Alice Cooper Group – 50 anni dopo, ancora più velenosi

Il 21/07/2025, di .

Alice Cooper Group – 50 anni dopo, ancora più velenosi

Dopo oltre mezzo secolo, la leggenda ritorna. L’originale Alice Cooper Group – Alice, Dennis Dunaway, Neal Smith e Michael Bruce – si riunisce per dare vita a ‘The Revenge of Alice Cooper’, in uscita il 25 luglio per earMUSIC. Un album che non solo segna una delle reunion più attese nella storia del rock, ma celebra anche il sound oscuro, teatrale e ribelle che ha reso immortali capolavori come ‘School’s Out’ e ‘Billion Dollar Babies’. Ne abbiamo parlato con un disponibilissimo Dennis Dunaway, bassista storico e cuore pulsante della band, che ci ha raccontato in esclusiva il ritorno in studio con Bob Ezrin, la riscoperta di materiali inediti del 1970 e l’emozione di suonare ancora con i suoi fratelli di musica. Con la partecipazione speciale di Robby Krieger dei Doors e una bonus track con la chitarra di Glen Buxton, ‘The Revenge of Alice Cooper’ è molto più di un nuovo album: è un viaggio tra passato e presente, un rito collettivo di rinascita del vero shock rock.

La prima domanda è forse scontata ma doverosa: quali sono le tue sensazioni, le tue emozioni nel tornare a suonare con Alice dopo tutti questi anni? Ma soprattutto, che band, che musicisti hai ritrovato oggi? La chimica è la stessa o qualcosa è cambiato 50 anni?
“L’emozione è davvero forte ed è stato molto divertente lavorare a questo album. Per quanto riguarda il livello musicale, è praticamente lo stesso di sempre. Siamo tutti migliorati un po’, ma quando siamo entrati in studio e Bob Ezrin ci ha messi insieme dicendo: “Vediamo se riuscite a ritrovare quello che avevate.” ci siamo resi conto che in realtà non c’era nulla da ritrovare, perché è stato tutto immediato. Siamo entrati in studio e la magia era la stessa di sempre. Ci siamo divertiti molto. Ognuno sapeva esattamente cosa doveva fare per contribuire al meglio alla realizzazione di una canzone. Tutti hanno messo idee e tutti hanno avuto voce in capitolo su ciò che succedeva. È stato semplicemente entusiasmante”.
Perché questa reunion proprio oggi? C’è stato un evento o un motivo scatenante che l’ha resa possibile?
“Penso che siano state molte cose. Siamo sempre rimasti in contatto, ma poi abbiamo iniziato a fare gli spettacoli natalizi di Alice, il Christmas Pudding, a Phoenix, in Arizona, a beneficio dei Solid Rock Teen Centers, che sono un grande impegno per Alice e sua moglie. Poi siamo stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2011, quindi ci siamo riuniti, abbiamo fatto le prove e suonato per quell’occasione. E poi abbiamo registrato sugli album di Alice: ‘Welcome 2 My Nightmare’, ‘Paranormal’ e ‘Detroit Stories’”.
E poi il grande evento a Dallas, che è stato filmato per il documentario ‘Live from the AstroTurf Alice Cooper’, giusto?
“Sì. E anche il disco, prodotto da Bob Ezrin. Quindi tutte queste cose continuavano a farci riunire, e ogni volta ci divertivamo un sacco. E penso che alla fine Michael Bruce, che ha il suo studio a Phoenix dove vive, sia stato il punto di partenza. Neil Smith vive a Phoenix durante l’inverno, quindi andava spesso da Michael per suonare e scrivere insieme. E quando Alice era in città, dove ha casa, si univa a loro. Insieme hanno creato delle canzoni che li entusiasmavano, poi ho ricevuto la chiamata da Bob Ezrin e Alice: “Ehi Dennis, vuoi volare a Phoenix per fare un album?” Io ho detto: “Certo.” Tutto quello che so è che in un niente mi sono ritrovato a Phoenix. All’inizio c’eravamo solo Alice, Neil, Michael e io. Abbiamo iniziato a lavorare su alcune idee, ed è stato immediatamente come ai vecchi tempi. Scherzavamo tra noi, tutti portavamo delle idee, e scriviamo in un modo che si adatta perfettamente al sound dell’Alice Cooper Band. Così è nata ‘Black Mamba’. L’abbiamo praticamente scritta da zero partendo da un riff di Michael. Abbiamo composto anche ‘Wild Ones’, ‘Inter Galactic Vagabond Blues’, e altre due o tre”.
Quindi avete creato 4-5 brani in pochi giorni…
“Esatto. Poi c’è stato un lungo periodo di pausa. E infine siamo entrati nei veri studi, i Carriage House Studios a Stamford, Connecticut, per registrare le tracce definitive”.

