John Waite – The Restless One

Il 17/09/2010, di .

John Waite – The Restless One

Dopo aver infiammato le platee con The Babys e Bad English, il leggendario John Waite sta da anni riscuotendo ampi consensi con la sua carriera solista. Una carriera che lo vede oggi incidere ‘In Real Time’, live album al quale spetta il compito di fare da apripista al nuovo studio album previsto per la fine dell’anno. Fabio Magliano ha contattato il singer britannico per saperne di più…

Se si prendessero venti cantanti amanti del melodic rock pescati tra nuove leve e big affermati, e si chiedesse loro il nome dei dieci singer più importanti per la loro formazione artistica, quello di John Waite finirebbe inevitabilmente per saltare fuori. Perché il singer britannico ha saputo, prima con i The Babys, quindi con gli straordinari Bad English (super gruppo comprendente pure Neal Schon, Ricky Phillips, Jonathan Cain e Dean Castronovo, padroni delle classifiche a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta) ed infine con una ricca carriera solista, segnare profondamente la scena rock, grazie a una timbrica calda ed emozionante e a una serie di canzoni divenute presto evergreen. Quei brani che oggi trovano posto in un album live dal titolo ‘In Real Time’, apripista per un nuovo disco in studio realizzato con Kyle Cook dei Matchbox Twenty previsto per Natale.
John, ci troviamo oggi per promuovere il tuo nuovo disco dal vivo ‘In Real Time’.
Voi dirci qualcosa di più circa il tuo ultimo lavoro?
“(John Waite) Il disco è stato registrato nel novembre del 2009. Avevamo organizzato una serie di serate in Florida, registrando sei concerti in venue che abbiamo ritenuto ideali per la realizzazione di un disco dal vivo. Alla fine abbiamo utilizzato quasi interamente l’ultimo concerto, quello che per resa dei brani e per reazione del pubblico ci ha soddisfatto maggiormente. L’avessimo saputo avremmo evitato di registrare gli altri cinque show (ride, nda)
Pensi che, chi ascolta ‘In Real Time’, possa avere la chiara percezione di quello che è uno show di John Waite?
“Yeah, penso proprio di si. Il sound è bello grezzo e l’energia è magnifica. Il 2009 per alcuni versi non è stato un anno molto felice per me, a penso che molte delle emozioni provate, dei miei sentimenti più profondi, siano usciti in questa performance. Personalmente sono molto soddisfatto di come suona questo live, perché è vero, e credo che questo emerga bene”
Hai incontrato difficoltà nello stilare la scaletta del concerto, tenendo conto che dovevi pescare da circa trent’anni di carriera?
“No, non eccessivamente. Ci siamo limitati a scegliere quelle canzoni che rendevano meglio in chiave live. Il problema, semmai, è che c’erano troppi brani validi che sarebbe stato bello inserire, tant’è vero che ad un certo punto ho perfino pensato di realizzare un disco doppio, poi abbiamo fatto diverse valutazioni e abbiamo deciso di limare la scelta dei brani”.
Mi dici una cosa che ti piace particolarmente nel realizzare un lavoro simile?
“La sua imprevedibilità. Mi spiego meglio: il live non è qualcosa di statico, è qualcosa che varia di momento in momento. La band per sua natura cerca di provare qualcosa di nuovo ogni volta che suona, per questo le canzoni cambiano di sera in sera. Se assisti a due nostri concerti, la medesima canzone non sarà mai uguale a quella suonata la sera prima. E’ qualcosa di spontaneo che rende speciale il live. E’ questa quella magia del concerto di cui spesso si sente parlare”
C’è un brano tra quelli qui registrati che pensi renda particolarmente bene dal vivo?
“Credo che tutti abbiano un ottimo tiro dal vivo. Mi piace come è venuta ‘Rock’n’Roll’ dei Led Zeppelin, la botta a livello di energia era qualcosa di facilmente percepibile. E mi piace anche come ha reso ‘Missing You’, perché suona come ha sempre dovuto suonare, disperata e energica allo stesso tempo. E’ così che le canzoni dovrebbero sempre suonare, ed è per questo che sono così soddisfatto del lavoro svolto”. 
Ma cos’è che più ti piace delle performance live?
“Ovviamente cantare… ed è stupendo confrontarsi ogni sera con una band così preparata. Da quando abbiamo arruolato Luis Maldonado, ogni cosa è andata a posto, abbiamo trovato la giusta quadratura del cerchio e ora non vediamo l’ora di andare sul palco e iniziare a suonare”.
Molte band che hanno avuto, come te, l’apice negli anni Ottanta, stanno prepotentemente ritornando a galla ritrovando, oltre a fan nostalgici, anche adepti tra i giovanissimi. E’ la stessa cosa per te?
“Sicuramente. Ho avuto un gran successo con i The Babys, poi sono passato alla carriera solista e ho riscosso ancora più consensi che con la mia prima band. Il passo successivo sono stati i Bad English, il che è tutto detto… Non sono mai sparito dalle scene, il mio nome ha sempre continuato a circolare. E’ significativo il fatto che, dopo aver lasciato i Bad English, ho inciso da solista ‘Temple Bar’ e ‘When You Were Mine’, due dei miei dischi preferiti… penso che il mio pubblico sia aumentato costantemente album dopo album e abbia fatto registrare un certo cambio generazionale. Ovviamente essere riuscito a parlare ai giovani d’oggi come parlavo negli anni Ottanta a chi ascoltava la mia musica, è un ulteriore motivo di orgoglio per me”.
