Vasco Rossi @ Stadio Dall’Ara, Bologna, 11 giugno 2025

Il 18/06/2025, di .

Vasco Rossi @ Stadio Dall’Ara, Bologna, 11 giugno 2025

Ve la dirò tutta: al solito, a modo mio, stavo per dare a quest’articolo un titolo tipo “Steve Rogers Band + One”, “Blasco e i suoi Sorapis” (zitti che non è solo una battuta, come vedremo) o “il Metal prima di Damiano David”, però ho cordialmente desistito e relegato il titolista che è in me ai tanti “fondi” presenti da ora in poi.
C’è un passaggio particolarmente illuminante nella serie “1992” che ho rivisto di recente: quando il protagonista Leonardo Notte, pubblicitario rampante di Fininvest intepretato da Stefano Accorsi, si reca a Roma e incontra uno dei suoi compagni di lotta dei tempi della sinistra extraparlamentare. Ne scruta il tesserino e gli dice qualcosa tipo “PDS? Ma come…?”, con un lieve moto di straniamento rispetto al comune passato. Ecco, ti immagino così, caro lettore, a chiederti se siamo davvero in una fase così “istituzionale” da rinunciare al passato. O da guardare a esso con un occhio nuovo, perché se parliamo di passato “condiviso” sfido molti di noi a dire di non aver mai fatto tappa a Zocca nei propri trascorsi a suon di C90 o C60. Per restare in tema politico, la ricerca di aderenza di questo live/evento a queste pagine mi ha fatto pensare a un altro episodio, decisamente più recente: Casini che – improbabile candidato nelle fila del PD felsineo – professa per darsi un tono di aver votato per Nilde Iotti alla Presidenza della Camera, back in the days. Ah beh, allora… solo che nella fattispecie giustificativa il Compagno Pierferdy sarebbe il Blasco (immagino la perplessità dinanzi a una simile immagine), i lettori sarebbero la base e Nilde Iotti sarebbero i Whitesnake tanto amati da Solieri, il che metaforicamente ci sta – specie se diamo alla compianta Tawny Kitaen l’oratoria di Palmiro Togliatti. Ma qui non deve giustificarsi nessuno dei succitati, tantomeno il sottoscritto, perciò… via con la cronaca di una giornata da “Ciao ma’…” con protagonisti me e una carichissima Marghe armata di dagherrotipo. Per la verità, sono io a essere come sempre armato di mezzi vetusti, ma anche questo lo vedremo più in là.
La partecipazione della compagine al live di Vasco Rossi al Dall’Ara è apparsa come la logica conseguenza dello spazio dato nelle nostre pagine all’arrangiatore artefice della famigerata “svolta metal”, direttore musicale e chitarrista Vince Pàstano e ai suoi progetti, tra cui spiccano i Noisebreakers e il loro ottimo e ultimo ‘Nocturnal’. E se credete che non abbia in casa una copia della ‘Sottotape vol. 1’ in cui compaiono i “suoi” General Store, beh… allora non mi conoscete abbastanza – tra l’altro, nel break della loro ‘(Trilogy of an) Atheist’s Prayer’ c’erano già i germi del futuro che attendeva il Nostro, con il nod al giro di accordi della nota hit del 1987 ‘C’è chi dice no’, seppur in un ambiente sonoro che fondeva extreme metal, avantgarde ed elettronica…
Tempo fa parlavo di muzak relativamente a quanto diffuso dagli altoparlanti nella fase preconcerto, e ormai mi sono fissato su questa cosa, che volete farci: è ‘Rather Go Blind’ di Carol Dudley ad accompagnarci nel caldo torrido, bissata dal classicone di Domenico Modugno e da un remix di ‘Smells Like Teen Spirit’, con una versione maschile di ‘Bang Bang’ che ci riporta a sonorità soul / contemporary R&B che non sono proprio il sound della palude, ma ci vanno vicino. Finalmente le luci scendono e compare uno schermo addobbato a mo’ di Matrix. Tocca a ‘Vita Spericolata’ aprire le danze, con