I migliori 10 dischi dei Blind Guardian secondo Metal Hammer Italia

Il 28/04/2020, di .

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I migliori 10 dischi dei Blind Guardian secondo Metal Hammer Italia

Nel giorno della celebrazione del ventiduesimo compleanno di ‘Nightfall In Middle Earth’ (28 aprile 1998), apice della carriera oramai trentennale dei Blind Guardian, come Metal Hammer non potevamo certo esimerci dall’omaggiare quel grande lavoro (come anche tutti i suoi predecessori e successori) in qualche degno modo su questo portale. La scelta è ricaduta sulla classifica dei dieci album migliori, formato in cui il nostro Dario Cattaneo è piuttosto ferrato.
Riviviamo quindi insieme a lui i dieci capitoli della storia della band, scoprendone personalità e peculiarità, e soprattutto percorrendo dall’inizio alla fine la strada che ha portato questi quattro volenterosi e coraggiosi ragazzi di Krefeld a ridefinire grazie con la propria musica parametri e canoni dell’intero genere power metal. 

10. ‘Follow The Blind’ (1989)

Cominciamo questa classifica da qui anche se la carriera dei bardi di Krefeld iniziò discograficamente un anno prima con il debutto ‘Battallions of Fear’. Perché così in basso un album che – a conti fatti – risulta sicuramente essere importante per lo sviluppo della carriera della band ed addirittura fondamentale per inquadrarne l’evoluzione artistica? Beh, andando subito al punto visto che di spazio nelle retrospettive non ce ne è troppo, il concetto che possiamo sintetizzare è che ‘Follow The Blind’ sia un disco di transizione. Di fatto, quest’album è composto da due anime ben distinte: troviamo brani tipicamente heavy-power come ‘Hall Of The King’, ‘Fast To Madness’ e ‘Beyond The Ice’ che sono fortemente ancorati al sound del debutto il cui stile era quello che si stava di fatto già lasciando; ma ci sono anche passaggi importanti che tutti i fan conoscono e che dal vivo vengono suonati sempre come ‘Banish From Sanctuary’ e ‘Valhalla’. Si gioca certo sul velluto: nessuno direbbe mai che quest’album, così pregno della personalità dei Blind da rappresentarne il cambiamento nella maniera più sincera possibile, sia ‘brutto’; di fatto però risulta difficile affezionarcisi veramente proprio per via del fatto che un’anima o l’altra in qualche modo finisce per urtare contro l’approccio che si avverte durante l’ascolto. Si vuole ascoltare il power senza compromessi del debutto o si ha già la testa ai Blind del periodo successivo? Qualunque sia la vostra domanda, ‘Follow The Blind’ non può rispondere in maniera completa. Eppure, lo dicevamo, è innegabile che abbia al suo interno alcune perle…a parte le due già citate bombe ‘Banish’ e ‘Valhalla’, anche la title-track mostra spunti interessantissimi di uno stile più completo ed elaborato in grado di rendere la canzone unica, anche in un album fatto di fazioni ben delineate. Anche ‘Damned For All Time’ risulta centrata (e forse anche un pelo più oscura rispetto ai brani del debutto) ma di fatto è solo una rumorosa testimonianza di uno stile che si stava per abbandonare. Lo ascoltiamo ancora spesso e volentieri, ma in una classifica ragionata come questa, l’ultimo posto è a nostro avviso meritato.

09. ‘Battallions Of Fear’ (1988)

