W.E.T. – All’Apice del Melodic Rock

Il 24/05/2025, di .

W.E.T. – All’Apice del Melodic Rock

Come tutti sappiamo la storia dei W.E.T. nasce da alcuni musicisti, provenienti da band importanti (Work Of Art, Eclipse e Talisman) che decidono di unire le forze per creare quello che doveva essere un progetto  e come ogni iniziativa simile promossa da Frontiers, i risultati delle vendite ne determinano il destino. Tale è il successo del primo album, acclamato da tutti i fan del genere (e non) da spingere la band a ritornare insieme per dare un prosieguo. Le capacità dei musicisti coinvolti permettono di dare alla luce cinque album di valore elevatissimo, senza ombra di dubbio tra le uscite migliori del genere trasformando di fatto quello che doveva essere un progetto in una band vera e propria che, con cadenza abbastanza costante, continua a regalarci ottimi lavori. Il titolo ‘Apex’ poteva lasciar intendere che una volta raggiunto l’apice, la band avrebbe potuto smettere di produrre musica. Fortunatamente.
Abbiamo contattato Jeff Scott Soto per farci raccontare qualcosa di più sull’ultimo lavoro e sulla band. 

Ciao Jeff e benvenuto tra le pagine di Metal Hammer Italia. Andiamo subito al sodo: ci racconti perché avete scelto il titolo ‘Apex’? Pensi di aver raggiunto l’apice e quindi, purtroppo, questo potrebbe essere il tuo ultimo album?
“Ci siamo sempre lasciati guidare dall’idea che un titolo di un album debba essere d’impatto, evocativo e in grado di sintetizzare l’essenza del lavoro che stiamo presentando. ‘Apex’ rappresenta esattamente questo. È un termine che richiama il vertice, il culmine, e ci è sembrato perfetto per descrivere dove siamo arrivati oggi come band. Non significa necessariamente che questo sia l’ultimo traguardo o la fine di un percorso, anzi: è uno stimolo a continuare a crescere. È una dichiarazione di forza e maturità, ma anche una promessa a noi stessi di non accontentarci e di puntare sempre più in alto”.
Come fai a capire se una canzone è adatta ai W.E.T. piuttosto che ai tuoi altri progetti come Work Of Art, Eclipse o il tuo materiale solista?
“Tutte le canzoni dei W.E.T. vengono scritte esclusivamente con il progetto W.E.T. in mente. Non siamo quel tipo di musicisti che compone materiale e poi decide a posteriori dove potrebbe andare bene. Ogni band con cui lavoriamo ha un’identità precisa, uno stile, un suono. Quando creiamo per W.E.T., sappiamo fin dall’inizio che stiamo costruendo qualcosa che deve riflettere quella combinazione unica di influenze e personalità. È un processo molto consapevole e mirato, che ci permette di mantenere ogni progetto coerente con la propria visione artistica”.