Toglimi una curiosità. Per molti musicisti John Waite è una sorta di eroe, un mito da prendere come ispirazione… ma John Waite ha degli eroi?
“Certo, un po’ come tutti. Ce ne sono tanti di eroi la fuori. Da Martin Luther King a Madre Teresa… e poi Steve Marriott, Otis Redding, Keith Richards, Pete Townsend, Hank Williams…. Chiunque abbia un certo fuoco dentro, una notevole forza interiore e uno sconfinato carisma si può considerare un eroe. E’ qualcosa che non riguarda unicamente la musica ma arriva tranquillamente a lambire il mondo della politica”.
Come hai sottolineato prima, hai avuto una certa esperienza in seno a diverse band prima di intraprendere la carriera solista. Pensi suonare da solo sia meglio che confrontarti con un vero e proprio gruppo?
“Non penso ci siano grandi differenze, anche perché per avere successo come solista devi comunque avere una grande band alle spalle… a livello di musicisti, certo, ma anche validi uomini nella tua crew, gente che ti sappia guidare e che sappia gestirti nel corso della tua carriera. Musicalmente parlando anche se il nome sul cartellone è il mio, ho sempre visto alla mia attività come a quella di una band vera e propria. E ho sempre nutrito un profondo rispetto nei confronti dei musicisti che collaborano per me sia dal vivo che in studio”
Ma non hai mai sentito l’esigenza, in questi anni, di riesumare le tue vecchie band, magari proprio i Bad English?
“No, mai. Quando arrivi ad una certa età hai ben chiaro in testa ciò che vuoi, e non hai bisogno di un monile dietro al quale nasconderti per raggiungere il tuo obiettivo. Come ti dicevo prima, considero i ragazzi con i quali suono oggi come una vera e propria band, paradossalmente più band questa che non i The Babys… Poi non mi piacciono i compromessi, le cose si fanno quando ci si sente, quindi proseguo sulla mia strada, senza guardarmi alle spalle. E penso che ciò che ho fatto negli ultimi anni mi stia dando ragione”
Sei soddisfatto di quello che hai ottenuto sino ad oggi, o pensi che il tuo successo possa ancora crescere nel tempo?
“Sono molto soddisfatto ma allo stesso tempo sono estremamente ambizioso, soprattutto per quanto riguarda la creazione di nuova musica. Recentemente ho lavorato a Nashville con Kyle Cook dei Matchbox Twenty ed insieme abbiamo scritto canzoni stupende. Nel corso dell’anno dovremmo continuare la collaborazione e arrivare alla realizzazione del disco. Ecco, non mi stuferò mai di guardare avanti nel tentativo di far crescere la mia musica”.
Guardando alla tua carriera, cos’è che ti rende particolarmente orgoglioso?
“Penso raggiungere il numero uno in classifica in un paio di occasioni, a cinque anni di distanza la prima volta dalla seconda. Non è affatto una cosa semplice, ma fare le cose mantenendo intatta la tua integrità artistica è il segreto”.
E la difficoltà più aspra che ti sei trovato a dover affrontare in tutti questi anni?
“Forse l’entrare nell’ottica che il music business è composto per il 10% dalla musica e per il 90% dal business. Per un artista comprenderlo è difficilissimo. Io virtualmente non ho interessi negli affari, ma fare soldi con la propria musica è un obiettivo primario, più che altro perché soldi sono il sinonimo di libertà, che per un musicista è tutto. Io però ho sempre pensato che musica e affari non dovessero mai stare insieme, perché quando lo facevano usciva un prodotto da rivendere, non un disco fatto con il cuore. Comprendere che non era proprio così che stavano le cose, è stato molto duro”.
Nel 1984 hai raggiunto il primo posto in classifica con il singolo ‘Missing You’. Possiamo affermare che questo brano ti ha cambiato la carriera?
“In alcuni versi, si. Vedi? Quando ero con i The Babys avevamo un gran seguito in America. Enorme. Avevamo inciso molti singoli di successo, però eravamo una band. Nel momento in cui tu hai successo, e raggiungi la vetta delle classifiche da solo, tutto cambia. Non sei più parte di un progetto, la gente inizia a riconoscere il tuo talento. Quando raggiungi il successo da solista, ti puoi considerare arrivato”
Oltre a ‘Missing You’ hai inciso altri grandi classici del rock come ‘When I See You Smile’ o ‘Price of Love’… cosa significa per un artista raggiungere l’immortalità con la propria musica?
“Ho sempre cercato di scrivere dei classici senza tempo, un po’ come quelle meravigliose canzoni degli anni ’60 o i classici del country di Hank Williams. Mi è sempre piaciuta l’idea di poter essere riconosciuto grazie alla mia musica, all’essere identificato attraverso una canzone. ‘Satisfaction’ ha marchiato a fuoco gli Stones, beh, per me è motivo d’orgoglio essere dipinto attraverso ‘Missing You’. E’ un traguardo raggiunto nella mia carriera, senza dubbio”.
Ora, mandato in archivio il disco live, immagino ti butterai sul prossimo album in studio…
“Esattamente. Come ti ho detto in precedenza, sto lavorando con Kyle Cook, e ciò che sta venendo fuori è davvero notevole. C’è del country, c’è del rock, d’è della dance e c’è lo spirito selvaggio degli Stones… è un disco molto interessante, estremamente ispirato. Non sappiamo ancora se sarà un EP o si trasformerà in un album vero e proprio, però quel che è certo è che a fine anno vedrà sicuramente la luce, basta avere la pazienza di aspettare…”

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