‘Dead Heart In A Dead World’ – a 20 anni dalla chiave di volta della carriera dei Nevermore

Il 17/10/2020, di .

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‘Dead Heart In A Dead World’ – a 20 anni dalla chiave di volta della carriera dei Nevermore

Vent’anni fa di questo periodo, in pieno autunno, arrivava sui (ai tempi ancora) affollati banchi dei negozi di CD il quarto album dei Nevermore, ‘Dead Heart In A Dead World’. Titolo apocalittico, copertina oscura e figurativa di Travis Smith, forte contrasto (visuale, ma anche musicale) tra il nero del fondo e lo splendere di una fredda e indifferente luna dietro un albero morto. Scelte forti, lo capivamo già allora, e che di fatto anche adesso a distanza di due decenni veicolano perfettamente l’anima intrinseca dell’intero lavoro.
Anzi, a guardarlo ora – retroattivamente –  la forte personalità cupa e nichilista dell’album ci sembra addirittura forse ancora più marcata. È infatti solo con il noto “senno di poi” che possiamo identificare in questo lavoro una sorta di pietra angolare per la carriera (oramai terminata) della band di Warrel Dane e Jeff Loomis.

‘Dead Heart’ arrivava infatti dopo due lavori di forte crescita: ‘The Politics Of Ecstasy’ nel 1996 aveva rappresentato il lavoro (perfetto) di una band piena di rabbia e creatività che lavorava dura sul cercare di creare una propria formula sonora; mentre il successivo – incredibile – ‘Dreaming Neon Black’ contaminava quanto creato aggiungendovi con un concept agghiacciante una dimensione inedita che parlava di tristezza e di dolore. Dopo due passi che testimoniavano quindi una forte volontà di trasformazione, era giunto il momento di consolidare, di cristallizzare, diciamo, quanto di buono e incredibile forgiato sinora, dipingendo il volto definitivo che la band avrebbe portato con se negli anni successivi. Ecco qua ‘Dead Heart In A Dead World’ in poche parole: l’album fotografia della tappa cruciale della ricerca di definizione di se stessa di una band. Da quel momento in poi i Nevermore avrebbero infatti smesso di trasformarsi, di inglobare nuove sfumature come avevano fatto finora. Pur non rinunciando mai a un certo impulso a evolversi intorno alla formula musicale da loro stessi concepita, i Nevemore cominciarono più a concentrarsi su quanto erano diventati, lavorando sui dettagli e sfornando una serie di album sempre ottimi, ma appunto più paragonabili tra di loro rispetto ai primi quattro, unici, capitoli della loro discografia. Musicalmente l’album è come l’abbiamo descritto in apertura, usando l’efficace parallelismo con la bella copertina di Smith: un album cupo e volutamente algido, che sanciva in maniera definitiva la commistione tra il progressive metal, il thrash e l’heavy, le tre anime che da sempre hanno animato la musica dei quattro.

Anche se la storia non ce lo consegna quindi come l’album migliore della band (chi scrive stesso gli preferisce lo struggente e allucinato ‘Dreaming Neon Black’) non si può quindi non riconoscere a ‘DeadHeart In A Dead World’ il suo ruolo di autentico spartiacque di un intera carriera. Un ruolo oltremodo importante, a ben pensarci…

Hammer Fact:

– Questo album contiene una cover di ‘The Sound Of Silence’, famosa canzone del duo Simon and Garfunkel.

– Sono presenti le tracce ‘Next In Line’, dall’album ‘The Politics of Ecstasy’, e ‘What Tomorrow Knows’, dal debutto, entrambe arricchite del relativo videoclip.

Line-Up:
Warrel Dane: vocals
Jeff Loomis: guitars
Jim Sheppard: guitars
Van Williams: drums

Tracklist:
01. Narcosynthesis
02. We Disintegrate
03. Inside Four Walls
04. Evolution 169
05. The River Dragon Has Come
06. The Heart Collector
07. Engines Of Hate
08. The Sound Of Silence
09. Insignificant
10. Believe In Nothing
11. Dead Heart In A Dead World
12. Next In Line(bonus video track)
13. What Tomorrow Knows (bonus video track)

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