Imperial Triumphant – Goldstar
Il 01/04/2025, di Alberto Gandolfo.
Gruppo: Imperial Triumphant
Titolo Album: Goldstar
Genere: Avantgarde, Black Metal
Durata: 38 min.
Etichetta: Century Media Records
Parlare di un album degli Imperial Triumphant è sempre un’impresa complessa. Da un lato, perché il trio di New York tende a dividere: o lo si ama, o lo si detesta. Dall’altro, perché la band, sin dagli esordi, ha sempre spinto al massimo sulla sperimentazione più estrema e dissonante.
Eppure, in questo percorso, il gruppo è riuscito a tagliare il traguardo del sesto album (oltre a tre EP) in soli nove anni. ‘Goldstar’ risulta al tempo stesso più ostico ma meno complesso del precedente ‘Spirit of Ecstasy’, pur restando tutt’altro che un ascolto accessibile. L’atmosfera di follia e un sound talmente denso da sfiorare la claustrofobia rimangono, infatti, marchi di fabbrica della band.
Il disco si apre con ‘Eye of Mars’, un brano death metal brutale in cui, sin da subito, si può apprezzare l’incredibile produzione di Colin Marston. L’intro della successiva ‘Gomorrah Nouveaux’ spiazza completamente l’ascoltatore con atmosfere tribali che sfociano poi in riff dalla struttura piuttosto semplice, almeno per gli standard degli Imperial Triumphant.
Il terzo brano, ‘Lexington Delirium’, vede Tomas Haake come ospite alla voce: il pezzo inizia con sfumature doom quasi “blacksabbathiane” per poi esplodere in una composizione decisamente estrema. Haake sorprende anche come vocalist, sfoderando un growl inquietante e potente.
Proseguendo con l’ascolto, ci ha folgorati la breve ‘NEWYORKCITY’, un brano grindcore schizofrenico rafforzato dalla collaborazione di Yoshiko Ohara alla voce.
Ci avviciniamo così al gran finale. ‘Plasuredome’ è un brano difficilmente descrivibile: partiamo col dire che le special guest sono due dei migliori batteristi metal in circolazione. Oltre al ritorno di Tomas Haake di nuovo alla voce, troviamo soprattutto Dave Lombardo dietro le pelli. A livello musicale c’è un po’ di tutto: un sound djent, momenti death metal, un basso che suona linee jazz e batterie che sperimentano ritmi lontanissimi dal metal più estremo. Un mix complesso, quasi impossibile da concepire e pensare, ma che solo gli Imperial Triumphant potevano partorire.
A chiudere le danze ci pensa ‘Industry of Misery’, il brano più lungo (e violento) del disco, nonché quello che più si avvicina ai lavori precedenti, dove la complessità è l’assoluta protagonista. Quasi otto minuti di dissonanze e intrecci incomprensibili, ad eccezione di un lungo assolo di chitarra stranamente melodico per lo stile del terzetto di New York.
‘Goldstar’, come tutti i lavori della band, ha bisogno di molti ascolti per essere compreso e assimilato al meglio. Ma una volta che riuscirete ad entrare nel mood dell’album, vi renderete conto di avere tra le mani uno dei dischi dell’anno.
Alberto Gandolfo
Un’avvertenza: devono piacere. Eh già, la musica degli Imperial Triumphant non è quanto di più accessibile ci sia sul mercato, questo va detto subito. E nemmeno quanto di più capibile aggiungeremmo, in quanto anche solo inquadrare la proposta – schizoide e schizzata – del trio mascherato newyorkese risulta alquanto complicato. Avant-gard, tech, black e death metal… eh? Un bel casino vero? Inimmaginabile in effetti per chi non li ha ancora mai ascoltati, ma per qualche strano astruso motivo, i tra loschi figuri riescono anche a far funzionare questo improbabile melting pot di generi.
