New York Dolls – Personality Crisis

Il 12/02/2011, di .

New York Dolls – Personality Crisis

Hanno fatto la storia del glam e gettato le basi per il punk. Hanno scritto alcune delle pagine più oltraggiose della storia del rock. Poi sono maturati, hanno messo la testa a posto e hanno svoltato. I New York Dolls, con il nuovo ‘Dancing Backward In High Heels’ paiono voler accantonare il volto più sfrontato del proprio sound dedicandosi a vie più soft e sperimentali. Sfida vinta? Azzardo? Secondo il chitarrista Sylvain Sylvain rientra tutto nel naturale scorrere delle cose, come ci spiega in una lunga ed accurata intervista.

Ci sono occasioni in cui preferiresti andare dal dentista a farti togliere un dente piuttosto che affrontare diligentemente il tuo compito. Intervistare a questo giro i New York Dolls è una di queste. Non perché la band in questione sia di quelle ostiche da affrontare, tutt’altro. Il chitarrista nonché fondatore del gruppo Sylvain Sylvain è quanto di più piacevole ti possa capitare giornalisticamente parlando: cortese, ciarliero, una miniera di ricordi ed aneddoti… un vero gentleman. Il problema si pone quando si tratta di parlare di un disco, ‘Dancing Backward In High Heels’ che a ben vedere di New York Dolls ha ben poco. Della band oltraggiosa e sfrontata che negli anni Settanta, con uno sfacciato mix di punk e rock diede vita in un colpo solo a due correnti di fondamentale importanza per il mondo della musica come il glam ed appunto il punk, nel terzo album post-reunion c’è ben poco, soffocato com’è tra coretti soft, soluzioni più easy listening e una spiccata vena sperimentale. Le ragioni di tale rivoluzione ci vengono spiegate da un Sylvain senza peli sulla lingua, pronto a difendere con le unghie e con i denti la sua creatura prima di lanciarsi in un interessante viaggio a ritroso nel tempo…
Sylvain, pur nutrendo una sorta di venerazione verso i New York Dolls non nego che il vostro nuovo disco mi ha spiazzato non poco, lontano com’è da quelle sonorità che vi hanno lanciato negli anni Settanta. Pensi che questo cambiamento rientri in un naturale processo evolutivo della band o c’è dell’altro alla base?
“Spero che ogni volta che ci siamo trovati a incidere un nuovo disco, siamo riusciti a fare qualcosa di più, a non ripeterci ma a evolvere il nostro sound, senza però mai rinnegare il passato. Tendenzialmente abbiamo sempre cercato di cambiare perché incidere lo stesso disco per compiacere ai nostri fan sarebbe stato noioso e un insulto alla nostra vena creativa. Come musicisti cresciuti nel corso degli anni, sentiamo l’esigenza di evolvere ciò che facciamo, sarebbe preoccupante se ci trovassimo alla fine della giornata rendendoci conto di non essere stati in grado di tirare fuori qualcosa di nuovo e, ancora di più, se non fossimo stati in grado di esprimere il meglio di noi stessi”.
Il fatto che tutti vi conoscano per la vostra vena punk e che il nuovo disco mostri invece il vostro lato più soft e sperimentale, non pensi possa spiazzare un po’ i vostri fan?
“Se stai a guardare, anche nel nostro primo disco c’era un brano ‘Lonely Planet Boy’ lento ed intimistico destinato a diventare più veloce e robusto, una sorta di ballata rock che già all’epoca portava alla luce il nostro volto più soft. Oggi non ci siamo chiesti troppo se il nostro sound fosse più o meno soft, noi ci siamo solo interessati sulla qualità del materiale composto. Era buono? Funzionava? Era qualcosa di importante? Allora lo incidevamo…Nel corso della lavorazione dei disco sono usciti anche pezzi veloci, però ci siamo resi conto che non erano freschi, non erano spontanei, ed allora li abbiamo accantonati”.
Ma chi pensi sia, oggi, il fan medio dei New York Dolls?
