Pink Floyd – Cinquant’anni di Wish You Were Here

Il 12/09/2025, di .

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Pink Floyd – Cinquant’anni di Wish You Were Here

Torniamo a celebrare un compleanno per una delle band più famose del pianeta, indirettamente legate al Metal, la cui influenza è stata ed è ancora oggi innegabile per migliaia di musicisti. Ci siamo lasciati due anni fa con il compleanno numero cinquanta di ‘The Dark Side Of The Moon’ (potete leggere  QUI  l’articolo) con l’appuntamento fissato ad oggi, 12 settembre 2025, per raccontare, celebrare, omaggiare ‘Wish You Were Here’, un album che ha segnato un nuovo fondamentale passo per i Pink Floyd.

Antefatti. Il successo planetario di ‘The Dark Side Of The Moon’ vede una band impreparata a responsi di tali dimensioni – si parla di oltre sei milioni di copie del disco vendute nel primo anno e mezzo dalla pubblicazione – e catapulta i quattro Floyd in un mondo a loro stessi sconosciuto: il vero Business, quello che oltre all’arte, ai concerti e alla più semplice dimensione artistico/musicale vede il Dio denaro diventare fulcro di una macchina che si muove veloce e inflessibile, e il prezzo da pagare in questi casi è alto. La band deve tirare i remi in barca e capire cosa fare per ristabilizzarsi. ‘The Dark Side Of The Moon’ ha cambiato le carte in tavola e i Pink Floyd finalmente prendono coscienza di ciò che sono diventati. Già nell’ottobre del 1973, a soli pochi mesi dalla pubblicazione di ‘Dark Side’, la band aveva iniziato a lavorare a nuovi brani dal carattere industrial con l’utilizzo di oggetti di recupero. Il risultato furono due brani che videro la luce addirittura nel 2011 (‘The Hand Way’ e ‘Wine Glasses’, pubblicati rispettivamente nelle deluxe edition di ‘The Dark Side Of The Moon’ e ‘Wish You Were Here’), ma è nella primavera del 1974 che la band inizia seriamente a pensare al seguito dell’album che ha cambiato loro la vita. Entrano in una sala di registrazione di King Cross, quartiere londinese, e imbastiscono le prime linee di quello che diventerà il nuovo disco. Le prime jams fruttarono bene e portarono alla composizione di un brano conosciuto con il nome di ‘Syd’s Theme’. Quel brano dal titolo significativo, vedremo a breve per quale motivo, venne elaborato dai quattro in studio come fu per ‘Echoes’ nel 1971 (dall’album ‘Meddle’), fino a diventare la colonna portante di ‘Wish You Were Here’. Stiamo parlando della lunga e articolata suite ‘Shine On You Crazy Diamond’, che nel disco finirà per essere divisa in due parti poste in apertura e chiusura dell’opera. Ventidue minuti di esplorazioni sonore Prog/Rock, all’interno delle quali evocative parti ambient sorrette dalle tastiere di Rick Wright rimandano a sognanti ed emozionali sensazioni in cui l’ascoltatore riesce a immergersi e a fluttuare, trasportato da melodie e canti che rasentano la perfezione. Il testo, scritto interamente da Roger Waters, parla della scomparsa di Syd Barrett ed è toccante, emozionante, se pur nostalgico e malinconico.

Qui è necessario un salto in avanti. Siamo partiti dalla prima fase di scrittura nella primavera del 1974, il gruppo continuerà a scrivere e quando l’anno successivo si trovano negli studi londinesi di Abbey Road, accade un fatto incredibile. Il 5 giugno del 1975 (che corrisponde curiosamente alla data di nascita di chi sta scrivendo questo articolo), un uomo si presenta alla corte della band che è impegnata nella seconda delle varie sessions di registrazione del disco. Si stanno completando le fasi di mixaggio proprio di ‘Shine On You Crazy Diamond’. L’uomo entra di soppiatto e inizia ad aggirarsi per gli Studios. Sovrappeso, la testa completamente rasata a zero, si presenta nella sala in cui si trova Roger Waters. Nessuno lo riconosce, Wright pensa si tratti di un amico di Waters, forse un tecnico dello studio, ma poco dopo si rende conto che quell’uomo è Syd Barrett. Neppure David Gilmour lo riconosce, e pensare che proprio lui aveva aiutato Syd nei suoi  meravigliosi album solisti. Nessuno dei musicisti vedeva Barrett dal 1970, epoca in cui la band stava registrando ‘Atom Heart Mother’. La leggenda narra che Waters e Barrett abbiano scambiato qualche parola con Syd e che tutti fossero rimasti spiazzati da quella visita che inevitabilmente finì per influenzare le future sessioni di registrazione. Le parole di Roger Waters in seguito a quella visita furono significative:

Sono molto triste per Syd. Naturalmente  fu molto importante e la band non sarebbe neanche mai nata senza di lui, perché era lui che scrisse tutte le prime canzoni. Niente sarebbe successo senza di lui, ma, ugualmente, niente sarebbe potuto continuare con lui nel gruppo a causa dei suoi problemi.
Successivamente a quell’episodio Barrett sparì completamente, ritirandosi nella propria casa a Cambridge. Di lui nessuno seppe più nulla fino alla notizia della sua morte avvenuta il 7 luglio del 2006, all’età di sessant’anni.

