grazie al quale vengono seguiti con interesse da moltissimi fans sparsi per il globo. Momenti altamente evocativi ed arcigni si alternano ad altri dove l’urgenza comunicativa del buon Flynn viene meno anche se bisogna sottolineare l’ottima prova vocale di quest’ultimo.

Behind A Mask
Come è stato per la precedente ‘Bastards’ eccoci nuovamente al cospetto di un altra ballad, una canzone acustica dove ravvisiamo echi degli Opeth, Flynn condivide le parti vocali con il bassista Jared MacEachern che possiede delle buonissime doti canore. Molto meglio dell’altra ballad in scaletta, ‘Behind A Mask’ è più classicamente ballad, ha una struttura più definita andando direttamente al sodo senza perdersi in inutili preziosismi, gli arrangiamenti sono mirati ed utili a rendere la canzone ottimamente ascoltabile (nonché apprezzabile). Pollice su.

Heavy Lies The Crown
Incentrato sul personaggio controverso del Re francese Luigi XVI, come a sottolineare corsi e ricorsi storici l’inizio e la fine del brano sono contraddistinti da un ammaliante nonchè interessante arrangiamento di archi, un inizio ‘comandato’ da un Rob Flynn che canta in maniera decisa ma quasi sottovoce, con tono sommesso prima di deflagrare nel loro classico groove metal ricalcando il periodo di ‘Unto The Locust’. Certo, i quasi nove minuti di durata sono un lasso temporale molto ampio nel quale i Machine Head cercano di donare una dinamica ben definita al riffing ed al progredire di un pezzo che risulta essere fluido nonostante, come detto, il minutaggio non sia dei più ‘sintetici’.

Psychotic
Chissà cosa avranno ascoltato ultimamente i Machine Head per costruire un altro brano fortemente influenzato da un cantato al limite con il rap…definirlo groove metal o comunque ‘inserire’ la parola metal suona francamente come qualcosa di troppo, di immeritevole ed irriguardoso per coloro che dalla parola metal si aspettano ben altro. Chitarroni spessi ed incisivi, quasi psicotici come il titolo potrebbe suggerire non salvano uno degli episodi meno riusciti dell’intero disco. Forse qualche brano in meno facendo spazio alla qualità sarebbe stato meglio…

Grind You Down
Non per rimarcare la mia non più adolescenziale età ma tanti anni fa c’era un presentatore televisivo che esordiva ogni tanto con ‘la domanda nasce spontanea’…perchè??? Ma perchè inserire una canzone come ‘Grind You Down’ dove ad una parte cantata ‘pulita’ di Jared MacEachern fa da contraltare delle ‘rapping vocals’ che onestamente non hanno nè capo nè coda. E lo diciamo con il massimo rispetto, ci mancherebbe. Ma quasi brilla maggiormente il cantato di MacEachem che riecheggia il modern rock dei Theory Of A Deadman, più apprezzabile rispetto a quanto viene proposto nel resto del brano. Non basta un riffing metal classico intorno al minuto numero due per risollevare le sorti di una canzone anonima.

Razorblade Smile
Deo gratias. Finalmente dopo quasi un’ora possiamo ascoltare un pò di metal, quello classico che rimanda timidamente ai Priest condito da un thrashy riffing che Flynn non ha fatto fatica a confezionare, quasi ricordandosi d’improvviso di aver fondato e militato nei Vio-lence che della scena thrash bay area furono una gradevole mina vagante. Pezzo asciutto, arrangiamenti ridotti al minimo come il minutaggio complessivo (solamente quattro minuti), è l’unico invito del disco ad innalzare un rito propiziatorio al Dio Metallo. Gradevole, forse un pò scontata ma pensando a quanto già ascoltato, ci troviamo di fronte ad uno dei migliori pezzi di ‘Catharsis’, una piacevole rasoiata.

Eulogy
Di ‘Bastards’ abbiamo già ampiamente detto…questa ‘Eulogy’ non è niente altro che una sua versione ancora più rallentata e quasi industrial in alcuni frangenti da essere quasi fastidiosa, se già il ‘brano originario’ era qualcosa che difficilmente avremmo tradotto con il termine capolavoro, figuriamoci con questa versione assolutamente…inutile. Molto meglio limitarsi ad inserirla come bonus track per qualche special edition, almeno ci saremmo lasciati con un buon ricordo dovuto alla precedente ‘Razorblade Smile’. Così han deciso Flynn & Co, non possiamo che rispettare la loro scelta artistica che però in maniera altrettanto onesta non condividiamo. Un macigno di ben sei minuti, superfluo aggiungere che peggior conclusione non poteva essere fatta.

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