“Questa è una cosa divertente, perché la band è riuscita ad abbracciare una vasta gamma di fan, anche i più impensabili. Ai nostri concerti trovi dal metallaro con i capelli lunghi al punk con la cresta a quello in giacca e cravatta. Trovi il padre nostalgico con il figlioletto al seguito, oppure cosa ancora più incredibile vedi le ragazzine che adorano i New York Dolls che si portano dietro le madri che non ci hanno mai ascoltato. E’ splendido, perché i fan dei New York Dolls non hanno stile, non hanno colore, non hanno confini. Perché mi hai posto questa domanda? Vuoi sapere chi comprerà il nostro disco?”
Non necessariamente. Temo solo che se i vostri fan non sono abbastanza open minded, potrebbero rimanere delusi conoscendo le vostre origini punk e la vostra attitudine selvaggia…
“Capisco cosa intendi, ma io confido nel fatto che la gente non ci giudichi per il nome, ma per il valore delle canzoni. Io credo molto in questo disco, perché è ispirato, c’è humor nelle canzoni, c’è brio, ci sono belle melodie e cori interessanti… e la gente deve guardare questo. Non importa se sul disco c’è il nome dei New York Dolls, conta se le canzoni sono valide, e lo sono, credimi. Purtroppo c’è la convinzione che quando una band storica ritorna sulle scene, deve continuare a fare quello che faceva trent’anni prima, per la critica è inconcepibile pensare che quel gruppo negli anni sia cresciuto, abbia cambiato modo di comporre, gusti, stili. Il punk lo facevamo nel ’73 quando eravamo ragazzi di 19 anni, oggi siamo cresciuti, siamo nella condizione di poter suonare quello che ci piace e grazie al cielo lo facciamo bene. E questo i nostri fan lo stanno apprezzando”.
Ma negli anni ’70 siete stati in grado di iniziare qualcosa di nuovo per l’epoca, oggi che non c’è più nulla da inventare, in che direzione vi muovete?
“Oggi ci muoviamo con più disinvoltura perché non abbiamo più l’esigenza di shockare ad ogni costo. Oggi suoniamo quello che amiamo e cerchiamo di fare vedere alla gente ciò che realmente siamo. Il passato oggi ritorna in un brano come ‘I Sold My Heart to The Junkman’ (Sicuro? E’ un’altra ballata moscia moscia. Nda) E’ ma è un episodio, non vogliamo essere schiavi di quel che eravamo, vogliamo essere liberi e vogliamo fare unicamente quello che ci piace”.
Addentrandoci nel reparto “miti e leggende”: anni fa, Blackie Lawless mi disse che la cosa più importante imparata dai New York Dolls era “ciò che NON avrebbe mai dovuto fare, se avesse voluto sopravvivere nel mondo della musica”. Ma eravate davvero così estremi all’epoca?
“No, non mi pare giusto definire estremo il nostro stile di vita dell’epoca. Tante cose dette sono bugie fatte circolare per creare la leggenda. All’epoca ero coinvolto profondamente nella scena artistica newyorkese, ammiravo/ammirato Andy Warhol, vivevo il fermento che si respirava in città a quel tempo, ma in questo non c’era nulla di estremo. Mi spiace ma sono altri i giudizi che per me contano, non certo quelli di Blackie Lawless”.
Si dice che se i New York Dolls oggi siano considerati i padri del glam, è perché un certo Sylvain Sylvain all’epoca “inventò” quel determinato look. E’ proprio così? Come ti venne questa idea?
“Si, è così e le ragioni sono molto semplici. Ancora prima di diventare musicista, avevo un piccolo business con Billy Murcia, il primo batterista dei NYD, nel campo della moda. Avevamo insieme un negozio di vestiti nel 1968, aperto prima del Festival di Woodstock nel ’69, e ci piaceva andare a cercare soluzioni nuove, anche bizzarre per l’epoca, cercando di lanciare uno stile nuovo che fosse anticonformista. Fu naturale, quindi, una volta messa su la band con David Johansen e Johnny Thunder applicare questo tipo di vestiti al gruppo. La mia importanza in questo senso fu però minima, perché io consigliai e diedi idee a livello di vestiti, ma per quanto riguarda il look vero e proprio, il make up e tutto il resto ci misero molto di loro anche gli altri ragazzi. Quando conobbi a New York Vivienne Westwood diventandone amico, ebbi poi modo di migliorare ancora di più le mie conoscenze in fatto di fashion, creai un ponte tra America ed Inghilterra importando ed esportando vestiti, e quando nel 1971 Malcom Mc Laren iniziò a gestire la band, finimmo per creare una doppia collaborazione sia dal punto di vista musicale che del vestiario”.