Delle composizioni della primavera precedente venne salvata soltanto ‘Shine On You Crazy Diamond’, Waters propose di dividerla in due parti e la scelta venne messa ai voti. Waters ha sempre posseduto un’aura di autorevolezza, lo si è compreso negli anni a venire, e la sua caparbietà, mista a una risoluta fermezza, lo avevano definito figura Leader all’interno della band. Probabilmente è con ‘Wish You Were Here’ che le tensioni tra Gilmour e Waters iniziano a delinearsi, quelle stesse tensioni che in breve tempo finiranno per distruggere i rapporti tra i due. Gilmour si espresse in questi termini:

Fu un periodo molto difficile per noi. Tutti i nostri sogni d’infanzia si erano realizzati e avevamo pubblicato il disco che più aveva venduto al mondo. Le ragazze e i soldi non ci mancavano, e tutto quel genere di cose… fu difficile trovare gli stimoli per andare avanti, fu un periodo di grande confusione.

Il tema dell’assenza di Barrett era, nella mente di Waters, l’elemento caratterizzante che avrebbe dovuto spingere il gruppo a scrivere nuovi brani, con tutta probabilità nell’intenzione di creare un Concept Album sull’assenza, ma i rapporti di amicizia oramai sgretolati tra lui e Gilmour finirono per non dare una diretta continuità al tema dell’album, pur nell’evidente bellezza di un’opera divenuta fondamentale, definita da David Gilmour “l’album più completo della nostra discografia”.

Per quanto riguarda la registrazione dei brani i problemi non furono pochi. Il primo, il più grave, fu un errore da parte del tecnico Humphries che nell’utilizzo della nuova console, un banco a 24 piste, registrò su nastro degli echi che finirono per disturbare i tom della batteria di Mason. La band dovette registrare nuovamente la prima parte di ‘Shine On You Crazy Diamond’ creando un notevole ritardo nelle registrazioni e disagio nei musicisti che dovettero riprendere il brano da capo. ‘Welcome To The Machine’, inizialmente intitolata ‘The Machine Song’, nelle liriche di Waters riprende il tema accennato ad inizio articolo, una band che perde il controllo per il successo planetario che la schiaccia. La macchina è appunto il business che in quegli anni inizia a prendere il sopravvento e rischia di stritolare i gruppi come fossero carta straccia. i Pink Floyd restano con i piedi per terra, ma quella macchina, anno dopo anno, ha stritolato anche loro in una battaglia che ha portato al disfacimento del gruppo e ad eterne battaglie legali.

‘Have A Cigar’ è il primo brano del disco ad essere completato in studio. Il testo parla di un discografico che tenta di imbonire un musicista, nello specifico lo stesso Waters autore del testo, quindi un brano autobiografico, e nelle registrazioni venne coinvolto l’amico Roy Harper che finì per dare la voce all’intero brano. Sembra che Waters non abbia mai davvero apprezzato la performance vocale di Harper, ma i giochi erano oramai fatti e il tempo a disposizione non permetteva di registrare nuovamente la canzone. Questa è forse l’unica pecca di un disco straordinario. La band non si è imposta nel pretendere di lavorare nuovamente ad ‘Have A Cigar’ che con la voce di Waters avrebbe sicuramente acquisito maggiore incisività. ‘Have A Cigar’ è un brano che per la tematica affrontata si avvicina molto ai temi che Waters svilupperà due anni dopo, nel 1977, per il concept ‘Animals’. Possibile che nella mente del musicista vi fossero già i semi delle tematiche sociali che verranno raccontate in futuro.

Il brano che dà il titolo all’album, la ballata ‘Wish You Were Here’, venne composta e registrata in studio con un testo inizialmente abbozzato prima di entrare in sala di registrazione e completato durante la session finale.

‘Shine On You Crazy Diamond’, come detto, viene divisa in due parti. La lunga suite, composta da nove movimenti, viene suddivisa nella prima parte dai movimenti 1-5, nella seconda 6-9. L’inizio del movimento sei, quindi della seconda parte, accenna al brano ‘One Of These Days’, mentre nella parte finale, sul nono movimento, c’è un omaggio a Syd Barrett in cui il basso di Waters e le tastiere di Wright riprendono ‘See Emily Play’, ‘The Gnome’, ‘Bike’, ‘Scarecrow’ e ‘Arnold Lyne’, tutti brani a firma Barrett. In particolare va evidenziato il magistrale lavoro di Wright che grazie al suo tocco delicato e di sapiente compositore conferisce a ‘Shine On You Crazy Diamond’ un’aura di iniziale positività che riconduce alla visita di Syd Barrett agli studios.

