Metal Cinema (12) – C’era una volta a… Hollywood

Il 26/09/2019, di .

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Metal Cinema (12) – C’era una volta a… Hollywood

L’uscita di un nuovo film di Tarantino è sempre un evento; lo è fin dai primi anni ’90, quando un giovane e ancora sconosciuto cinefilo di Knoxville rivoluzionò la grammatica cinematografica ed entrò di diritto nella storia della Settima Arte. Da allora lo stesso aggettivo “tarantiniano” è stato inserito in tutti i vocabolari, a indicare uno stile e un linguaggio filmico personalissimi e ben precisi che, nel corso degli anni, hanno fatto crescere a dismisura la fortuna e la fama del cineasta americano, garantendogli, alla stregua di una vera e propria rockstar, milioni di irriducibili fans sparsi per tutto il globo. A quattro anni di distanza dal cupo e pessimista ‘The Hateful Eight’, quindi, era inevitabile che si generasse ovunque un’attesa spasmodica anche per quest’ultima sua ispiratissima creatura: ‘C’era una volta a… Hollywood’.

L’aggettivo “tarantiniano” è stato inserito in tutti i vocabolari, a indicare uno stile e un linguaggio filmico personalissimi e ben precisi.

Hollywood, 1969. Rick Dalton è l’ex protagonista di una popolare serie western; ormai in declino, cerca di tirare avanti tra alcolismo, qualche ruolo minore e il sostegno del suo fedele amico, nonché sua inseparabile controfigura: Cliff Booth. Dalton scopre di essere il vicino di casa di una delle coppie più famose del mondo del cinema: Sharon Tate e Roman Polański. Passano i giorni e si avvicina sempre di più la notte del 9 agosto 1969, quella del terribile massacro di Cielo Drive ad opera della famiglia Manson.
Dopo una prima parte dal ritmo rilassato – colma di raffinato metacinema, sentiti omaggi ai modelli del regista e divertite autocitazioni- il film esplode letteralmente in un tripudio inaspettato di tensione, umorismo, grottesca violenza e fiabesca poesia. Tarantino dichiara così il suo immenso amore per il cinema di genere e sublima la fine di un sogno- e di un’epoca- proiettandone l’ideale prosecuzione in una dimensione alternativa, dove l’innocenza e lo stupore sono ancora possibili. Allo stesso tempo redime la tragicità della storia e la filtra coerentemente attraverso il suo tipico linguaggio, riuscendo nel difficile compito di emozionare, commuovere e divertire nell’arco di una sola sequenza (in tal senso davvero geniale è lo splendido ultimo atto, in cui succedono cose che in mano a chiunque altro sarebbero state insopportabili). Di una bravura pazzesca la coppia di protagonisti, anche se Brad Pitt ruba spesso la scena a Leonardo DiCaprio e, dando vita a uno dei personaggi più belli usciti dalla penna del regista, azzecca la migliore interpretazione della sua carriera. Sensuale e luminosa come non mai Margot Robbie che, oltre a dare corpo e anima all’angelica Sharon Tate (e a bucare lo schermo in più occasioni), incarna l’idea stessa della bellezza e della necessaria ingenuità della fantasia. Inutile soffermarsi sul magistrale valore tecnico-formale e sul perfetto e variegato cast di contorno, in cui spiccano Al Pacino, Kurt Russell, Bruce Dern, Dakota Fanning e il compianto Luke Perry.

Il film esplode letteralmente in un tripudio inaspettato di tensione, umorismo, grottesca violenza e fiabesca poesia.

C’era una volta a… Hollywood è forse il film più maturo di Quentin Tarantino e, in barba a una parte delle critica che ha voluto stroncarlo per moda, sterile moralismo politico o imbarazzante incompetenza, è davvero il caso di dirlo a voce e testa alta: se non è grande cinema questo, allora il grande cinema non esiste. Capolavoro e passaggio obbligato per chiunque abbia ancora voglia di sognare.