Jerry Cantrell @ Hall, Padova, 31 maggio 2025
Il 02/06/2025, di Francesco Faniello.

Chissà cosa c’era al posto dell’Hall di Padova una trentina di anni fa. Non dev’essere difficile immaginare la zona come un quartiere periferico già votato al culto della PMI e naturalmente assolato nelle giornate di primavera inoltrata. Da questo punto di vista, il raccordo tra uno dei concerti/evento di questa stagione e il viaggio nei ricordi in cui si è trasformata l’attesa dello stesso è bello che servito, un toccasana agrodolce più che opportuno in questa circostanza.
Jerry Cantrell non è solo il mio grunger preferito, è un musicista fondamentale che ha contribuito a forgiare un suono multiforme e inafferrabile, che ha stregato più di una generazione sulla via di Seattle. Va da sé che dato che mi pare di avere un bottino concertistico magro su quel versante – non ho mai visto i Pearl Jam e mi sono precluso sia tutti gli altri originali per motivi logistici, sia le loro emanazioni più recenti per una serie di altre motivazioni – sono doppiamente contento di essere al cospetto di una delle sei corde più affilate di quell’area geografico/culturale, tanto più che ho apprezzato oltremodo e incensato a dovere il suo ultimo ‘I Want Blood’, vera e propria riscrittura su coordinate contemporanee della gloriosa eredità di quel solco tracciato dagli Alice in Chains alcuni decenni orsono. In vista dell’evento, avevo poi rispolverato in maniera inusuale due album di epoca e intenti diversissimi, come il debut della band madre ‘Facelift’ e il penultimo solista ‘Brighten’, lasciando per una volta da parte uno dei dischi della vita, quel ‘Dirt’ da cui speravo irrazionalmente di sentire eseguita anche l’acidissima title track…
C’è più di un vantaggio nell’avere beneficiato della compagnia di un socio sagace come Davide, tra cui di sicuro l’estrema puntualità che ci ha consentito di arrivare per tempo all’Hall e goderci per intero il set degli openers, gli australiani VOWWS, dinamico duo rivelatosi un quartetto che miscela il minimalismo del post rock/wave con gli immancabili intenti depechemodiani apportati dalle tastiere della frontwoman Arezo “Rizz” Khanjani, senza che per questo venga messo in discussione il ruolo dell’SG del chitarrista Matthew James Campbell. Per una band di apertura all’altezza c’è una band di accompagnamento del Nostro più che all’altezza, con bassista ineziano, la presenza di Zach Throne (che avevo preso per Vivian Campbell!) e Greg Puciato rispettivamente alla chitarra e voce come perfetti comprimari, nonché il lavoro chirurgico svolto da Roy Mayorga dietro le pelli.
Tra i compiti svolti efficacemente da Jerry Cantrell per questo tour c’è il perfetto bilanciamento delle tante frecce all’arco dell’ultimo disco (con la scrittona ‘I Want Blood’ che troneggia sullo sfondo, poi…) con il giusto omaggio al resto della carriera solista e al passato di enorme importanza che ha sulle sue solide spalle, passando da un attacco di efficacia comprovata come l’incedere maestoso di ‘Psychotic Break’, conducendo con sicurezza consumata l’incedere polveroso ma alienato di ‘Atone’, strizzando qui l’occhio al country i cui panni sono inevitabilmente sciacquati nel Wishkah. Per non parlare di ‘Brighten’, vero e proprio cugino diretto di ‘No Excuses’ a cui è riservato il posto d’onore negli encores, o dell’incedere incalzante di ‘Cut You In’.
E poi, le recenti ‘Vilified’, ‘Afterglow’ e ‘I Want Blood’ fanno bella mostra di sé in una scaletta che è lì per incastonarle alla perfezione; tuttavia, nonostante io abbia consumato l’ultimo disco dell’axeman americano mentirei se non vi dicessi che ero lì anche per il tributo alla Storia che porta il suo nome, come la stragrande maggioranza dei convenuti, peraltro. Un’impeccabile versione di ‘Them Bones’ ha infatti alzato immediatamente il livello del set, con ‘Man in a Box’ che ci ha visti saltare memori di ciò da cui tutto questo ha avuto inizio, il debut chainsiano ‘Facelift’. La vera sorpresa è stata però l’inclusione nella scaletta di quel capolavoro di decadenza sonora che è ‘Hate To Feel’, per me il picco di un’esibizione oltremodo emozionante, subito doppiata da una ‘Would?’ cantata a gran voce dai presenti.
Esecuzioni senza sbavature e i passaggi di chitarra che ci hanno fatto sognare sono stati il suggello di uno show che ha visto più generazioni a confronto (impossibile non fare i complimenti a una famiglia che schierava il pargolo quasi adolescente in un momento tanto istruttivo quanto amarcordiano di un’epoca irripetibile), assieme ovviamente alla conclusiva ‘Rooster’, che non ha bisogno di presentazioni né di ulteriori commenti. Grazie di tutto, Jerry.