Panzerballett – Übercode Œuvre
Il 17/05/2025, di Francesco Faniello.
Gruppo: Panzerballett
Titolo Album: Übercode Œuvre
Genere: Progressive Metal
Durata: 56:16 min.
Etichetta: Hostile City / SXE / Believe
“Another sleepless night, a concrete paradise: sirens screaming in the heat. Neon cuts the eye as the jester sighs at the world beneath his feet: it’s a Panzerballett”… ah no, scusate! Troppo invasiva nella mia testa l’associazione assonante tra il promo del momento da recensire e il celebre disco dei Savatage. Ovviamente, tra le due realtà musicali non potrebbe apparentemente esserci maggiore differenza, nonostante le due interpretazioni (affini alla lontana) del verbo progressive: campioni dello US Metal quelli di Oliva, alfieri del jazz metal quelli del mastermind Jan Zehrfeld.
E invece, un punto di incontro c’è ed proprio quella che chiamano Grande Mela: non la Broadway descritta da John Oliva nel succitato pezzo ma il CBGB amato da John Zorn e tanto echeggiante nelle sonorità dell’avanguardista americano da parte del combo bavarese. Ovvio, non è che ‘Übercode Œuvre’ sia tutto un richiamo ai Naked City solo per via dell’uso smodato degli ottoni in ambito estremo, ma quelle suggestioni metropolitane resistono nonostante le fredde geometrie che oggi definiamo in vario modo – math, djent e chi più ne ha ne metta – e che informano di sé la peculiare poetica dei Panzerballett.
Ammetto di non saper molto di Zehrfeld e (occasionali) soci: dovremmo essere al cospetto del loro ottavo album e a giudicare dai titoli dei precedenti l’ecletticità è di casa, dalle loro parti. Anche un certo umorismo nordico, benché la latitudine non sia esattamente amburghese o britannica, a giudicare dalle loro bardature live (una maschera di Medusa basta a rendere l’idea?) ma soprattutto dalle frequenti digressioni nei territori musicali più disparati, elemento che pare venga addirittura accentuato nelle loro performance.
E a proposito, lo so poi che nella filosofia jazz c’è l’inserimento di standard a go-go, quindi stiamo al gioco e godiamoci l’incipit costituito da una loro rilettura di ‘Bleed’ dei Meshuggah: se a far strano è l’utilizzo del sax, l’elemento che strega l’ascoltatore è l’oscillazione temporale a mo’ di illusione non ottica ma sonora, per cui la logica ci suggerisce che i secchi colpi di batteria stanno seguendo un tempo regolare, mentre sono corde e fiati a muoversi in maniera sinuosa e variabile, per poi invertire il tutto. Se queste sono le premesse, non c’è da stupirsi per l’inserto dell’arrembante Guglielmo Tell rossiniano nel succitato classico dei Meshuggah o per ‘Seven Steps to Hell’ composta appositamente da Nélida Béjar, che da un lato è l’inserto più zorniano del lotto e dall’altro ha marcate connotazioni crimsoniane nel suo impiego di quelle scale liquide care al Robert Fripp di ‘The Construkction of Light’.
Per dirla tutta, i Panzerballett sono pieni di momenti così, di quelli che colorano in maniera vivida le sere di di inizio estate tenendole lontane da rassicuranti classicismi e anzi decostruendo i propri modelli: ecco dunque che ‘Alien Hip Hop’ si avvale della presenza del co-autore Virgil Donati – con Marco Minneman, uno dei due nomi alla batteria che farà sussultare i più sensibili a certe coordinate sonore – e non può che ricordarmi l’agghiacciante suono del Sommo Emerson in alcune pieghe della partitura. Da sacro a sacro, la scelta di riproporre l’Estate vivaldiana va a colpo sicuro, mentre l’Inno alla Gioia con tanto di coro sovrapposto alle multiformi evoluzioni sonore non può che ricordarci i momenti bui del 2020 in cui è tornato in voga, con una forte intenzione cinematica di sottofondo. Il crescendo è tutt’altro che rossiniano, stavolta, con un contrasto tra voci che ricorda alternativamente Benjamin Britten, i Cradle of Filth o i Celtic Frost, laddove la reprise strumentale collocata più avanti risulta forse troppo autoreferenziale, un peccatuccio veniale che però possiamo perdonare ai Nostri.
Vero è che l’arrangiamento della Scala del Diavolo di György Ligeti ha il suo perché anche in virtù del ritorno nella formula delle suggestioni crimsoniane, ma personalmente ho trovato particolarmente interessanti riarrangiamenti ancora più estremi, come la loro versione del classico funk ‘Pick Up The Pieces’ o la presunta tenerezza di ‘Andromeda’, con tanto di gemello cattivo a fine tracklist marchiato a fuoco dal drummer di turno, Aaron Thier. Niente, un po’ come lo zuccherino nello sciroppo o come il formaggio sulle crucifere, i Panzerballett hanno trovato il modo di farmi apprezzare oltremodo alcune evoluzioni sonore che spesso risultano indigeste. Potrei anche decidere di eleggere ‘Übercode Œuvre’ a sottofondo del meriggiare pallido e assorto, rigorosamente con un occhio chiuso e uno aperto, però: non si sa mai.
Tracklist
01. Bleed
02. Seven Steps to Hell
03. The Four Seasons: Summer
04. Alien Hip Hop
05. Andromeda
06. Ode to Joy (vocal)
07. Pick Up the Pieces
08. The Devil’s Staircase
09. Ode to Joy (instrumental)
10. Andromedaron
Lineup
Jan Zehrfeld: guitars (all tracks), pick bass (1)
Sebastian Lanser: drums (1)
Morgan Ågren: drums (2)
Marco Minnemann: drums (3, 5, 6, 8)
Virgil Donati: drums (4, 9)
Anika Nilles: drums (7)
Aaron Thier: drums (10)
Anton Davidyants: bass (all tracks)
Robin Gadermaier: bass (5, 10)
Florian Fennes: sax (1, 2, 4, 7, 9, 10)
Georg Gratzer: sax (5)
Andromeda Anarchia: vocals (6)
Conny Kreitmeier: vocals (6)
Chris Clark: keys solo (4)
Michael Hornek: keys solo & gimmicks (9)
Joe Doblhofer: guitar solo #2 (1)
Rafael Trujillo: guitar solo #3 (1)