il singer che giunge dalla destra del palco per poi prendersi tutta la scena. Un po’ una scelta alla “man, you gotta start with Hangar 18” detto dai fratelli Abbott a Dave Mustaine, ma le similitudini con i Megadeth non finiscono qui, perché è vero che la melodia discendente del ritornello della successiva ‘Sono innocente ma…’ venne coniata ai tempi di ‘Helter Skelter’, ma è impossibile prescindere dal suo impiego su ‘Symphony of Destruction’, ora come ora. La versione è talmente dura da tralasciare persino l’intento melodico, ma ci sarà tempo per quello in setlist. Intanto, a proposito di “svolte” Vasco ci invita a far qualcosa con le mani, citazione sottolineata e stoccatina a “colui che gli sottrasse il Braido”, mentre ci godiamo una ‘Valium’ che beneficia di un arrangiamento alla White Zombie, di una versione speedy e incendiaria di ‘Mi si escludeva’, di un riarrangiamento quasi inevitabile dell’ancestrale ‘Ed il tempo crea eroi’ e di una corale e semiacustica ‘Vivere’, impreziosita dai fiati e dall’assolo di Stef Burns.
Arriva ‘Gli Spari Sopra’ e per un attimo ricordo di essere perennemente combattuto tra il docente che mostra agli ignari discenti come l’intento traduttivo dall’originale degli An Emotional Fish sia talmente onomatopeico da far sussultare Paul Chain nella copertina del suo primo album solista, e l’adolescente che sobbalzava al desco mentre i telegiornali ne mandavano in onda il video con le immagini di quella Alcatraz che risuonava assieme a Sing Sing tra le pagine dell’amato Topolino, ben dieci anni prima di ‘St. Anger’ e ventidue prima di ‘Repentless’. Inutile nascondersi dietro a un dito: stavolta ha vinto l’adolescente (e anche il post-adolescente spudorato coverizzatore di cover), anche grazie a un lavoro di fuochi che ricorda i Venom all’Hammersmith.
Ecco dunque che la band si concede un attesissimo momento blu con il cosiddetto ‘Interludio 2025’, che parte alla maniera del rock chicano per poi abbracciare le sonorità post care ai Blonde Redhead e sfociare negli inserti della corista Roberta Montanari che hanno prevedibilmente funzione di amarcord morriconiano e floydiano a un tempo, con una ritmica marziale memore del Roger Waters di ‘Amused to Death’ e con un assolo di Stef Burns dalle tinte crimsoniane anni ’80 e ’90 a suggellare il tutto.
Mentre ‘Buoni o cattivi’ scorre mio malgrado come perno della scaletta e ne noto il carattere più cadenzato del solito, giunge il momento che attendevo (appunto) dal 1987 e dalle spiagge joniche: ‘C’è Chi Dice No’. La versione con intro in power chord non mi ha mai fatto impazzire, ma qui il buon Pàstano c’entra fino a un certo punto, essendo così dalla metà degli anni ’90 (memorabile una scena in cui Riva fa il saluto militare all’attacco dell’intro). Il pensiero non può non andare a ‘Fronte del Palco’, al fatto che scoprirò che in scaletta non ci sarà ‘Liberi Liberi’, alla previsione di abbassamento di tonalità verso almeno un Mi bemolle malmsteeniano e invece siamo al Drop C#, se non ho sbagliato i miei calcoli. E a proposito di malmsteeniano, sogno una ristampa di ‘Fronte del Palco’ in cui campeggi un adesivo con la scritta “ex Raw Power guitarist”, come sul disco di Chris Poland post Megadeth – da un’illuminante chiacchierata con Mauro Codeluppi al Frantic di qualche anno fa ho peraltro appreso che Davide Devoti è tuttora attivo con una cover band di Vasco Rossi: il destino segnato da un doppio album e dall’impietosa definizione “rhytmic [sic.] guitar”.
