Fog in the streets, a church clock beats – I quarant’anni di ‘Restless And Wild’ degli Accept!

Il 02/10/2022, di .

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Fog in the streets, a church clock beats – I quarant’anni di ‘Restless And Wild’ degli Accept!

Se l’evoluzione dell’hard’n’heavy fosse una semplice catena causa-effetto, nella testa di molti si risolverebbe così, in un processo binario, bidimensionale e piatto, in semplice e rapida successione: prima ‘Black Sabbath’ nel 1970, poi ‘Iron Maiden’ nel 1980, poi ‘Kill’em All’ nel 1983, fino a ‘Seven Churches’, ‘Reign In Blood’, ‘Scum’, ‘Deathcrush’. Poi magari arriva ‘Forest Of Equilibrium’ e la macchina rallenta, fino all’uscita di ‘Korn’ nel 1994, con il meccanismo che si inceppa… ma non funziona così, non ha mai funzionato così. Neanche nelle fasi iniziali, quelle più dilatate e con meno diramazioni. Nel brodo primordiale galleggiavano i Vanilla Fudge e anche gli High Tide, per non parlare delle tante ramificazioni che ricolmano l’apparente abisso esistente tra hard rock e heavy metal, sia quelle che oggi chiamiamo heavy rock con furore revivalistico e di affannosa ricerca, che quelle legate a progetti così unici ed eccezionali da fare storia a sé.
Se poi guardiamo al sottobosco compreso tra il 1980 e il 1983, gli anni, i mesi e le settimane sono costellati di band che a loro modo hanno concorso ad alzare l’asticella del Grande Rumore, verso un passaggio – quello dall’heavy al thrash – niente affatto repentino. Un po’ di nomi? Venom, Anvil, Exciter e Accept, appunto. Il combo tedesco veniva da tre album di heavy rock in salsa teutonica, con decisi ammiccamenti agli AC/DC sul fronte delle ritmiche rocciose e qualche rimando agli Scorpions, per via della comune tradizione kraut rock e della passione per le ballad (spesso cantate dal bassista Peter Baltes, nella fattispecie); comunque sia, già nel precedente ‘Breaker’ affioravano quelle influenze priestiane che gli Accept avebber fatto proprie e “continentalizzato”, creando un vero e proprio marchio di fabbrica.
La triade d’attacco di questo ‘Restless And Wild’ è esemplare, in questo senso: tre pezzi che dovrebbero andare dritti nell’enciclopedia del metal alla voce su come aprire un album. Si inizia dalla fulminante ‘Fast As A Shark’, con la batteria di Stefan Kaufmann tesa a portare la lezione dei Motorhead e dei Judas Priest su un altro livello, costituendo l’ossatura di una vera e propria pietra miliare di speed metal qui arricchita dal riffing serrato di Wolf Hoffmann e dai suoi assoli al fulmicotone; non si può non pensare a ‘Rapid Fire’ dei maestri Priest, seppure l’asticella metallica sia qui stata decisamente alzata anche per via del citato apporto delle chitarre. Se poi non fosse abbastanza chiara l’importanza dell’ugola di Udo Dirkschneider nell’evoluzione dell’HM, basti ascoltare la cavalcata della title-track (sorta di ‘Lovedrive’ borchiata) per avere un compendio di un connubio esplosivo: melodia e timbriche abrasive e taglienti unite come mai prima d’allora, a rappresentare una lezione da mandare a memoria per legioni di accoliti, cori compresi. ‘Ahead Of The Pack’ chiude il lotto in quattro quarti, per una track in continuo crescendo sostenuta dalle doppie voci.
E il resto del disco? ‘Shake Your Heads’ realizza una via di mezzo tra ritmiche ostinate alla AC/DC e classicismi maideniani; ‘Neon Nights’ rendeva già chiara l’infoiatura di Hoffmann per la musica classica, qui opportunamente “sporcata” con un basso distorto e doomish a opera del fido comprimario Baltes; il resto si snoda tra la carica anthemica di ‘Get Ready’, il riffing articolato di ‘Demon’s Night’ e il riff ad alta caratura metallica di ‘Flash Rockin’ Man’, un canovaccio che viene direttamente da ‘Swords And Tequila’ dei Riot e che sarà ripreso da fior di gruppi di heavy classico, dai Mercyful Fate agli Iron Maiden. Per non parlare dell’inquietante e conclusiva ‘Princess of the Dawn’, assolutamente perfetta nella sua semplicità e in grado di conferire atmosfere oscure con un approccio tutto sommato minimalista.
In conclusione, potremmo parlare di ‘Restless And Wild’ come uno di quegli “anelli mancanti” dell’evoluzione metallica se non fosse che qui non manca proprio nulla, poiché si tratta di un album arcinoto, uno dei più importanti della variegata discografia della band della Renania-Vestfalia – se non il più importante, nelle parole di Udo Dirkschneider che mi sento qui di condividere appieno. Il resto lo farà il sempre maggiore apporto di Deaffy (la futura signora Hoffmann) nella composizione dei testi e lo sfondamento in America con il successivo ‘Balls To The Wall’; un disco anch’esso importante, ma diretto discendente di questa pietra miliare dell’HM.

