His Eyes Burn A Hole In Your Back: ‘Killers’ e l’ascesa del mito degli Iron Maiden
Il 02/02/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
L’assassinio di Cesare è uno degli eventi che più ha ispirato storiografi e scrittori, in primis il nostro Dante che ha collocato nel punto più freddo del Cocito le anime di Bruto e Cassio. Ma quale sarebbe stata la colonna sonora ideale di uno degli assassini più celebri della Storia? Steve Harris e soci non hanno dubbi, schierando in apertura del loro secondo lavoro sulla lunga distanza un’introduzione del calibro di ‘The Ides of March’, con la coppia di chitarre in evidenza ma con il roboante drummming di Clive Burr a fare la differenza, come sempre.
Ecco, questa è la prima immagine sonora che ormai da quarant’anni accoglie l’ascoltatore appena la puntina si poggia sui solchi di uno dei dischi che più hanno contribuito a codificare l’iconografia stessa dell’heavy metal, ‘Killers’ degli Iron Maiden. Dal punto di vista “visivo”, invece, non ha bisogno di presentazioni l’eccelsa opera di Derek Riggs, che ha arricchito di particolari imperdibili lo skyline di Etchingham Court, la periferia a nord di Londra dove aveva vissuto: sfondo a parte, è ancora una volta Eddie a dominare la scena, intento con un’inequivocabile ascia a finire la sua vittima. Certo, il buon Riggs avrebbe poi fatto notare il parallelo tra l’axeman propriamente detto e il riferimento a un “chitarrista”, ma i polsini della malcapitata appaiono un riferimento neanche troppo velato alla Lady di Ferro che sedeva a Downing Street, già omaggiata sull’artwork dei singoli ‘Women In Uniform’ e ‘Sanctuary’.
Ebbene, ‘Killers’ compie quarant’anni; non è un mistero il fatto che sia uno dei dischi più amati degli Iron Maiden, sebbene una certa frangia “estremista” sia arrivata progressivamente a preferirgli l’omonimo predecessore, in virtù di un sound piacevolmente acerbo e di una scaletta più armonica. In effetti, una parte dei pezzi dell’album erano già conosciuti a chi seguiva la band da tempo (o anche semplicemente dal tour precedente) e la sfida di scriverne di nuovi attenderà la band proprio con il successivo ‘The Number Of The Beast’, quando le composizioni degli anni precedenti avranno trovato già la loro collocazione tra dischi e singoli. Nonostante tutto, le circostanze daranno vita a una tracklist varia e senza filler, mostrando un approccio ancora più diretto rispetto al debutto con brani del calibro di ‘Another Life’, ‘Purgatory’ e la stessa title-track – un vecchio adagio parla di un approccio più “punk”, sebbene il termine sia tanto inviso al lider maximo Harris quanto amato dal frontman Di’Anno, qui assolutamente perfetto con la sua vocalità rauca e d’impatto, con una timbrica inconfondibile e un approccio pur sempre figlio della scuola bluesy di Paul Rodgers.
In effetti, ‘Killers’ presenta una formula unica e che difficilmente si ripeterà nella pluridecennale storia della Vergine di Ferro. Vengono messi da parte (per la prima e ultima volta) gli intenti compositivi “articolati” e dal sapore prog che erano già emersi su ‘Phantom Of The Opera’, ma la passione per il filone letterario nelle liriche continuerà inesorabile ed è qui testimoniato dall’omaggio al celebre racconto di Poe ‘Murders In The Rue Morgue’, ma anche probabilmente dall’insolita ‘Prodigal Son’, con i suoi apparenti riferimenti a John Keats e alla mitologica Lamia che popola le leggende vampiriche greche, celebrata anche dai Genesis su ‘The Lamb Lies Down On Broadway’. Parliamo peraltro dell’unico brano dell’album che non è mai stato eseguito dal vivo, dove per l’ultima volta abbiamo la possibilità di apprezzare l’intensa vocalità di Di’Anno nei Maiden, dato che – nonostante il crescente successo e l’affermarsi della band a livello internazionale con il primo tour mondiale in supporto ai Judas Priest – il singer verrà allontanato dalla band per un crescente abuso di sostanze stupefacenti che tendeva a minarne le performance nell’ultimo periodo.
