Bush – Breaking the Silence Within
Il 17/07/2025, di Marghe.
Sono le 2.30 di un afoso pomeriggio di metà maggio a Daytona Beach, nel cuore della Florida.
Attendo con impazienza l’arrivo del protagonista dell’intervista di oggi, stringendo fra le mani un taccuino dalla copertina rigida e scolorita, le cui pagine stropicciate tradiscono l’impulsività di pensieri, domande e riflessioni scritte di getto, a volte rilette, riscritte, o talvolta cancellate, seguendo l’indisciplinato vortice di pensieri che esplode quando slaccio l’elastico che tiene unite le pagine, quando la sfera della penna sfiora il foglio e l’inchiostro dilaga.
I Bush li conoscevo abbastanza bene da accettare immediatamente l’intervista appena ne è arrivata l’occasione.
E Gavin Rossdale lo conoscevo talmente bene che mi faceva un certo che scegliere le giuste domande da porgli per non sembrare scontate o superficiali.
Il suo volto me lo ricordo ancora dalla prima volta che vidi il video di ‘Glycerine’ su MTV.
Aveva un qualcosa di magnetico.
E quella voce, così roca, graffiante, era l’unica voce che poteva esser degna rappresentante del grunge, made in UK, di inizio anni Novanta, quando tutto era talmente tanto vero ed autentico che un qualsiasi progetto musicale privo di carattere sarebbe durato i secondi esatti impiegati per esser concepito.
Quale migliore occasione, se non questa dunque, per intervistare il sex symbol intergenerazionale che ha ammaliato fans di tutto il mondo, anticipando pure l’uscita del nuovo album , ‘I Beat Loneliness’, prevista fra un mese esatto?
Dodici track, una copertina con due peonie in negativo, il fiore preferito della madre di Gavin, sospese nell’oblio ed immortalate nella propria eterna perfezione.
Gavin arriva puntuale, preferisce sedersi all’ombra su una panchina di legno che sui divanetti dell’area interviste, mi sorride e mi volge uno sguardo puro e trasparente. L’intervista inizia.

Ciao Gavin, grazie per averci dato la possibilità di quest’intervista. Benvenuto a Metal Hammer Italia, come stai? Sei carico per lo show di oggi qui a Welcome To Rockville?
“Tutto bene grazie, diciamo che sono qui, sono appena arrivato e, suonando ormai ogni giorno, devo stare al passo con i ritmi che il tour stesso impone.”
Iniziamo parlando del vostro nuovo album, ‘I Beat Loneliness’, la cui uscita è prevista per il prossimo 18 luglio. Perché proprio questo titolo? Scommetto ci dev’essere una storia dietro.
“Questo titolo ha suscitato la curiosità di molti…Penso che le persone entrino in discussione, soprattutto dopo il periodo COVID, dovendo provare a capire come si sentono. Al giorno d’oggi fortunatamente si riesce a parlare di più riguardo soprattutto le proprie emozioni. E si parla in generale molto di più, nonostante esistano così tanti problemi a livello sociale considerando i tassi di suicidio, la depressione, i dissidi interiori. E’ come se fosse un paradosso, un paradosso perfetto dando spazio a ciò che rimane silenziosamente nascosto. ‘I Beat Loneliness’ è stata una delle prime canzoni che ho scritto per l’album. L’ho percepita sin da subito così piena di speranza, piena di vero impegno, tradiva un autentico sforzo personale di scrivere ciò che provavo. Perché è difficile sconfiggere a pieno la solitudine, ma anche un semplice tentativo ti garantisce di stare meglio con te stesso. Amo la vita, nonostante sia un costante su e giù, nonostante tutti i suoi alti e bassi…Quindi il segreto sta tutto nell’affrontare quei momenti in cui le cose si fanno più difficili.”
E canzoni come ‘Scars’ oppure ‘Everyone Is Broken’ ne sono una prova: dove hai trovato la giusta ispirazione, purché ne esista una, a scrivere questi pezzi? In particolar modo cosa ti ha condotto a scrivere il nuovo album?
“Cerco solo di buttarmi, non aspetto l’ispirazione. E’ come se una voce mi dicesse: “Scrivi”. Mi siedo verso mezzogiorno, suono, lavoro fino alle sei o sette, e poi vedo cosa è venuto fuori durante la giornata. Cerco di entrare in un determinato stato d’animo, in una sensazione specifica. È davvero divertente per me. È uno spazio creativo. Lo studio di registrazione è un qualcosa di pazzesco. Al giorno d’oggi qualsiasi studio è magico. Puoi suonare come se fossi una ventina di persone, se vuoi essere venti persone. Ho delle tastiere fantastiche, sintetizzatori virtuali, batterie, percussioni, campionamenti, beat, e così via. E adoro sedermi nel mezzo di tutto ciò e sfidare me stesso ad essere l’elemento più creativo, provando ad essere più creativi della stessa tecnologia…anche se onestamente la uso solo quando ne ho bisogno, per vivere un momento diverso dal comune. Penso che per tutte le persone che amino la band e che vedano il tutto da fuori sia divertente. Con ‘Scars’ mi sono imbattuto in qualcosa che nell’immediato suonava davvero bene, un pezzo in cui la batteria mi è letteralmente esplosa fra le mani. E nel momento in cui lo realizzi corri già a condividerlo con altre persone. Esistono dei momenti in studio in cui penso che quello che ho fra le mani sia andato nel verso giusto. E questa è la parte che preferisco del mio lavoro: riuscire a ottenere cose magiche e a renderle eterne. Le cose accadono, in studio. Sì, accadono, come nella vita, e tu non aspetti: succede. Io mi ci tuffo. Non ci penso troppo, entro semplicemente in uno stato mentale, rifletto su quello che sto pensando. Avevo qualche frase pronta da parte per ‘Scars’, e l’ho scritta. E così ho iniziato. Mi sono imposto che il tutto avrebbe dovuto essere un qualcosa di sexy e di oscuro, in grado di adattarsi alla parte e calzare le vesti. È una vera e propria immersione totale.”