Quali erano gli obiettivi al momento di iniziare a registrare? Volevate solo realizzare un classico album rock oppure c’erano altri scopi?
“Beh, per me si trattava di rivendicare la nostra eredità, quella del gruppo originale. Ma non c’era un vero e proprio obiettivo. Ho chiesto a Bob e Alice: “Avete un tema, un concept?” E loro: “No, scegliamo solo le canzoni migliori”
Quante canzoni avete considerato?
“Circa 70. Credo che se c’è un concept, sia emerso solo dopo, quando abbiamo messo i brani in ordine. Prima che fossero masterizzati. E lì ho cominciato a pensare che sembrava un omaggio a Glenn Buxton. Soprattutto la seconda metà dell’album”.
Hai citato Glenn. Che effetto ti ha fatto tornare a “suonare” con lui, seppure in modo postumo, su ‘What Happened To You’?
“È iniziato tutto con un riff che Glenn aveva inciso nel 1973. Eravamo alla tenuta Gillespie, dove vivevamo, a Greenwich, Connecticut. Era tardi, tipo alle tre di notte, e Glenn voleva ricordare un riff. Avevo un registratore a cassette e l’ho registrato mentre lo suonavamo per un’ora. Ho conservato quella cassetta per tutti questi anni e ho detto a Bob Ezrin: “Con la tecnologia di oggi puoi pulirla, giusto?” E lui ha detto: “Sì, mandamela”.
E quindi avete usato la registrazione originale?
“Sì. Bob l’ha ripulita, ci ha aggiunto un click track e poi, in studio con Neil, Alice, Michael, io e Rick Tedesco, abbiamo scritto un brano su quel riff, come pensavamo Glenn l’avrebbe voluto. E Glenn ha ricevuto i crediti da autore. Siamo tutti molto felici di quel brano”.
Hai usato la parola “eredità”. Questo album per te è solo un progetto isolato, o pensi possa essere l’inizio di qualcosa di nuovo?
“Non lo vedo come un nuovo capitolo. Per me è un sogno che si realizza di nuovo. Suonare con questi musicisti è speciale. C’è una certa alchimia tra di noi. È lavoro, ma è anche divertimento”.
Ma tu sei cambiato come musicista. Sei cresciuto. Quali sono le differenze oggi rispetto a 50 anni fa?
“Certo. Se pensi di essere arrivato al massimo, smetti di crescere. Ogni artista deve sempre cercare di migliorare. Anche con la pittura: non riesco a tenere un mio quadro appeso, voglio sempre correggerlo”.
Quindi anche nella musica è così…
“Esatto. Quando registri un brano, spesso ti affezioni al demo. Poi la versione in studio non suona come il demo e pensi: “Ah, dovevamo fare così.” Ma poi dopo qualche settimana lo riascolti e ti sembra migliore. Quindi sì, sono cresciuto. Neil è cresciuto. Alice oggi ha una voce più potente di quanto non avesse da anni…”
Il suono della band è ancora lo stesso, ma anche migliore…
“Sì. Appena Neil comincia a suonare la batteria, senti subito che è lui. Ho usato lo stesso basso Billion Dollar Jazz con gli specchi che ho usato su ‘Killer’, le stesse corde RotoSound, lo stesso amplificatore Ampeg B15. E anche i vecchi plettri verdi Herco. Eravamo tutti nella stessa stanza, come ai vecchi tempi”.

Cosa mi piace di questo disco è che, se da un lato è un tributo al rock classico, dall’altro suona decisamente fresco. È stato difficile ottenere questo risultato?
“No, è venuto naturale. Non ci siamo messi a pensare di catturare il passato o suonare moderni. Pensavamo solo: “Quale canzone facciamo adesso?” E poi: “Come la rendiamo al meglio?” Il merito va anche a Bob Ezrin. Con la tecnologia di oggi puoi avere suoni migliori, specialmente per la batteria. Un tempo veniva un po’ “nascosta” nel mix”.
Ma anche l’energia fa la differenza, no?
“Esatto. L’ Alice Cooper Band ha sempre dato il 110%, anche solo alle prove. Se non suoniamo in modo aggressivo, non siamo noi stessi. È tutta una questione di attitudine. È rock’n’roll”.
Perché ‘Revenge’?
“Neil ha proposto il nome. E Alice ha detto: “Conosco l’artista perfetto.” Graham Humphreys, un illustratore inglese di poster di film horror. L’album sembra un film horror perché ci piace quel mondo. Le nostre influenze musicali erano la British Invasion, ma anche West Side Story, Leonard Bernstein, John Barry e i film di James Bond”.
C’è un brano che ami particolarmente in questo lavoro?
“È difficile. Ogni volta che ascolto l’album cambio idea. Ma sono molto contento delle canzoni che ho portato: ‘Wild One’s One Night Stand’, ‘Blood on the Sun’, ‘What a Sid’, e ‘See You on the Other Side’ che ho scritto con Neil. Quella è sicuramente un omaggio a Glenn Buxton. La produzione di Bob Ezrin è epica”.
Nell’album c’è anche una nuova versione di ‘Return of the Spider’. Com’è stato riscoprire questo pezzo?
“Non ricordiamo nemmeno di aver registrato quella versione! È del 1969 o 1970. Nessuno di noi ricorda quel beat dritto invece del solito beat “rotolante”. Forse fu il produttore David Briggs a suggerirlo. Ma abbiamo deciso di non usarlo, siamo tornati al beat originale”.
In ‘Black Mamba’ ospitate un mostro sacro come Robby Krieger. Lui e Alice insieme, due mostri del rock in un unico brano. Come è stato trovarti in mezzo a questo ‘evento’?
“Fantastico. Due “mostri” della musica, ma Robby è la persona più gentile del mondo. Lo conosciamo dagli anni ‘70, era amico di Glenn Buxton. Quando abbiamo registrato ‘Black Mamba’, abbiamo pensato che Glenn avrebbe suonato lo slide con un cucchiaio! E quindi abbiamo chiamato Robby. Ha registrato la sua parte dopo. Ma suona anche nei nostri album con i Blue Coop (con i fratelli Bouchard dei Blue Öyster Cult). Robby è sempre pronto a registrare con noi”.
E ora, qual è il prossimo passo?
“Il gruppo sarà a Londra il 24 luglio con Bob Ezrin. Verremo intervistati da Sir Tim Rice (il grande paroliere di Jesus Christ Superstar) e suoneremo l’album per intero. L’evento sarà trasmesso in diretta streaming globale. Per seguire l’evento potete trovare il link su alicecooper.com o su talkshoplive.com”.

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