Metal Cinema (11) – Midsommar

Il 28/08/2019, di .

Metal Cinema (11) – Midsommar

Dopo il fulminante esordio di ‘Hereditary’ (2017), il giovane cineasta newyorchese Ari Aster prova ad alzare l’asticella con un’opera concettualmente e stilisticamente più ambiziosa che, pregna di sottotesti psicologici e sociali, risulta forse meno immediata- e riuscita- ma anche più coraggiosa e suggestiva.
Reduce da una tragica vicenda familiare, la studentessa universitaria Dani Ardor – impeccabile l’interpretazione della bella Florence Pugh, dotata di una fisicità insolita rispetto agli standard tipici di bellezza femminile per questo tipo di film – parte per un viaggio in Svezia col suo ragazzo, Christian – con il quale è in crisi – e alcuni suoi amici. Il gruppo è diretto in una comunità ancestrale, dove ogni 90 anni si svolge un pittoresco festival di mezza estate. In un crescendo di misteri, allucinazioni lisergiche ed eventi sinistri, tale esperienza si rivelerà ben presto un vero e proprio percorso esoterico di “morte” e rinascita.

In un crescendo di misteri, allucinazioni lisergiche ed eventi sinistri, tale esperienza si rivelerà ben presto un vero e proprio percorso esoterico di “morte” e rinascita.

Aster psicanalizza il rapporto di coppia e le dinamiche familiari attraverso la metafora dell’horror folkloristico- rimandando inevitabilmente ai modelli ‘The Wicker Man’, ‘The Wicker Tree’ e ‘2000 Maniacs’, con qualche eco del ‘Suspiria’ di Guadagnino – e sublima il dolore di una tragica perdita filtrandolo attraverso i catartici e atavici riti pagani del vecchio mondo. Il gore non manca ed è in gran parte concentrato nell’inquietante sequenza del sacrificio consensuale degli anziani, in cui nulla viene lasciato all’immaginazione. L’incastro tra regia, montaggio e soundtrack – quest’ultima spesso dissonante e disturbante – rasenta la perfezione e, talvolta, gode di un geniale approccio subliminale. Resteranno a lungo impressi nella memoria lo straziante prologo, la lunga danza finale (splendidamente diretta e coreografata), l’attacco di panico collettivo e il bizzarro rituale di magia sessuale.

Aster sublima il dolore di una tragica perdita filtrandolo attraverso i catartici e atavici riti pagani del vecchio mondo.

Aster dimostra così, per la seconda volta, di avere le idee molto chiare e, pur mettendo a tratti troppa carne sul fuoco, si riconferma un autore personale, libero e con più di qualche cosa da dire sull’elaborazione del lutto, sull’amore, l’amicizia, sui rapporti familiari e sull’ipocrisia insita nella società moderna. Ad avercene. Chapeau.