A pochissima distanza da ‘Follow The Blind’ troviamo il debutto dell’anno precedente, ‘Battallions Of Fear’. Copertina bruttina, suoni ‘imperfetti’ ma tanta voglia di fare del proprio meglio. Già, questo si sentiva da subito ed in maniera netta. Il suono è certo debitore della scuola tedesca griffata dei primi Helloween ma già allora nessuno poteva parlare di sound derivativo o di sudditanza stilistica, la band di Kai Hansen era solo – come immaginabile per ragazzi al debutto – una salda fonte di ispirazione. E – sempre a proposito di fonti di ispirazione – già su queste prime tracce col monicker definitivo (prima il quartetto suonava sotto il nome di Lucifer’s Heritage) si trovano forti i primi richiami alla grande letteratura che li renderà così amati in seguito: il maestro Tolkien (‘By Gates Of Moria’, ‘Gandalf’s Rebirth’) e anche Stephen King nella auto-dedicata ‘Guardian Of The Blind’. Come facilmente intuibile avendo letto il paragrafo precedente il risultato risulta essere sicuramente grezzo ma più uniforme e compatto rispetto a ‘Follow The Blind’, qualità che non finiremo mai di riconoscergli. ‘Majesty’ è una grande opener, ‘Trail by The Archon’ un epico strumentale di nemmeno due minuti ma che mette in mostra l’importanza che i lick solisti e l’alchimia tra Olbrich e Siepen avrebbe rivestito in seguito nel loro sound più elaborato mentre ‘Run For The Night’ si merita fin da subito la palma di futuro classico della band. Il disco è uniforme, veloce e in your face, non conosce rallentamenti o virate stilistiche ma secondo noi la personalità così marcata della band era già intuibile. La cosa più bella di ‘Battallions’ è proprio questa, partendo da una base certo derivativa come il power degli Helloween riesce comunque a farci capire che lo spunto a guardare l’orizzonte lontano, in fondo i Blind ce l’hanno sempre avuto.

08. ‘Beyond The Red Mirror’ (2015)

Salto in avanti nel tempo ed arriviamo all’ultima canonica uscita discografica (non consideriamo tale il progetto con la Twilight Orchestra), album ambiziosissimo e curatissimo ma che non siamo mai riusciti personalmente ad apprezzare pienamente. Partiamo dai pregi che giustificherebbero una posizione più alta in classifica…innanzitutto è un album punta in alto, quello in cui i quattro di Krefeld si sono spinti più ‘in là’. Difficile immaginare nei Blind Guardian un sound più barocco di questo, cori più pieni unito ad un approccio marcatamente pomposo. Conseguentemente, è un album che mostra un lavoro di composizione e produzione enorme, minuzioso ed attento ad ogni dettaglio. I testi sono curatissimi narranti una storia completa e interessante mentre il package utilizzato è molto sontuoso. Ci sono pezzi più che ottimi come l’iniziale ‘The Ninth Wave’ che è una sorta di ‘Sacred’ ancora più spinta anche se non è nemmeno possibile imputare quello che è il difetto principale dell’album: la prolissità. Si toglie spesso importanza ad elementi che sono stati sempre in primo piano nella discografia dei Blind (i duelli di chitarre, il tono acuto di Hansi, la fruibilità immediata dei pezzi anche più pesanti) sostituendoli con strati e substrati di orchestrazioni, tastiere ed arrangiamenti che forse nemmeno Holopainen avrebbe osato tanto. Di fatto quest’album condivide il difetto di ‘Follow The Blind’ pur risultando su un livello di qualità diverso risultando essere per certi versi sbilanciato. In alcuni frangenti gli arrangiamenti sembrano troppo forzati, non sempre i brani più complessi avrebbero bisogno di quella complessità per colpire al cuore come fanno gli altri dischi dei Blind. ‘Twilight Of The Gods’ lo fa e la ascoltiamo spesso, ‘The Holy Grail’ ci ricorda la band del decennio ‘95-’05, anche ‘The Edge Of Eternity’ si pone come un ponte con la carina ‘Fly’ da ‘A Twist In The Myth’. Ma le altre canzoni? ‘The Throne’ manca di irruenza, ‘Sacred Mind’ è forse addirittura noiosetta ed ‘At The Edge Of Time’ è poco fruibile con il suo guardare a brani come ‘And Then There Was Silence’ senza averne l’afflato vincente. Personalmente, ci piace anche meno rispetto ai due grezzi esordi ma non riconoscerne la cura, l’ambizione ed i pregi citati sopra sarebbe una punizione troppo grossa per un album che comunque dipinge in maniera sincera i Blind Guardian come sono oggi.

