Iron Maiden, Run For Your Lives @ Stadio Euganeo, Padova, 13 luglio 2025
Il 16/07/2025, di Marghe.
Il 13 luglio del 2025 è una data che molti di noi si porteranno nel cuore.
La scorsa domenica difatti lo stadio Euganeo di Padova ha avuto l’onore di ospitare i britannici Iron Maiden nel loro Run For Your Lives, tour che definire un viaggio nel passato è un vero e proprio eufemismo.
Annunciato lo scorso settembre mentre i Maiden erano a spasso per il Giappone, questo è il primo tour in oltre 40 anni di carriera senza lo storico Nicko McBrain, sostituito dal batterista dei British Lion, Simon Dawson, per gli esiti difficili da gestire di un infarto avvenuto nel 2023.
Un tour che, come annunciato qualche mese fa, si propone di ripercorrere la storia della band dai suoi albori, iniziato il 27 maggio a Budapest e con termine previsto il 2 agosto a Varsavia.
Ci ha pensato un vero e proprio acquazzone a offrire il giusto benvenuto nel primo pomeriggio, dando non poche preoccupazioni ai 40.000 partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia, pronti ad accogliere i nostri 6 musicisti nell’unica tappa nel Belpaese armati di mantella impermeabile ed anfibi.
Un incidente meteorologico già annunciato dalle previsioni della settimana che non ha fatto altro che unire e rinfrescare il pubblico, il cui unico dubbio, varcati i cancelli dello Stadio, consisteva nell’assistere ad una setlist ricca di classiconi mainstream… un po’ come il turista cinese che, eccitato dall’idea di scoprire l’Italia nei suoi segreti nascosti, si vede proposto il tour Roma-Venezia-Firenze.
Con tutto rispetto nei confronti delle suddette città, come del resto verso i pezzi più famosi dei nostri 6 cavalieri britannici, ma ogni persona che ami la band visceralmente e la conosca in ogni suo album sa perfettamente che esistono pezzi che, ahimè, sono stati proposti poche volte dal vivo.
Quale miglior occasione se non questa dunque, in onore dei 50 anni di vita della band, per rispolverare cimeli provenienti da un passato che poi così remoto non è, vista la partecipazione e il coinvolgimento della folla che dal primo all’ultimo brano si è scatenata seguendo ogni singola parola del nostro Bruce, che siano brani con trenta o cinquant’anni d’età.
La scaletta suonata ha riconfermato l’ordine proposto finora nel tour europeo, allontanando qualsiasi preoccupazione di un concerto di “classici” sentiti e risentiti.
Ad aprire le danze prima dei Maiden i poliedrici e stravaganti Avatar, direttamente dalla Svezia con il loro metal che trova riassunto ed espressione nel termine Avant-garde, fra l’industrial e il nu metal, trainando in un turbinio di energia, di ritmi scanditi e di ritornelli melodiosi tutta la folla.
Quando a un tratto… l’intro di ‘Doctor Doctor’ attira immediatamente l’attenzione di tutti i presenti. Sorrido al pensiero che le nuove generazioni associno questa canzone più ai Maiden che non agli UFO, ma forse va bene così, anche perché nessuno dei presenti saprebbe immaginarsi un arrivo sul palco con sottofondo migliore.
La famosa cover si fonde con ‘The Ides Of March’, seguita dall’immediata ‘Murders In The Rue Morgue’, canzone storica dedicata all’omonimo capolavoro di Edgar Allan Poe, una storia intrisa di mistero e di suspense che calza a pennello anche con lo stesso show. Questa partenza in quarta, la cui scelta non casuale ricade su ‘Killers’, apre le danze con brio, estro, tono ed autenticità: siamo del resto nel lontano 1981, e questa giovane band dal nome curioso di Iron Maiden si presenta come un diamante allo stato grezzo, capitanata da un Paul Di’Anno la cui figura, caratterizzata da squilibrio ed eccessi, non s’intona allo stile ed alla condotta del resto del gruppo, a differenza della voce ruvida e graffiante, che finora piace… o meglio, non dispiace, rendendo così il tutto sostituibile da qualcun altro che possa portare ad un vero e proprio salto di qualità.
Del resto gli anni Ottanta non perdonano nessuno, rappresentando quella culla storica di band nascenti che, se non vogliono finire nel dimenticatoio, devono dimostrare di aver le carte in regola per ambire a diventare stelle, non meteore.
E questo il nostro Steve Harris lo sapeva perfettamente.

Ma onestamente, cercando di estraniarmi dalla mia chiara preferenza personale, reputo che ora come ora, se un Di’Anno sia stato facilmente sostituibile, non esiste persona, frontman o cantante che sia in grado di sostituire un Bruce Dickinson, più carico che mai fra un cambio d’abito all’altro, più coinvolgente che mai ad ogni ritornello.
Chiudendo l’esperienza ‘Killers’ con ben quattro pezzi, facciamo un piccolo salto indietro all’anno prima con ‘Phantom Of The Opera’ per poi passare alla successiva ‘The Number Of The Beast’, acclamata da un boato di fondo.