Hammer Fact:
– Negli intenti degli Accept, l’utilizzo della registrazione della celebre filastrocca infantile tedesca ‘Ein Heller und ein Batzen’ come intro per ‘Fast As A Shark’ doveva rappresentare un contrasto stridente con l’esplosivo assalto metallico dell’opening track. E così fu, dato che nell’immaginario collettivo si inserì quest’icona del disco che striscia per trasformarsi negli Accept che tutti conosciamo. L’operazione non fu scevra da strascichi imprevisti, dato che ‘Ein Heller und ein Batzen’ (scritta nel 1830) era diventata un centinaio di anni dopo una popolare marcetta della Wehrmacht e all’epoca dell’uscita dell’album molti la ricordavano anche per questo motivo, attirando perciò sulla band una serie di immotivate accuse di simpatie filonaziste. Curiosamente, la scelta di quella specifica registrazione (qui presente con il classico rumore di fondo consumato dei vinili d’annata) era dovuta anche alla partecipazione al coro di un giovanissimo Dieter Dierks, allora produttore degli Accept (e arcinoto tecnico del suono dei connazionali Scorpions).
– Ci sono due artwork per ‘Restless And Wild’: uno che cattura la band dal vivo, l’altro (specifico per la Germania e probabilmente più noto) che mostra le due Flying V in fiamme una accanto all’altra. L’idea verrà poi ripresa per la copertina di ‘Symphonic Terror’, che cattura l’esibizione della band al Wacken nel 2017 con tanto di Orchestra Sinfonica Nazionale della Repubblica Ceca: solo che stavolta una delle Flying V è stata sostituita da un violino!
– A me lo avevano descritto come “il film horror con la colonna sonora heavy metal!” ed ero lì, tutto orecchi, in attesa di sentire qualcosa di familiare. Il problema è che ‘Demoni’ di Lamberto Bava aveva sì i Motley Crue, i Saxon e gli Scorpions tra i vari credits, ma alle mie orecchie quelle declinazioni metalliche non erano esattamente adatte alla materia trattata, finendo per apprezzare i noti emersonismi del maestro Simonetti (decisamente non metal, almeno all’epoca). Beata gioventù… immaginate però come il mio giudizio sia cambiato repentinamente verso la fine, con la celebre scena che vede il protagonista armato di spada e a cavallo di una moto per far fuori più zombies possibile. La colonna sonora? ‘Fast As A Shark’, che domande…

Line-Up:
Udo Dirkschneider: vocals
Wolf Hoffmann: guitars
Peter Baltes: bass
Stekan Kaufmann: drums

Tracklist:
01. Fast as a Shark
02. Restless and Wild
03. Ahead of the Pack
04. Shake Your Heads
05. Neon Nights
06. Get Ready
07. Demon’s Night
08. Flash Rockin’ Man
09. Don’t Go Stealin’ My Soul Away
10. Princess of the Dawn

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