Enio Nicolini And The Otron – Suitcase Man
Il 09/06/2025, di Francesco Faniello.
Gruppo: Enio Nicolini
Titolo Album: Suitcase Man
Genere: Avantgarde, Heavy Metal
Durata: 38:00 min.
Etichetta: Hellbones Records
Distributore: The Triad Rec.
Non so se si tratti di un vezzo diffuso o meno, ma mi piace immaginare spin-off. Spin-off relativi a mondi distopici, intendo; sul genere… “che succede dopo l’ultima pagina del libro?”. Ovvio, si tratta di un esercizio il più delle volte fine a se stesso, ma posso assicurarvi che la mia personale prosecuzione della narrazione di “The Whisperer in Darkness” di H.P. Lovecraft è molto rispettosa dell’originale. Tornando alla distopia propriamente detta, il mio primissimo esperimento (rimasto tale, senza che fortunatamente ve ne siano tracce scritte) riguardava “1984” di George Orwell: semplicemente, immaginavo che qualcuno raccogliesse l’eredità di Winston e Julia con maggior fortuna, impadronendosi della stazione trasmissioni radio di una qualche località in territorio eurasiatico e dunque al largo di Pista Prima, per trasmettere l’overture del “Tannhauser” di Wagner e risvegliare così le menti teutoniche finite sotto il giogo della dittatura continentale. E così via, fino a Gustav Holst in Oceania e magari Camille Saint-Saëns sull’altra sponda del Reno eurasiatico – un po’ una soluzione ottocentesca per un problema novecentesco, assimilabile a “Cuore” di De Amicis, ma magari può essere un’idea da tirar fuori dal cassetto, un giorno o l’altro.
Chi invece non ha paura di chiudere il cerchio della narrazione è Enio Nicolini, giunto con ‘Suitcase Man’ al terzo capitolo della sua trilogia. Sarà perché la trilogia è sua? Ovvia obiezione, seppur sia chiaro a chiunque che mantenere finali “aperti” costituisca una via di fuga quantomai efficace per il narratore (chi ha detto HPL, appunto?), laddove invece il nostro Enio aveva annunciato da tempo la volontà di sciogliere i nodi narrativi offrendo un genere differente di “vie di fuga” alla narrazione labirintica e un po’ asfissiante che aveva caratterizzato nei precedenti capitoli la costruzione della distopia di Otron.
Non so dirvi se ‘Suitcase Man’ sia il mio preferito tra i tre capitoli (che potremmo chiamare Blu, Verde e Rosso, con un’alternanza che vi dico già che vorrò chiarire in sede di intervista); di certo è quello in cui la formula musicale proposta dal progetto Otron giunge a compimento, ossia quello in cui sente di meno la mancanza della sei corde, una scelta “per sottrazione” che è il vero e proprio marchio di fabbrica dell’ormai terzetto. Un risultato che è merito di un’alchimia invidiabile tra le restanti parti in causa, e anche di un ruolo da regista giocato dall’attivissimo bassista che qui mostra in maniera chiara ed evidente i suoi frutti; certo, è curioso che questo obiettivo venga realizzato con l’innesto di Angus Bidoli nella line-up, noto ai più per essere il chitarrista dei romani Fingernails e qui presente in veste di cantante.
Ovvio, per formazione personale sono legato alle soluzioni proposte su ‘Hellish Mechanism’, in particolar modo per via delle vocals di Luciano Palermi, ma è pur vero che la particolarità dei tre capitoli stia anche nella presenza di voci narranti distinte, sebbene ritroviamo qui il succitato Palermi (ugola storica degli Unreal Terror, per chi non lo sapesse) nella title track in apertura, prima di passare il testimone (o – dentro la metafora – la “valigia”) al suo successore dietro il microfono.
Neanche a dirlo, ‘Suitcase Man’ è uno degli episodi più convincenti del lotto, anche se introduce un approccio diverso, con un intento teatrale che a tratti mi ha ricordato una sorta di versione cibernetica dei Savatage. L’arrivo di Bidoli con la successiva e validissima ‘Inside Voices’ non può che confermare questa linea, giocata su un equilibrio precario su cui si stagliano le consuete bordate di scuola Voivod periodo Eric Forrest, finché la suadente ‘Microchip’ si spinge persino più in là nella fase sperimentale. La narrazione giunge poi ad asservire completamente il fluire del brano su ‘Drums on the Hill’, mentre su ‘Endless Resistance’ torna proprio quel déjà vu declamatorio caro a Jon Oliva. Come a dire che la parte centrale del lavoro risulta la più ostica musicalmente parlando, proprio mentre la storia si dipana sotto i nostri occhi.
Invece è ‘Cosmic Identity’ a riformulare l’offerta di Otron verso un connubio impossibile tra le ritmiche ostinate e il quasi-synth pop delle architetture sonore di Gianluca Arcuri, fino alla risoluzione conclusiva di ‘Fake Euphoria’, dove Enio Nicolini riesce a stupirmi ancora una volta. Eh sì, perché se mi aspettavo una qualche apertura epica dal carattere cinematico come si usa tanto di questi tempi, l’iniziale delusione ha lasciato spazio alla constatazione di coerenza per un pezzo randellone come pochi, che chiude a tamburo battente la narrazione senza darci il tempo di soffermarci sui titoli di coda. Che la formula di Otron non fosse per tutti, lo sapevamo già: sicuramente però con questo terzo capitolo la tavolozza di Nicolini si arricchisce di nuove tonalità, e chissà se anche il riascolto del relativamente acerbo ‘Cyberstorm’ non riveli nuove sfaccettature alla luce della tanto attesa chiusura del cerchio. A proposito, chissà cosa potrei inventarmi per risvegliare le menti assopite di Estasia: le colonne sonore dello Studio Ghibli sarebbero anacronistiche, vero?
Tracklist
01. Suitcase Man
02. Inside Voices
03. Mirrors
04. Microchip
05. Drums on the Hill
06. Escape Out Limit
07. Endless Resistance
08. Cosmic Identity
09. Solitary Justice
10. Fake Euphoria
Lineup
Enio Nicolini: bass, programming
Maurizio “Angus” Bidoli: vocals
Luciano Palermi: vocals
Gianluca Arcuri: synth
Luca Nicolucci: programming