Qual è l’elemento chiave che definisce il sound dei W.E.T.?
“Potrà sembrare un cliché, ma la verità è che tutto ruota attorno alla forza delle canzoni. Un buon brano, per noi, è fatto da ritornelli potenti, melodie che restano in testa e una produzione moderna, che riesca a suonare attuale ma senza tradire le nostre radici. Vogliamo che chi ascolta si senta coinvolto, che abbia voglia di cantare insieme a noi, di condividere quell’energia. Il groove, il suono, l’esecuzione: tutto deve servire la canzone, non viceversa”.
Provenendo da band diverse, che differenza trovi nel lavorare con i W.E.T. rispetto alle altre tue formazioni?
“La magia dei W.E.T. sta proprio nella fusione delle nostre origini. Io, Erik (Martensson) e Robert (Säll) veniamo da esperienze molto diverse e portiamo con noi una ricchezza musicale che, una volta mescolata, crea qualcosa di nuovo e distintivo. Ogni membro ha un ruolo fondamentale: quando uno di noi manca nella creazione di un brano, lo si avverte subito, perché la canzone perde un pezzo dell’identità W.E.T. È un’alchimia delicata, ma molto efficace, ed è ciò che rende il nostro sound riconoscibile”.
Dove trovi l’ispirazione per comporre i brani dei W.E.T.?
“L’ispirazione viene dalla nostra storia, dalle nostre esperienze, dal vissuto musicale che ciascuno di noi porta sulle spalle. Abbiamo attraversato decenni di musica, progetti, concerti, collaborazioni… quindi, quando entriamo in modalità W.E.T., sappiamo esattamente come sintonizzarci su quel mood. È come aprire una finestra su una parte precisa della nostra creatività, quella dedicata a questa band”.
Quali emozioni hai voluto racchiudere in questo nuovo lavoro? Cosa volevate comunicare attraverso le undici tracce di ‘Apex’?
“Come sempre, cerchiamo di toccare temi universali, situazioni ed emozioni con cui chi ascolta può entrare in sintonia. Parliamo di relazioni, di sogni, di fallimenti, di forza e vulnerabilità. Il tutto è condito da performance potenti e arrangiamenti pensati per valorizzare ogni singolo momento del disco. È un lavoro molto onesto, sentito, in cui ognuno di noi ha messo un pezzo di sé”.
Quali sono, a tuo avviso, le principali differenze tra ‘Apex’ e i vostri album precedenti?
“In realtà, direi che non ci sono grosse differenze in termini di approccio. Tutti i nostri album nascono dallo stesso spirito, dalla stessa fame creativa. C’è coerenza nella visione e nell’intento. Certo, ogni disco ha un’identità propria, ma la matrice è sempre quella: un mix di melodic rock moderno, passione e cura per il dettaglio. Potrei ascoltare tutti e cinque gli album di fila e sentire una continuità che mi rende orgoglioso”.

C’è un brano in particolare di questo album a cui sei particolarmente legato?
“In tutta onestà, no. Le amo tutte allo stesso modo. Ogni canzone ha un ruolo preciso all’interno dell’album e non c’è un momento in cui sento il bisogno di saltare una traccia quando lo riascolto. È una sensazione rara e preziosa, che mi conferma quanto crediamo davvero in ciò che abbiamo fatto”.
E nella vostra intera discografia? Hai dei pezzi preferiti?
“Direi che le mie preferite sono quelle in cui tutti noi siamo presenti con forza, sia nella scrittura che nell’esecuzione. Quando c’è un equilibrio tra i nostri stili, le nostre voci e le nostre influenze, nascono i momenti più memorabili del nostro repertorio”.
Quali band degli anni ’70 sono menzionate o percepibili come influenze nel sound dei W.E.T.?
“Sarebbe impossibile citarle tutte! Tieni presente che siamo sei musicisti con percorsi diversi, ognuno con la sua personale lista di ispirazioni. Se inizi a moltiplicare le influenze individuali, arrivi facilmente a centinaia di nomi. I ’70 sono stati un decennio fondamentale per lo sviluppo del rock melodico, quindi sì, c’è un forte legame con quella scena, ma il nostro sound è anche figlio dell’evoluzione del genere negli anni successivi”.
Avete in programma qualche data dal vivo?
“Al momento, purtroppo, no. La logistica di mettere insieme tutti noi per andare in tour non è semplice, viste le nostre carriere parallele e gli impegni personali. Ma mai dire mai: se le circostanze si allineano, ci piacerebbe tornare sul palco”.
C’è un momento legato alla musica – da musicista o da fan – che ricordi con particolare piacere?
“Senza dubbio, il fatto che io – che noi – siamo ancora qui, dopo così tanti anni, a fare quello che amiamo. È questo il momento più significativo. Ogni album, ogni palco, ogni collaborazione ha un valore, ma la vera vittoria è la continuità, la passione che non si spegne”.
Qual è l’aspetto della musica che ti piace di più? E quello che ti piace di meno?
“Quello che amo di più è creare, condividere, entrare in connessione con le persone attraverso una canzone. La musica è un linguaggio che supera ogni barriera. Quello che mi piace meno? Le interviste! (ride) Scherzi a parte, non amo parlare troppo di me stesso, ma capisco che è una parte fondamentale del lavoro, perché permette al pubblico di conoscere anche le persone dietro alla musica”.
Domanda che faccio a tutti i miei interlocutori: cos’è la musica per te?
“La musica è vita. È il mio respiro, la mia essenza, ciò che mi ha dato uno scopo e mi tiene in movimento da decenni. Non riesco nemmeno a immaginare un’esistenza senza la musica. È tutto”.

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