Dal punto di vista delle registrazioni, completamente diverse rispetto a quelle di ‘The Dark Side Of The Moon’ complice il fatto che Alan Parson venne messo alla porta in favore di Brian Humphries, negli Abbey Road Studios la Emi decise di fare installare il sistema audio Studer A80, innovativo mixer a 24 canali. Nulla di avveniristico rispetto a quanto fatto per ‘Dark Side’, quindi. In questo senso è probabile che il gruppo abbia voluto concentrare le proprie forze e tutti gli stimoli necessari alla composizione dei brani, pur sempre con un’ottimo e avveniristico impianto audio, ma lontano dalle innovazioni del precedente album. Questa scelta non faccia pensare a una minore qualità del suono, stiamo pur sempre parlando dei Pink Floyd all’interno degli Abbey Road studios.

La copertina merita, come sempre accade per i PF, una sezione a parte. Storm Thorgerson della Hipgnosis, sempre vicino alla band anche durante il tour del 1974 nel quale il gruppo aveva presentato in versione live alcune delle nuove registrazioni (‘Shine On You Crazy Diamond’, ‘Welcome To The Machine’), inizia ad analizzare i testi incentrati sulla tematica dell’assenza al fine di elaborare un’idea che portasse ad un’immagine di copertina capace di rispecchiare quell’assenza. Il riferimento va sicuramente a Barrett, ma non solo, giacché l’apparizione di Syd sarebbe avvenuta molto tempo dopo. L’assenza diviene una metafora per raccontare la distanza tra Gilmour e Waters, tra l’arte e il music business e nell’abisso delle ombre che l’individuo porta dentro di sé (‘Dark Side’ docet), così Thorgerson parte nell’elaborare la nuova copertina dei Pink Floyd da un’idea presa in prestito dalla band Roxy Music che proprio nel 1974 aveva pubblicato l’album ‘Country Life’. Quel disco era stato censurato e venne pubblicato avvolto da una busta di colore verde che andava a coprire la fotografia di due ragazze seminude. Da lì Thorgerson sviluppò una copertina che per l’epoca fece scalpore. L’album venne infatti presentato avvolto da una busta nera opaca con al centro un’immagine tonda con all’interno due mani meccaniche strette l’una all’altra che rimanda ai brani ‘Welcome To The Machine’ e ‘Have A Cigar’. Aprendo la busta l’album si presenta con un’immagine che subito colpisce, decisamente meno immediata di quella di ‘Dark Side’. Scattata in un viale tra capannoni industriali della Warner Bros due uomini in abito elegante si stringono la mano. Uno dei due è avvolto dalle fiamme. Si tratta di uno stuntman, Mr. Ronnie Rondell Jr., venuto a mancare pochi giorni prima del cinquantesimo del disco.

Cos’altro dire di un disco che, quanto il suo predecessore e i suoi due successori (‘Animals’ e ‘The Wall’) ha fatto storia? Nient’altro, se non che gli anni settanta per i Pink Floyd sono stati il periodo in cui Waters e Gilmour hanno dato il meglio di se stessi, due grandi menti accompagnati da altrettanti due musicisti, Mason e Wright, capaci di assecondare e rendere fluida la musicalità del gruppo. Mason con la sua ritmica mai invadente ma puntuale e precisa, Wright con evoluzioni di tastiera dai tratti cosmici e talvolta psichedelici. Non rimane che darci appuntamento tra altri due anni, quando Metal Hammer celebrerà il cinquantesimo di ‘Animals’.

HAMMER FACT:
-Ronnie Rondell Jr., stuntman apparso in oltre 200 film, muore pochi giorni prima che ‘Wish You Were Here’ festeggi il cinquantesimo compleanno. Rondell, nonostante la sua immensa carriera nella cinematografia, rimase famoso ai più per la sua apparizione sulla copertina dell’album, una delle più iconiche del mondo musicale.
-Brian Humprhies, tecnico del suono dell’album, presentò una versione quadrifonica di ‘Wish You Were Here’ all’international Audio Festival di Olympia, Londra, nell’ottobre del 1975, alla quale presenziò il solo Roger Waters. Fu la terza ed ultima versione quadrifonica di una album dei Pink Floyd, dopo ‘Atom Heart Mother’ e ‘The Dark Side Of The Moon’.
-Al minuto 0:26 del brano ‘Wish You Were Here’ si può ascoltare un colpo di tosse. La storia racconta si tratti di un colpo di tosse di David Gilmour, ma nessuno è in grado di spiegare per quale motivo non venne cancellata in fase di missaggio.
-‘Wish You Were Here’ divenne disco d’argento (60.000 copie) e disco d’oro (100.000 copie) in prenotazione, già ad inizio agosto del 1975, più di un mese prima della pubblicazione. Nella seconda settimana di settembre, appena pubblicato, raggiunse la vetta delle classifiche statunitensi.
-Esistono numerose ristampe in vinile dell’album. Le più recenti presentano nuovamente la sovracopertina nera. La versione più completa di ‘Wish You Were Here’ è la Super Deluxe  chiamata Immersion Edition, con all’interno un booklet fotografico con foto inedite dell’epoca, l’album rimasterizzato in CD, poster, memorabilia, il concerto tenuto allo Wembley Stadium nel 1974 – prima pubblicazione ufficiale -, e vari CD con all’interno bouns tracks e outtakes.

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