Fra saltelli, volteggi, capriole ed acrobazie varie, si passa all’esecuzione di ‘Seventh Son Of A Seventh Son’ album dedicato alla figura provvidenziale del settimo figlio del settimo figlio, che nella cultura di massa sembra essere destinato a compiere memorabili azioni. Impegnativi come brani, sia l’estratto omonimo nei suoi quasi 10 minuti che ‘The Clairvoyant’, che sembra aver sostituito il masterpiece ‘The Evil That Man Do’, grande assente della setlist.
Una setlist però che non lascia nulla al caso, nei suoi estratti anticonformisti ed inaspettati, come ‘Rime Of The Ancient Mariner’, suonata impeccabilmente dopo tanti anni di assenza dalle scene live.
I protagonisti di oggi ci prendono per mano, accompagnandoci in un viaggio storico fra l’Antico Egitto, la Seconda Guerra Mondiale, l’Ottocento british nel suo fatale romanticismo: gli Iron Maiden non si limitano a regalare emozioni, ma anche vere e proprie lezioni fra rime profetiche e sottili metafore… come l’anziano marinaio che si ritrova in mare aperto giocando una vera e propria partita a scacchi con il destino, anche l’uomo odierno dovrebbe destarsi davanti a segnali che mondo e natura disseminano sul suo percorso.
Di sicuro, sentendo l’opinione di molti, questo è stato il pezzo preferito dalla maggior parte del pubblico in questo tour.
Siamo in dirittura d’arrivo e la band cede alla tentazione di riproporre quelli che sono dei veri e propri inni che non possono mancare in una scaletta di questi livelli.
Dietro le sbarre di una gabbia, ai rintocchi del suono di una campana, compare Bruce, scandendo l’inizio di ‘Hallowed Be Thy Name’: questo è solo l’inizio di un finale che definire perfetto è solo per minimizzare.
I nostri Maiden scompaiono lasciando nel silenzio la folla, consapevole di una meritata breve pausa prima dell’ultimo sprint finale. Ecco allora il timbro inimitabile di Churchill sulle riprese storiche in bianco e nero dell’aviazione britannica impegnata a difendere Londra dal bombardamento nazista durante la seconda Guerra Mondiale: lo sapevate che ‘Aces High’ è stato il brano più votato dal pubblico nella scelta delle proposte live dopo il ritorno di Bruce Dickinson sulle scene nel ’99? E nonostante siano stati molti i live in cui la band sceglieva di aprire il concerto proprio con questa canzone, onestamente pure nel finale calza a pennello.
Teatrale poi la successiva ‘Fear Of The Dark’, altro pezzo iconico, la cui melodia d’intro, cantata interamente dal pubblico sovrastando le chitarre, dà letteralmente i brividi.
Allusiva l’ultimissima ‘Wasted Years’, quasi quanto la raccomandazione finale di Bruce, nel prenderci cura di noi stessi visti i tempi attuali, e smettere di sprecare il tempo alla ricerca di cosa si è perso per strada… un attuale Carpe Diem che ci invita a vivere l’attimo nella sua essenza più pura, lasciando preoccupazioni e pensieri fuori dalle porte dello stadio.
Sono le 23.00. Janick Gers azzarda una spaccata aerea appoggiando la punta della propria Reebok bianca su un ampli ballerino: ad ogni live questa sua capacità di improvvisare mosse da far invidia a qualsiasi altro 70enne dalla lassità legamentosa (o anche a me medesima, suvvia) mi perplime e mi basisce, suscitando sempre più domande fra il mistico e l’esistenziale.
Ma di quale situazione patologica soffriranno mai, gli Iron Maiden?
Forse la chiamerei “amore per la vita”, quella cosa che molti scoprono d’avere ad una certa età, quando si raggiunge quell’equilibrio che ti porta ad apprezzare il valore di ogni singolo giorno, ad amare ciò che si fa e a non dar per scontato chi ci sta attorno. O semplicemente, come dicono proprio i Maiden fra le righe, “quando vedi le cose nella loro semplicità non è mai troppo tardi per provare ad apprezzare questo mondo”… anche perché “solo quando sei vicino alla fine, capisci che la vita è una grande illusione”.
Gli Iron Maiden alla fine probabilmente non ci arriveranno mai, questo perché il concetto di “fine” racchiude un’intenzionalità di archiviare, mettere da parte, chiudere un capitolo.
Un capitolo che, almeno per noi, rimarrà sempre aperto, nell’eternità della loro musica.
Riassumendo?
Uno dei migliori spettacoli live di sempre.
Alla prossima… e Buon 50esimo compleanno, Vergine di ferro!
Setlist
Doctor Doctor
1. The Ides Of March
2. Murders In The Rue Morgue
3. Wrathchild
4. Killers
5. Phantom Of The Opera
6. The Number Of The Beast
7. The Clairvoyant
8. Powerslave
9. 2 Minutes To Midnight
10. Rime Of The Ancient Mariner
11. Run To The Hills
12. Seventh Son Of A Seventh Son
13. The Trooper
14. Hallowed Be Thy Name
15. Iron Maiden
Encore:
16. Aces High
17. Fear Of The Dark
18. Wasted Years
Galleria fotografia a cura di Federico Benussi