Slipknot @ Ferrara Summer Festival – Ferrara, 17 giugno 2025

Il 23/06/2025, di .

Slipknot @ Ferrara Summer Festival – Ferrara, 17 giugno 2025

Tanto tuonò che non piovve, anzi… arrivò solo l’afa. Non è certo questa la cronaca meteorologica della prima serata del Ferrara Summer Festival, visto che una pioggia provvidenziale aveva interessato l’area il giorno precedente, spezzando l’insopportabile afa di questo giugno. Piuttosto, si tratta della fotografia della soluzione compromissoria tra i difensori a spada tratta dell’importanza delle location cittadine come venue di concerti e i crociati a oltranza nei confronti di qualsiasi cosa esca dal seminato, che partendo dalla comprensibile richiesta di “lasciare pubblici gli spazi pubblici” hanno in alcuni casi sconfinato in invettive che neanche il PMRC dei tempi della quasi-first-lady Tipper Gore, con minacce anonime all’amministrazione e accuse di satanismo rivolte agli alfieri di turno del Grande Rumore.
Insomma, se da un lato la scelta della location di Piazza Ariostea ha prevedibilmente scatenato una serie di polemiche che vanno dal soffermarsi sull’opportunità o meno di impiegare una pubblica piazza al rispetto dei residenti (che a dispetto del termine Summer devono lavorare eccome, il giorno dopo), dall’altro lato c’è da chiedersi se la città di Ferrara sia effettivamente pronta a un cambio di passo nel respiro internazionale, visto che l’inserimento in cartellone di un concerto metal ha scatenato le polemiche d’ordinanza che – per inciso – non sono state riservate con la stessa irruenza ai trapper di turno presenti negli appuntamenti successivi.
A farne le spese è il pubblico, con una soluzione di velleità salomonica qual è stata quella di tenere i volumi bassi durante l’esibizione della combriccola dell’Iowa, ed è subito amarcord di quei concerti nei locali quando il gestore implora i più o meno imberbi musicisti convenuti di abbassare i potenziometri dei testata e cassa e picchiare di meno su quella Mapex, ché i clienti devono finire il panino in santa pace.
Ma andiamo con ordine… spezzo subito una lancia a favore del rispetto dei tempi, poiché la rigorosa scansione oraria relativa all’esibizione di headliners e gruppi di spalla ha visto la fine delle operazioni alle undici di sera, come da ottime abitudini recentemente acquisite un po’ ovunque, specchio di un generale invecchiamento del pubblico dei concerti. Invecchiamento appena percepibile nel caso degli Slipknot, visto che non sono stati solo i bestseller della Roadrunner ventisei anni fa, scalzando Sepultura e King Diamond dal trono conquistato negli anni, ma anche uno dei gruppi che ha creato una fanbase talmente fedele da essersi rinnovata attraverso le generazioni, a dispetto della proposta decisamente “estrema”. Insomma, se oggi parliamo di Ghost e Sleep Token come fenomeni di massa, lo dobbiamo nel bene e nel male anche a Corey Taylor e soci, che hanno saputo capitalizzare la sempiterna lezione dei Kiss sul mistero legato all’immagine e sull’attrattiva che questo mistero comporta, ricevandone un pubblico con più generazioni a confronto.
E poi, lasciatemi dire che la scelta di affidare loro la prima data di un cartellone così ambizioso qual è il Ferrara Summer Festival va salutata con ammirazione: l’idea di un gruppo simile in programma – al netto del fatto che non siano esattamente la mia tazza di tè – fa il paio con la leggendaria esibizione di Nocturnus e Confessor al Porto di Brindisi una trentina d’anni orsono: un qualcosa di così assurdo da faticare a crederci, un qualcosa che entrerebbe a pari merito nello stesso limbo tra verità e leggenda se non ci fossero stati fior di cellulari a riprendere ogni passaggio. A dispetto della metafora iniziale su tuoni, pioggia e afa, il pubblico è quello delle grandi occasioni: si fa fatica a credere che una location come Piazza Ariostea abbia ospitato ben diciottomila persone, ma il colpo d’occhio era in effetti impressionante. Certo, l’attrattiva rappresentata da scelte coraggiose come questa va anche saputa conservare e capitalizzare, riducendo il più possibile i disagi. Ma questa è anche una problematica legata agli spazi – e torniamo sempre là.