Attenzione, siamo al medley che scava nel passato proprio come facevano i Metallica del tour di ‘Load’, facendo riemergere la divertente ‘La strega’, l’immancabile ‘Canzone per te’ e quella ‘Va bene, va bene così’ di matrice Dodi Battaglia che non può non riaprire un altro scatolone di ricordi, interminabili telefonate e pomeriggi assolati di inizio autunno. Mi avevano parlato del momento ‘Rewind’ e ora ho capito come mai Tommy Massara degli Extrema, a precisa domanda di una fanzine, disse di aver sì autografato delle tette nella propria carriera, ma più nel tour di ‘Tension at the Seams’: nel corso di quel tour aprirono proprio per Vasco Rossi! Credetemi, è un gesto liberatorio transgenerazionale, il che magari allontana il focus dai live dei Kiss ma lo avvicina a quel concetto di “show collettivo” e per tutte le età a cui assistiamo.
E ora, a proposito di “armamentario vetusto”, lasciatemi sfatare un mito relativo al famoso pubblico “da circoscrivere”: certo, non sono mancati i trenini dei tamarri senza i quali avrei avuto l’impressione di essere al cospetto di Lucio Corsi e gentile Les Paul, ma la palma dell’interazione va al gruppo di mamme e figlie che – dopo avermi squadrato incuriosite – mi hanno chiesto come mai avessi tra le mani una penna e un’agendina. Al mio sorriso da reporter in risposta ai loro occhi sgranati da siffatto anacronismo il commento è stato “beh, allora fai una bella recensione”. Non so perché, ma ho interpretato il tutto con lo stesso tono che il funzionario sovietico rivolse a Fernandel alla fine de “Il compagno Don Camillo”, ma mi sa che è l’influenza della Ghiotta a riportarmi costantemente su determinate coordinate.
Comunque sia, giriamoci intorno quanto vogliamo ma all’interno dello show Vasco Rossi è una presenza larger than life, come dice appunto Gene Simmons, e nelle mie parole non voglio che rischi di venir derubricato al classico elefante nella stanza. Al netto dei vari e giustificati intermezzi che mettono in luce l’abilità dei comprimari (compreso Rocchetti, a proposito di bei tempi andati), al netto del Drop-qualcosa di cui avrebbero beneficiato anche altri cantanti in altre circostanze, al netto del fatto che negli ultimi venticinque / trent’anni gli episodi che reggono il confronto con il passato vadano cercati molto accuratamente – ‘Senza parole’ è sostanzialmente ‘Ogni volta’, tanto per dirne una – il nostro resta però mattatore magnetico e dalla timbrica immediatamente riconoscibile (la presenza di Olly-non-degli-Shandon tra il pubblico ne è la dimostrazione definitiva), con un gusto per le giacche glitter che su ‘Sally’ strizza l’occhio a Elton John e al glam inglese, ma richiama fortemente (e inconsapevolmente?) il David Hasselhoff che dà la spallata definitiva al Muro di Berlino con la sua ‘Looking for Freedom’. Eccolo dunque che accoglie il Gallo come un vecchio amico su ‘Siamo Solo Noi’ (anche se avrei preferito la “cugina” ‘Colpa d’Alfredo’!), duetta con la Montanari su ‘Canzone’ e lancia un messaggio pacifista si spera ampiamente condiviso dai presenti prima della conclusiva ‘Albachiara’, ormai orfana del refrain di ‘All the Young Dudes’ di Bowie nell’assolo da una quarantina d’anni, ma sempre e comunque inno che travalica le generazioni.
E se è vero che siamo dei poser dentro, pur giunti all’ultima stazione di questo treno dei ricordi, ci pensa l’accoppiata ‘Brain Damage / Eclipse’ ad accompagnarci all’uscita, sottolineando la processione da nave dei folli che vedeva presenti anche i Vostri. Muzak o non muzak, ottima scelta anche quella… vero?

Galleria fotografica a cura di Margherita Cadore

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