Se dunque ‘Killers’ è il canto del cigno del cantante (che omaggerà il disco fondando una band con lo stesso nome circa dieci anni dopo) si tratta anche del primo album che vede alla chitarra quello che diverrà un’altra colonna portante della Vergine di Ferro, Adrian Smith. Sostituto del defezionario Dennis Stratton, sarà anche il suo stile più moderno a portare compattezza al suono, sebbene le sue abilità compositive verranno messe in risalto solo negli anni a venire, essendo questo un disco quasi completamente composto da Harris, tranne che per la title-track (scritta insieme a Di’Anno) e per la B-side ‘Twilight Zone’ (scritta insieme a Dave Murray); quest’ultima circostanza esalta forse ancor più il marchio di fabbrica maideniano per eccellenza, quel basso galoppante che apre le danze su ‘Innocent Exile’, ‘Killers’ e ‘Wrathchild’, quest’ultima vero e proprio simbolo della band in quegli anni nonché unico pezzo ad aver conservato il suo posto in scaletta in quasi tutti i tour successivi.
Troviamo inoltre qui ben due strumentali: la già citata ‘The Ides of March’ e la roboante ‘Genghis Khan’, vero e proprio perno del Killers World Tour con una resa live sparata a mille, come era costume in quegli anni. Infine, buona parte del successo di questa pietra miliare è dovuta alla sapiente mano di Martin “Headmaster” Birch, il fonico simbolo dell’epoca d’oro degli Iron Maiden che li accompagnerà per tutti gli anni ’80 e oltre, concludendo la propria carriera proprio con ‘Fear Of The Dark’. Poi verrà l’EP live ‘Maiden Japan’ a suggello di uno strepitoso tour mondiale condotto da vere macchine da guerra, e il colloquio tra Rod Smallwood e l’allora singer dei Samson, Bruce Dickinson, che sarà pronto a salire a bordo della Vergine di Ferro per le ultime date del Killer World Tour. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia… a noi resta una grande testimonianza di un’epopea delle periferie che dall’East End di Londra si preparava inesorabilmente a conquistare il mondo, il “nostro” mondo.
Hammer Fact:
– Molti dei brani di ‘Killers’ erano già noti agli aficionados degli Iron Maiden: la prima versione di ‘Wrathchild’ era già uscita sulla seminale compilation ‘Metal For Muthas’ curata da Neil Kay, ‘Drifter’ era un perno delle esibizioni live della band con Di’Anno che duettava col pubblico sulla falsariga di ‘Reggatta de Blanc’ dei Police, mentre ‘Purgatory’ era già nota col nome di ‘Floating’, in una versione embrionale e più lenta risalente al periodo in cui Dennis Wilcock era nella band. Il “precedente” più incredibile è comunque The Ides Of March, qui accreditata al solo Harris ma scritta insieme a Thunderstick intorno al 1977, ai tempi in cui il drummer aveva militato nella band: lo stesso Thunderstick l’aveva registrata un anno prima nel disco ‘Head On’ dei Samson, rinominandola ‘Thunderburst’.
– La dimensione live è da sempre la più congeniale per gli Iron Maiden, e l’impatto diretto dei pezzi di ‘Killers’ non fa eccezione: la parte centrale di ‘Another Life’ conteneva l’assolo di batteria di Clive Burr per tutto il Killer World Tour, mentre ‘Killers’ è originariamente nata con un testo diverso, scritto da Paul Di’Anno direttamente nel backstage! Questa versione primordiale può essere ascoltata sia nel ‘Live At The Rainbow’ del 1980 che nell’esibizione al Reading Festival dello stesso anno, poi inclusa nei BBC Archives pubblicati nel 2002.
Line-Up:
Paul Di’Anno: vocals
Dave Murray: guitars
Adrian Smith: guitars
Steve Harris: bass
Clive Burr: drums
Tracklist:
01. The Ides Of March
02. Wrathchild
03. Murders In The Rue Morgue
04. Another Life
05. Genghis Khan
06. Innocent Exile
07. Killers
08. Prodigal Son
09. Purgatory
10. Drifter
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