E dire che questo ‘Goldstar’ non è nemmeno il più lavoro più complesso o ermetico della loro discografia, la quale oramai conta ben sei album… anzi, questo lavoro si pone facilmente come il più quadrato e strutturato dei loro lavori, abbandonando alcuni estremismi creativi che rendevano (a nostro modesto parere) oltremodo difficile l’ascolto; proponendoci un set di brani in generale corti e (quasi) fruibili, nei quali la schizofrenia è sempre presente ma più al servizio del brano, e non spadroneggiante in ogni aspetto del loro folle songwriting. L’opener ‘Eye of Mars’, ad esempio è death metal quasi canonico, nonostante lo spiazzante minuto introduttivo e l’ipnotico break centrale; ma già la successiva ‘Gomorrah Nouveaux’ ci spareggia le carte in tavola con un intro etnico che mai ci saremmo aspettati e un andamento sbilenco, non tanto forsennato nella batteria quanto nei contorti riff di chitarra. ‘Lexington Delirium’ – prima song in cui è ospite il big Tomas Haake dei Meshuggah – ci fotte il cervello con languidi riff e un incedere lento e pesante, al limite del doom, salvo poi incattivirsi nel finale e ripiombare nel loro oramai familiare marasma sonoro. ‘Hotel Sphynx’ gioca ancora una volta con tempi di batteria improponibili e riffing astrusi, insistendo nell’intento di negarci un qualsivoglia appiglio melodico, e da questo punto di vista il colpo di grazia ce lo da la successiva ‘NEWYORKCITY’ quaranta secondi di cacofonia pura all’insegna del rumorismo grind più eccessivo. Che nella folle mente dei tre newyorkesi qualcosa non andasse lo avevamo già capito, ma la title-track (che di solito tenta di rappresentare un po’ il tono generale del disco…) ce lo conferma in pieno: infatti anche questo brano non sono altro che cinquanta assurdi secondi dedicati a un solitario spezzone di musica da pubblicità televisiva primi Anni 60, qualcosa che assolutamente non ci aspettavamo. ‘Rot Moderne’ quasi ci fa sentire “a casa”, col suo riproporci in una vesta diversa il death metal pesante e intransigente del primo brano dell’album, ma è una sensazione di breve durata, perché il singolo ‘Pleasuredome’ (altra comparsata di Haake) si riallaccia appieno all’intransigenza e la schizofrenia dei loro album più estremi. Death, djent, tech e anche altro… chi ci capisce qualcosa in questo brano è bravo, infatti rimane uno dei passaggi che personalmente abbiamo meno apprezzato del lotto. Meno folle e rumoristico è per fortuna l’ultimo brano, ‘Industry of Metal’, curiosamente il brano più lungo del disco. Diciamo curiosamente perché – quando i Nostri avrebbe avuto a disposizione più spazio per le loro inconcepibili escursioni sonore – invece optano per un brano tutto sommato meno casinista e fine a se stesso; nel quale troviamo anche un gustoso rallentamento centrale dai toni sinistri, che dobbiamo dire ci è piaciuto parecchio.
Quindi? Come lo inquadriamo questo ‘Goldstar’? E’ ovviamente un disco che va preso per quello che è. I fan della band probabilmente lo troveranno geniale: non rinnega niente della follia degli album precedenti, ma la sua maggior accessibilità diluisce l’ascolto, facendolo a nostro parere entrare più facilmente in teste allenate a questo genere di proposta atipica. Per chi non è avvezzo a certi estremismi la faccenda si fa più ostica… ma iniziare con quest’album non è una pessima idea, vista appunto i pezzi più a fuoco del solito. Per chi odia invece sperimentazioni, sorprese o semplicemente ciò che non conosce/capisce… beh, statene alla larga. Vi sembrerà rumore e basta. Un album non per tutti, ma sinceramente… è la band stessa a non esserlo.
Dario Cattaneo
Tracklist
1. Eye Of Mars
2. Gomorrah Nouveaux
3. Lexington Delirium (ft. Tomas Haake)
4. Hotel Sphinx
5. NEWYORKCITY (ft. Yoshiko Ohara)
6. Goldstar
7. Rot Moderne
8. Pleasuredome (ft. Dave Lombardo & Tomas Haake)
9. Industry Of Misery
Lineup
Zachary Ezrin: Voce, Chitarra
Kenny Grohowski: Batteria
Steve Blanco: Basso, keytar, Piano, voce
Dave Lombardo: Batteria (traccia 8)
Tomas Haake : Voce(tracce 3, 8)
Yoshiko Ohara: Voce (traccia 5)