Archiviata la stilosissima esibizione degli altrettanto stilosi Motionless in White forti dell’efficace riproposizione live di una manciata estratti del loro ‘Scoring The End Of The World’ come la title track (il metalcore dalle tinte goth visto alla luce del sole fa sempre un certo effetto, anche se magari non è quello voluto), tocca agli headliners posizionarsi sul palco dell’Ariostea. Personalmente, avevo visto gli Stone Sour molti anni fa e tra i ricordi che serbo c’era appunto l’ottima padronanza del palco da parte di Corey Taylor. Proprio così: l’amato / odiato onnipresente commentatore di Blabbermouth si conferma perno di un’esibizione storica ma anche dannatamente efficace, che ha visto la band girare a pieni cilindri sostenuta da quel motore affidabilissimo che è il recente “acquisto” Eloy Casagrande. Sarà un caso, ma è già il secondo batterista del camp Sepultura / Soulfly che vedo dal vivo in poco tempo, visto che Jerry Cantrell era accompagnato da Roy Mayorga nelle recenti date europee. Che dire… Max e Andreas sanno scegliersi dannatamente bene i comprimari, questo è certo.
Dopo la colossale concessione al nerdismo pro-80s con l’intro di Knight Rider / Supercar corroborato dalle familiari lucette di KITT, tocca a ‘(sic)’ aprire le danze degli Slipknot e qui inizia il dilemma: l’urlo “Here comes the pain!” è appena udibile, la gente si guarda perplessa e in effetti tra il pubblico è possibile “parlarsi” a moderata distanza in maniera sostanzialmente intellegibile, cosa che sarebbe sembrata impossibile da fare con un impianto di quella portata.
La situazione in effetti sarebbe migliorata nel corso della setlist, lasciando una scia di perplessità che si sarebbe fatta sentire anche nei giorni a venire; resta l’ipotesi iniziale, quella del compromesso tra scelta della location e volumi a essa connessi. Ho invece personalmente trovato non del tutto motivata la critica sul suono in generale: se le chitarre non erano sufficientemente presenti la “colpa” è anche quella dell’esaltazione di batteria e percussioni, che a seconda delle angolazioni tendevano a prendersi la scena – e nel caso degli Slipknot è quasi un dato costitutivo, sin dai tempi del compianto Joey Jordison.
Grande spazio è comprensibilmente dato in scaletta all’omonimo debut su major, con i singalong d’ordinanza su ‘Wait and Bleed’ e ‘Only One’, l’incedere essenziale e intrusivo di ‘Spit it out’, la devastante ‘Surfacing’ e la deep cut ‘Scissors’ in chiusura, con il suo rifferama debitore di Korn e Sepultura. C’è ovviamente spazio per l’autocelebrativo ‘Iowa’ con le partecipatissime ‘People = Shit’ e ‘The Heretic Anthem’, mentre è decisamente ‘Psychosocial’ a fungere da contraltare in una setlist muscolare, facendo emergere le indiscusse dote vocali di Corey Taylor.
Manca Shawn “Clown” Crahan, tornato a casa per motivi familiari, ed è il frontman stesso a chiedere di stringersi a lui in un boato di supporto. Corey è inarrestabile, ammicca al comparto Nord Est con il turpiloquio, arringa il pubblico alla maniera motivazionale di John Bush dei bei tempi, li incita al canto sulla schizofrenica ‘Unsainted’ e si stringe a quella che definisce “mi familia” un po’ come farebbe Roger Miret degli Agnostic Front con platee considerevolmente più ristrette. Un frontman consumato e gasatissimo che conduce sotto i migliori auspici il debutto di questa nuova edizione: c’è da rivedere più di qualcosa, ma mi ripeto volentieri nel dire che è certo che abbiamo assistito a un evento epocale, con una band alfiera di uno degli ultimi movimenti musicali di rinnovamento che si ricordino, e che qui si è data al 100% per il proprio pubblico. Per il resto, per tutto il resto, Giovanni Lindo Ferretti lo aveva già previsto da tempo: “Emilia di notti agitate per riempire la vita / Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire”.

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