Xenos A.D. – Reqviem for the Oppressor
Il 22/06/2025, di Francesco Faniello.
Gruppo: Xenos
Titolo Album: Reqviem for the Oppressor
Genere: Thrash Metal
Durata: 42:22 min.
Etichetta: My Kingdom Music
C’era un pensiero che mi frullava in testa, all’ascolto dei primissimi estratti da ‘Reqviem for the Oppressor’, il nuovo album degli Xenos A.D.: la loro aderenza al genere che fece la fortuna dei Big 4 e di altre scene nazionali li avrebbe portati a un traguardo importante per il terzo album, come da tradizione? A quanto pare, in effetti anche loro rientrano nel vecchio adagio per cui il thrash e più in generale il metal di emanazione ottantiana vede nel terzo disco il lavoro in cui si trova un punto fermo, un canone di scrittura, un elemento riconoscibile pur nella quota derivativa che impone il fatto di essere in un’ondata successiva alla prima.
‘Reqviem for the Oppressor’ è un concept album sugli orrori della guerra, un argomento la cui trattazione fa onore ora più che mai a chi se ne prende carico (per inciso, ho la netta impressione che gli scenari futuri saranno sempre peggiori, ma questo è un altro discorso). In che modo dunque gli Xenos A.D. giungono al successore di ‘The Dawn of Ares’? Innanzitutto, i passaggi si fanno più morbidi e meno spigolosi, pur non tralasciando l’ampio spazio dato alle evoluzioni strumentali. Probabilmente sono le parti vocali – ruvide quanto basta – a fare da contraltare perfetto alla pulizia sonora ricercata dagli Xenos A.D.: anche se Nicastro non è tra le mie timbriche preferite nel genere, sembra qui aver trovato un equilibrio tra l’approccio “in your face” e quello più riflessivo tipico dei tecnicismi del thrash di fine anni ’80. Probabilmente un po’ di incisività in più in alcuni passaggi non avrebbe guastato, ma la strada è quella giusta, anche in virtù della funzione “declamatoria” di determinati versi.
Una cosa che si dice spesso quando si parla dei nuovi gruppi thrash è che mancherebbe in loro lo “spirito” di chi ha fatto le cose nella prima ondata o al massimo nella prima decade. Bella forza, dico io: parliamo di chi ha scelto di servirsi di una forza propulsiva lanciata tempo fa che comunque non ha ancora esaurito il suo potenziale e che verrà – inevitabilmente – paragonata a quella dei prime movers. Il punto però è che la volontà di comporre non può essere repressa in nome di un costante anelito al nuovo a tutti i costi, e dall’altro lato va considerato come il rinnovo inevitabile dei canoni originari guarda a un approccio diverso a livello generazionale, che ne rende più semplice la fruizione da cui magari non ha visto alcun bagliore del secolo precedente. Insomma, non mi stupirei di conoscere un giorno giovincelli che amano Xenos A.D. e Game Over, pur non sapendo assolutamente chi siano (stati) gli S.N.P. o i Broken Glazz, o magari gli Holy Moses e – perché no – i D.B.C.
Poi, il cosiddetto “rispetto” per la materia trattata non manca affatto al terzetto: lo testimoniano gli ovvi omaggi a chi è venuto prima, che vanno dal richiamo ai Kreator di ‘Phobia’ su ‘Welcome The Destroyer’ fino alla riproposizione strutturale del colosso ‘Hangar 18’ nei primi passaggi dell’articolata title track. Non la leggo come una mancanza di idee, è più un “so chi c’è stato prima e non voglio nascondere il suo ritratto fingendo di essere l’unico e solo profeta del genere”.
E ancora, su ‘Reqviem for the Oppressor’ gli Xenos A.D. sono sempre più a proprio agio nell’osare commistioni di elementi: è vero che ho accolto da subito la band come alfiera di una progettazione thrash straightforward, ma qui c’è anche molto del death, se non nell’esecuzione, nelle influenze collaterali – l’uso a profusione di intermezzi acustici e il riffing dal taglio melodico ne sono una testimonianza.
Sin da ‘Dogma of War’ emerge anche quella volontà di rinnovamento che vede le due timbriche vocali di Nicastro e Taormina affiancarsi con un effetto corale che giova alla compattezza del tutto, mentre con ‘Crown of Separation’ affiorano con forza quelle suggestioni death che citavo prima (chi si ricorda dei Necromion?), con gli inserti di chitarra acustica in un sostrato tecno/thrash e un rifferama carcassiano, finché ‘Welcome The Destroyer’ ci presenta un inedito connubio tra il serrato rifferama di scuola Megadeth e le asperità dei buoni, vecchi Kreator (al limite della citazione, come dicevamo).
Per chi bazzica la scena da un po’ era impossibile che la presenza di una traccia chiamata ‘Tears On The Face Of God’ non saltasse agli occhi. Certo, il classico degli Eversin (per chi non lo sapesse, erano la band precedente di Nicastro) è stato rivoltato come un calzino e ne resta praticamente solo il titolo, impreziosito com’è dal lavoro chitarristico di quel Giuseppe Taormina che per me è il vero asso della manica del combo, con i suoi assoli al fulmicotone e la varietà di approcci alla sei corde che non fanno rimpiangere l’assenza della doppia chitarra di ordinanza, come codificato sia nella Baia di Frisco che in quella della Grande Mela.
Se poi volete un ultimo highlight, esso è di sicuro ‘Children Of The Atomic Sun’, un pezzo amaro e apocalittico su cui tutta la band gira a pieni cilindri dispiegando quanto di buono abbiamo citato finora.
La chiave finale? Facile: la scelta di intitolare l’intro ‘1986’, sicuramente in onore non solo all’anno di uscita dei grandi capolavori di tre su quattro esponenti dei Big 4, ma anche a dischi che fanno sicuramente parte del gotha degli Xenos A.D., come ‘Darkness Descends’ e ‘Pleasure to Kill’. Con loro, la band condivide quell’integrità e coerenza che alla lunga non può che dare le giuste soddisfazioni. E a giudicare dai palchi che vedono i Nostri sempre più in posizione da protagonisti, non c’è neanche troppo da attendere.
Tracklist
01. 1986
02. Dogma Of War
03. Tears On The Face Of God
04. Crown Of Separation
05. Welcome The Destroyer
06. Children Of The Atomic Sun
07. The Bleeding Hands Of Faith
08. Reqviem For The Oppressor
09. Dance Of The Gods
Lineup
Ignazio Nicastro: bass, lead vocals
Danilo Ficicchia: drums
Giuseppe Taormina: all guitars, growling vocals