Hai citato Malcom Mc Laren, scomparso un anno esatto fa. Che ricordo hai di lui?
“Ho solo bei ricordi perché ha significato molto nella storia dei New York Dolls. Dopo aver vissuto per un po’ in America tornò in Inghilterra e qui capì che era meglio mettere un po’ più di rabbia, di spirito di ribellione, di anticonformismo in quello spirito da “figli dei fiori” che si respirava all’epoca, ma questo lo capì vedendo cosa trasmetteva la televisione in America e cosa si sentiva alla radio. A lui va il merito di aver dato il là a quel movimento poi ribattezzato punk, ma perché ebbe un’intuizione geniale, quella di scavare a fondo e tirare fuori quel marcio che all’epoca si tendeva ad occultare. Adoro Malcom, non potrei mai parlarne male. Ho avuto modo di viaggiare molto con lui, siamo stati insieme a New Orleans, nell’ultimo show dei New York Dolls… proprio quando Blackie Lawless suonò per la prima ed unica volta con noi. Avevamo bisogno di soldi, Johnny e Billy se n’erano andati, avevamo alcuni show programmati e non avevamo di fatto una band. Malcom chiamò questo ragazzo che diceva di saper suonare la chitarra ed assomigliava a Johnny Thunder ma solo nel look. Tenemmo quel concerto ma non era destino che durassimo. Il resto è storia…”
Quindi per alcuni versi è vera la leggenda che vuole Malcom McLaren conoscere i New York Dolls in America, tornare in Inghilterra e creare, ispirandosi a voi, i Sex Pistols…
“Sì, è vero, non è un caso se negli anni siamo stati spesso associati ai Sex Pistols. Quello che ci lega a loro è un rapporto molto particolare. Abbiamo avuto modo di suonare insieme negli ultimi anni in qualche festival ma il loro mondo è all’opposto del nostro. Non concepisco una band che continua a vivere nel passato rifiutandosi di incidere nuova musica. Va bene che la gente vuole quello da loro, ma io trovo sia fondamentale guardare al futuro, non solo al passato come fanno loro”.
Visto il grande successo che stanno riscuotendo le biografie dei gruppi rock “maledetti”, non avete mai pensato di scriverne una voi stessi? Penso che di cose interessanti da raccontare ne abbiate a bizzeffe…
“Ma ce ne sono diverse in circolazione, una in particolare ‘Please Kill Me’ è davvero bella, però l’hanno scritta altri scrittori, non siamo stati coinvolti in prima persona. Si, penso che possa essere una buona idea, poi io per mia fortuna ho un’ottima memoria, mi ricordo molte cose e di storie divertenti da raccontare ne ho molte. Dovrei solo trovare il tempo di farlo, perché al momento sono molto impegnato. A parte i New York Dolls ho un altro progetto in mente da portare avanti, i The Batusis, e tempo per fermarmi a scrivere ora come ora ne ho davvero poco. Non è però da escludere che più avanti possa farci un pensierino…”
Tra gli impegni penso ci sia anche un tour. Lo state pianificando? Pensate di venire a suonare anche in Italia?
“Certo! Stiamo pianificando tutto e pensiamo di venire sicuramente anche in Italia perché amiamo il vostro Paese, l’ultimo tour che abbiamo tenuto da voi è stato stupendo. Abbiamo suonato molto ricevendo un gran responso di pubblico. Soprattutto al nord è stato speciale, i fan ci hanno riservato un’accoglienza splendida e speriamo di ripetere la cosa quanto prima. So che ad aprile verremo in Europa per alcune date ma non so per certo se siano previsti show in Italia. Ora siamo impegnati nell’organizzazione del tour americano in estate, in compagnia di Motley Crue e Poison, e la cosa non nego che mi rende particolarmente felice. ”

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