Facciamo un salto indietro. Cosa ti ha condotto ad abbracciare la fede del rock? Sono passati 33 anni da quando hai iniziato a suonare con Bush…
“Semplicemente non avrei potuto mai esser qualcun altro e fare altro. Mi lamento molto e mi piace riversare il tutto nella chitarra ed essere teatrale. Alcune persone se la cavano davvero bene nel mondo del rock con la propria band e con il proprio strumento… Ma per me, adoro semplicemente l’enfasi della chitarra elettrica. Credo sia proprio scritto nel mio DNA.”
Qual è la parte migliore e quella peggiore dell’essere un musicista.
“La mia parte preferita è l’applauso (ride). Beh, esiste un’unica vera emozione per me: scrivere canzoni. Mi rende così felice. E se qualcuno volesse ottenere qualcosa da me dovrebbe chiedermelo il giorno in cui ho scritto un testo. Sono felicissimo. Anche le canzoni tristi a dir la verità mi danno gioia, o semplicemente qualsiasi canzone io sia riuscito a tirare fuori, tra le 3.000 ipotetiche combinazioni di cose esistenti nel cosmo, mi rende abbastanza felice. Questo è il segreto di tutto, amare quello che fai…anche gli applausi rendono il tutto divertente..la carica e l’energia dei fans che impazziscono durante i live è emozionante. Ma se sono un cantautore agli occhi di tutti sono anche un padre nella vita privata: quando torno da un tour dico ai miei figli: “Ora, quando metto la cena in tavola, voglio sentire un po’ di casino. Non lasciatemi nel vuoto.”
E la parte peggiore di tutto questo sarà sempre lasciare casa.
A volte ne ho abbastanza. Vorrei tantissimo entrare nei Blue Man Group, fare quattro tappe in giro per il mondo e poi ritornare al calore delle mura domestiche. In realtà sono consapevole che questo desiderio si esaurirebbe presto, ma mi mancano i miei figli, mi manca il mio cane. Tutto qui.”

E dietro l’immagine di questo musicista, cantautore e padre chi c’è?
“C’è un uomo molto appassionato, molto attivo, estremamente propositivo, ma penso anche razionale e logico, con tantissima empatia. A volte troppa empatia. Vorrei essere un po’ più duro.”
Un po’ più duro? Forse abbiamo lo stesso problema.
“Essere empatici è una cosa positiva, alla fine senti, percepisci ed avverti tutto.”
Appunto. Un’arma a doppio taglio.
“Mi chiedo sempre se le persone che conosco e che sono più fredde di me se in fondo stiano meglio.
Non lo so. Non credo.
Ma sicuramente vorrei sentire un po’ meno.”
Com’è cambiata la tua musica dagli anni Novanta?
“La chiamano marijuana…(ride).
Penso di essere diventato un musicista migliore, quindi cerco di puntare su stili e modi di esprimermi sempre diversi.
Tutto ciò che facciamo al giorno d’oggi in termini di musica è completamente sfasato, partendo come primo approccio anche dal modo di accordare le chitarre. Le mie intenzioni e le mie idee ora come ora sono diverse rispetto ad un tempo.
Non mi siedo più e sto a guardare cosa combinano gli altri, cerco di alzarmi in piedi e mettere del mio, provare a guidare il tutto. Penso di essere diventato un po’ migliore anche nell’editing. Ho guardato dentro me stesso e mi sono sbarazzato di determinati miei lati deboli, ho cercato di smussare gli angoli e correggere certi difetti. Certe cose bisogna lasciarle andare.
Musicalmente quando ascolto qualcosa penso sempre a come ci potrebbe stare una chitarra dentro. E questa volta, chiunque io sia ora, so che potrei dare di più rispetto ad un tempo, dalla composizione all’editing, rimanendo sempre sincero verso me stesso.”
Il tuo tour mondiale è iniziato il 21 aprile. Non vediamo l’ora di vederti in Europa. Verrai anche tu in Italia?
“Sì, lo spero. Mi piacerebbe venire in Italia. Ci sono stato l’estate scorsa in vacanza ed è stata un’esperienza bellissima, non vedo l’ora di tornarci.”
Grazie per l’intervista Gavin, noi invece non vediamo l’ora di ascoltare ‘I Beat Loneliness’ il prossimo 18 luglio.
“Grazie a voi!”