07. ‘A Twist In The Myth’ (2006)

Album che esce in un periodo difficile che deve simbolicamente raccogliere i pezzi della rottura che i Blind apportarono del 2002 con ‘A Night At The Opera’, disco che appunto apriva le strade ad un nuovo sound che non tutti i fan digerirono almeno nell’immediato. In un periodo in cui appunto non si capiva in che direzione si sarebbe mossa la band e come avrebbero fatto senza un membro fondatore come Thomen (forse non importante a livello compositivo ma l’abbiamo sempre trovato importantissimo dal punto di vista della dinamica), i Blind riuscirono comunque a dare una risposta che non suonava come il solito “colpo al cerchio e colpo alla botte”. Il disco infatti recupera parte del sound precedente ‘A Night At The Opera’ non rinnegando quasi niente di quell’album, anzi aggiungendo forse anche altri elementi che concorrono a renderlo comunque un album unico all’interno della discografia dei Bardi. Il piatto è ricco e non ci delude nemmeno ora a 15 anni di distanza… ‘This Will Never End’ e ‘Straight Through The Mirror’ saziano il bisogno dei tempi di punti di riferimento che guardassero ai capolavori della decade precedente, ‘Fly’ abbraccia sonorità più moderne perpetuando il bisogno di evoluzione e di ricerca di Kursh & soci, ‘Skalds And Shadows’ riporta in auge i toni medievali e cavallereschi che facevano la gioia di chi adorava ‘A Past And Future Secret’ mentre ‘Otherland’ e ‘Turn The Page’ sono semplicemente….belle. C’è spazio anche per qualcosa di più proggy (‘The Edge’) e per una ballad più atipica (per loro) come ‘Carry The Blessed Home’. In definitiva l’album risulta inaspettatamente vincente perché in grado di rivolgersi alle due compagini di una fan base un po’ spaccata senza ipocrisie tentando poco oneste “operazioni nostalgia”. La mano i quattro musicisti la tendono ad ambi i bordi della spaccatura e di fatto questo album rimarrà sempre un ottimo ponte tra i Blind degli Anni ’90 e quelli attuali.

06. ‘A Night At The Opera’ (2002)

Come abbiamo sostenuto nel paragrafo precedente questo è stato certamente l’album dello scandalo. Un pò forte forse parlare di scandalo ma sicuramente, soprattutto per i tempi in cui uscì ‘A Night At The Opera’ diede ai fan dell’epoca uno scossone notevole. Atteso spasmodicamente più di ogni altro album mai pubblicato dalla band, aveva l’ingratissimo compito di raccogliere lo scettro di ‘Nightfall…’, un lavoro che – come vedremo – si può ben dire accontentò tutti. Quando quindi uscì questo successore la sua eccessiva ampollosità, l’uso esasperato dei cori anche nelle strofe e l’approccio inedito a liriche ed arrangiamenti provocò una crisi di rigetto forse anche giustificata, la quale fece si che per anni il nome dell’album si ricoprisse di quell’aura di disco poco riuscito che lo accompagna in parte anche ora. Adesso però, a distanza di quasi un ventennio, è secondo noi il caso di rivalutarlo almeno nella qualità oggettiva facendogli scavalcare tutti i dischi che abbiamo descritto prima in questo articolo. ‘A Night At The Opera’ è infatti un lavoro bello. Ha una suite, ‘And There Was Silence’ che – volenti o nolenti – è il tronco principale dal quale si sono diramate in seguito le varie amatissime ‘Sacred’, ‘Nine Waves’ etc. Ha pezzi aggressivi (‘Battlefield’, ‘Soulforged’) che sotto al peso dei cori e controcanti mostrano pienamente la fruibilità e l’epicità dei vecchi Blind, quelli che nel 2002 mancavano come il pane. Ha pezzi forse addirittura eccezionali come ‘Sadly Sings Destiny’ (una delle favorite di chi scrive) ed un’opener forte che fu una buona dichiarazione di intenti come ‘Precious Jerusalem’ che con cori elaboratissimi mette subito in chiaro che quello non sarà un disco come quelli sentiti fino a quel momento. In definitiva l’album gronda personalità grazie a scelte forti ed un’ostentata sicurezza nei propri mezzi; forse all’epoca tutta questa convinzione fu vista come arroganza o pomposità, adesso la possiamo riconoscere per quello che era rivalutando di fatto questo bell’album e dandogli il posto che gli compete all’interno di questa classifica.

05. ‘At The Edge Of Time’ (2010)

Nel 2006 ‘A Twist In The Myth’ aveva teso una mano ai fan rimasti al di là del ponte dopo il controverso ‘A Night At The Opera’. Ma una volta riportati dalla propria parte, cos’era necessario fare per non perdere gli esuli di nuovo per strada? Era difficile dirlo nel 2010, tutto sommato i quattro Bardi non sbagliarono dando alle stampe questa release. ‘At The Edge Of Time’ è in effetti un ottimo lavoro saldamente ancorato all’estetica dei Blind Guardian post ‘A Night At The Opera’ ma privo di spigoli o eccessive ruvidezze per chi li amava da sempre. In parole povere ‘At The Edge Of Time’ mostra allora come oggi al proprio pubblico quello che gli piace di più rimanendo sempre però coerenti con le scelte dell’ultima decade. Le lunghe suite accusate otto anni prima di eccessiva pomposità non vengono messe nel cassetto ma anzi raddoppiano, alla splendida ‘Sacred World’ si affianca una più intricata – ma altrettanto valida – ‘Wheel Of Time’, dovutissimo omaggio alla famosa serie di Robert Jordan. Un profondo inchino al passato più illustre lo troviamo con ‘Tanelorn (Into The Void)’ che omaggia nel migliore dei modi il quasi omonimo capolavoro presente su ‘Somewhere In Time’. Con ‘Ride Into Obsession’ si spinge sull’acceleratore come non lo si faceva da almeno due album (grandissimo Ehmke!) mentre con la splendida ‘The Voice In The Dark’ si dà il benvenuto senza ripianti ai nuovi Blind, quelli messi a fuoco sul precedente ‘A Twist In The Myth’. Filler? Forse sì, ‘Valkyries’ non acchiappa come le altre ma rimane comunque un brano di pregevole fattura. Il resto è composto comunque da brani sopra la media, tra i quali vale comunque la pena di citare la più pensosa ‘Road Of No Release’ (melodie davvero a fuoco) e ‘Control The Divine’, killer song da studio come sul palco. Senza cedimenti di sorta, dei ‘nuovi’ Blind è sicuramente il disco che preferiamo, e il suo posto è qui subito a ridosso della irraggiungibile top four.

04. ‘Tales From The Twilight World’ (1990)

Si entra in zona hot ma quest’album targato 1990 è qualcosa di più di un semplice quarto classificato. Non a caso, se chiedessimo di fare una top 10 simile a questa retrospettiva ad un centinaio di fan, non ci stupiremmo di trovarlo più volte anche al primo posto. Dal canto nostro, per chi scrive è inferiore giusto di quel tanto che basta per perdere l’aggancio al podio ma solamente a causa di qualche sporadico punto un pò più acerbo rispetto ai suoi tre diretti concorrenti. Ma diciamolo subito, ‘Tales…’ è sicuramente un capitolo spettacolare nella carriera dei quattro di Krefeld. ‘Traveler In Time’ il cui testo è basato sul ciclo di ‘Dune’ di Herbert è già capolavoro, un piccolo manuale di cinque minuti su come i Blind di inizio anni ’90 intendano il power metal. ‘Welcome To Dying’ picchia duro sul collo dell’ascoltatore come anche ‘Goodbye My Friend’ e ‘Tommyknockers’, fieri rappresentanti della parte più violenta e primitiva del disco. I cori ai Blind Guardian sono sempre piaciuti ma qui si comincia a vedere la forma dello stampo che genererà sotto questo aspetto così tanti capolavori in futuro: ‘Lost In The Twilight Hall’ è stata cantata a squarciagola da migliaia di ugole metallare nel corso di questo trentennio, ‘The Last Candle’ è il brano che diventerà in futuro il fulcro dell’interazione band-pubblico in tutti i concerti che verranno: in ogni modo li si guardi, questi due brani sono e saranno sempre punti cardine dell’intera carriera della band. E che dire di ‘Lord Of The Ring’? Non sappiamo nemmeno immaginare quante volte le nostre voci si siano alzate accompagnando quelle strofe iniziali “There are signs on the ring – Which makes me feel so down”. Ripetiamo, non fosse per il fatto che i tre album che stiamo per descrivere hanno una punta di maturità o cura in più, saremmo qui a parlare di un top di classifica.

03. ‘Somewhere Far Beyond’ (1992)

Nel 1992, a distanza quindi di pochi anni dal grandioso predecessore, esplode la bomba. ‘Somewhere In Time’ irrompe sugli scaffali del mercato in tempi avidissimi di uscite nel settore ma da quel momento si moltiplica sui platter di tutti i fan. L’album perfetto era arrivato. E perfetto lo è ancora, visto che di difetti non si riesce proprio a trovarne. La doppietta iniziale ‘Time What Is Time’ e ‘Journey Through The Dark’ non lascia scampo e la velocità è la più alta mai toccata dalla band: soprattutto sul secondo brano, la mera rapidità esecutiva affiancata ad una simile potenza sui tamburi e sulle casse da parte di Stauch era quasi incomprensibile. Certo, il decennio dopo sarebbe arrivato Zimmermann ma nel 1992 il buon Thomen come ‘martello’ era assolutamente il top per questo genere. ‘Theater Of Pain’ ammanta il sound di un’oscurità che veste benissimo il rammarico espresso dalle toccanti lyrics arrivando subito al binomio killer dell’album: ‘The Quest For Tanelorn’ e ‘Ashes to Ashes’, indistruttibili bandiere della perfezione raggiunta dai Guardian nel coniugare pura potenza power a chorus tra i più memorizzabili e cantabili mai sentiti. L’autocelebrativa ‘The Bard Song: In The Forest’ è ancora il vessillo per eccellenza del ‘fan singing’, tanto più che innumerevoli volte l’abbiamo sentita cantare prima ancora dell’inizio dei loro concerti ancora in coda per entrare nel palazzetto. Non c’è nemmeno bisogno di ascoltarsi le cornamuse eroiche di ‘The Piper’s Calling’ e la conclusiva, splendida, title-track per dare un giudizio… siamo già ufficialmente nell’ambito della leggenda….

02. ‘Imaginations From The Other Side’ (1995)

Se ‘Somewhere Far Beyond’ si poteva considerare come un album perfetto, ‘Imaginations…’ gli strappa una posizione per l’importanza storica: visto oggi a venticinque anni di distanza, il vero cardine della discografia dei Blind è questo disco dalla bellissima e stra-conosciuta copertina con lo specchio. Se il predecessore era infatti un disco ben riuscito per la sua musica, questo quadra il cerchio su tutti gli altri aspetti: produzione, liriche, profondità, dettagli… l’impressione è che Hansi e soci abbiano preso il già bellissimo album precedente e l’abbiano… arricchito. Non abbellito, arricchito. Reso più ricco. La quantità di dettagli e di sfumature ed il coraggio delle scelte che sono state fatte sono incredibili. Non è da tutti aprire un album con un pezzo difficile e spigoloso come la title-track facendolo apparire come se fosse l’unica scelta possibile. Non è da tutti inserire in questo brano di soli sette minuti un’intro oscura con le campane, una sfuriata chitarristica senza freni, una strofa dal sapore quasi progressive, una parte centrale con nervosi ed impensabili stacchi di batteria ed un ritornello che – pur non essendo veramente tale – entra in testa al primo ascolto. I pezzi più veloci non fanno prigionieri, ‘I’m Alive’ ed ‘Another Holy War’ sono classici senza tempo; il lento ‘Past And Future Secret’ detta nuovi standard per il futuro di questo tipo di canzoni mentre le rimanenti ‘Bright Eyes’, ‘Morderd’s Song’ e soprattutto ‘Script For My Requiem’ scavano a colpi di cori massicci, intrecci chitarristici e possenti colpi di rullante la strada per l’immortalità. E tutto questo prima che un altro pezzo bellissimo dal sapore quasi progressive dal titolo ‘And The Story Ends’ faccia calare il sipario con una classe e fini intuizioni che anche solo sei anni prima non sembravano nemmeno prevedibili.

01. Nightfall In Middle Earth’ (1998)

Al primo posto di questa classifica troviamo ‘Nightfall In The Middle Earth’, il punto più alto toccato (finora? Ci piace sperarlo…) dai Blind Guardian. Un album di quelli che fanno scritto la storia, di quelli destinati a rimanere lì in cima, non imitati da nessuno, nemmeno da chi l’ha composto in prima battuta. Quanti dischi assomigliano nella realizzazione, nelle liriche, negli intenti e nel risultato finale a ‘Nightfall’? Nessuno. Non diciamo che sia il disco più bello di sempre, si entrerebbe nel soggettivo ed in questo tipo di articolo non ci sembra appropriato, però sosteniamo che a modo suo sia unico perchè sia pressoché impossibile considerarlo come Musa ispiratrice senza plagiarlo inutilmente o distorcendone la natura. Liricamente ispirato nella sua interezza alle vicende narrate nell’opera ‘Il Simarillion’ di Tolkien, ‘Nightfall’ presenta ventidue tracce, non il consueto lotto composto da dieci/undici brani per un lavoro dove troviamo una cura maniacale del dettaglio, dell’arrangiamento, del posizionamento di ogni singola nota che non era presente in nessuno dei precedenti capitoli della saga del quartetto teutonico. Molte di queste tracce sono intro o passaggi narrati di pochi minuti fisiologicamente parti integranti e strutturali del lavoro nel suo complesso poichè chiunque li ricorda prima che ogni brano risuoni negli speaker. I brani – seppur legati da un’unica trama – hanno tutti un loro volto e sono tutti immediatamente riconoscibili: ‘The Curse Of Feanor’ dalle melodie vocali elaborate e non sempre lineari; ‘Mirror Mirror’, immortale brano live che scuote i palazzetti fino alle fondamenta; ‘Nightfall’ epica presentazione di un mondo magico che prima del 1998 solo Tolkien fu in grado di descrivere. E si può andare avanti per altre cento righe… citando l’emozionalità e la drammaticità di ‘Blood Tears’, i cori incredibili di ‘Time Stands Still (At The Iron Hill)’ o il furioso attacco di ‘When Sorrow Sang’. Ma questa non vuole essere una recensione esaustiva di un album sul quale si sono spese già milioni di parole digitali o stampate. Quello che ci preme ribadire qui è che ‘Nightfall In Middle Earth’ è un passaggio unico anche in una discografia eterogenea come quella dei Bardi di Krefeld. La struttura è diversa dagli altri album, anche il formato in cui la musica ci è fornita così come la modalità stessa di ascolto risulta essere un unicum. Si potrebbe prendere ‘Journey Through The Dark’ ed inserirlo in ‘Tales From The Twilight World’ senza snaturarlo ma non è possibile prendere alcun pezzo di ‘Nightfall’ ed immaginarlo su un altro album. Come dicevamo, ‘Nightfall In Middle Earth’ è quel disco che ascoltiamo da ventidue anni senza mai stancarci, non c’era modo di poterlo realizzare in maniera diversa oppure di migliorare la magia già qui presente.

 

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