Steve Sylvester – Tutti i Colori del Buio

Il 23/03/2012, di .

Steve Sylvester – Tutti i Colori del Buio

E’ il 1977 quando l’adolescente Steve Sylvester, oscuro personaggio assetato di sapere, getta le basi per i Death SS, una delle creature più controverse e discusse del metal mondiale. Una band nata tra messe nere e orgasmi estremi, orge e riti occulti, e balzata agli onori della cronaca per shockanti show a base di sangue e croci infuocate. Tutto questo trova posto ne ‘Il Negromante del Rock’, la biografia del cantante pesarese recentemente uscita e divenuta un piccolo fenomeno letterario. A presentarcela in esclusiva è il sempre affascinante vampiro…

“La notte… quando calavano le tenebre tutti dormivano. Io, invece, nascevo. Sentivo quell’entità che veniva a bussare alla mia porta e voleva trovare posto nel mio cuore di pece. Ed era sublime accoglierlo. Il signore della notte ed io, silenziosi e complici”. Così si racconta Steve Sylvester ne ‘Il Negromante del Rock’, la sua biografia, il libro attraverso il quale, con l’ausilio di Gianni Della Cioppa, lo storico leader dei Death SS si mette a nudo, narrando con cruda sincerità la genesi di una delle creature più controverse e discusse del metal mondiale, concentrando l’attenzione sui cinque anni che, dal 1977 al 1982 hanno visto il tormentato Stefano Silvestri morire e rinascere Steve Sylvester, fondere le sue passioni per i fumetti erotici e il cinema horror, la musica glam e l’esoterismo in un mostro informe che, all’epoca, si nutriva di tutto ciò che era estremo e selvaggio. ‘Il Negromante del Rock’ è un appassionante viaggio tra messe nere e orgasmi tra ossa umane, viscere gettate sul pubblico inerme e tombe profanate, narrato con dovizia di particolari e spietata sincerità da uno Steve Sylvester lucido come non mai. Una lucidità ostentata anche nella lunghissima intervista vis-à-vis concessaci in esclusiva in un caldo pomeriggio di marzo, nella suggestiva cornice di una splendida villa cinquecentesca nella campagna toscana.
Quando si parla con un artista che ha appena pubblicato la propria autobiografia, l’aggettivo comunemente utilizzato per descrivere il processo di scrittura è solitamente “terapeutico”. Lo è stato anche per te?
“In parte si, perchè in tutti questi anni c’è sempre stata molta gente che mi ha chiesto delucidazioni circa determinate situazioni e, soprattutto, su quella che è stata la genesi della band. Infatti lo scopo di questo libro non è tanto quello fungere da biografia dei Death SS, quanto di raccontare la storia di Steve Sylvester adolescente e di cosa è successo in quel periodo che andava dal 1977 al 1982 quando ho dato vita a questo progetto, con tutti i vari retroscena ed il dietro le quinte della nascita del gruppo. Quindi dal mio punto di vista è stata una sorta di liberazione, il raccontare tutto, ma proprio tutto, quello che è stato. Poi mi ha consentito di mettere a tacere determinate illazioni, fantasie, leggende metropolitane studiate ad hoc giusto per attaccare la band, quindi mi è servito per svuotare il sacco e dire la mia una volta per tutte su questa storia, e per chi lo legge, per capire come sono andate realmente le cose. E penso che anche chi non conosce i Death SS possa trovare in questo libro qualcosa di interessante ed originale, che è anche lo specchio di un’epoca, un’epoca agli albori della musica rock alternativa italiana”.
Nel libro emerge forte l’immagine di Pesaro come realtà dalla quale evadere e fondamentale per la nascita dei Death SS. Spesso viene da chiedersi dove sarebbero arrivati i Death SS se fossero nati a Londra o New York, ma l’impressione è che non sarebbero stati tali se non fossero proprio figli della provincia italiana…
“Questa è una domanda che mi è stata sempre fatta: “Cosa sarebbe successo se i Death SS fossero nati a Londra invece che a Pesaro?” Sicuramente sarebbe venuta fuori un’altra cosa, forse anche un altro gruppo, perchè i Death SS sono una band dalla forte impronta italiana. Considero la loro italianità uno degli elementi peculiari della natura dei Death SS. Noi siamo figli di una cultura o sottocultura italiana, quella che viene appunto dai fumetti erotici degli anni Settanta e quindi i lavori di Renzo Barbieri ed i vari ‘Zora’, ‘Oltretomba’, ‘Jacula’ che magari i più grandi di età conosceranno bene, poi i vari film italiani di maestri come Bava, Lucio Fulci, il primo Dario Argento… questa sottocultura italiana è quella che poi ha portato alla nascita dell’idea di base dei Death SS, quindi se fossimo nati all’estero, magari saremmo stati un gruppo molto diverso, senza tante radici che i Death SS hanno. Anche quella capacità tutta italiana di creare qualcosa dal nulla, di arrangiarsi per poter emergere, viene fuori anche tra le pagine del libro; questi ragazzi che all’epoca avevano 13/14 anni che, con i loro scarsissimi mezzi, riescono a portare avanti qualcosa perchè ci credono molto. L’ambiente della provincia italiana come quella di Pesaro negli anni Settanta, poi, ha influito molto, perchè c’erano ben pochi sbocchi, ben poche cose da poter fare, e questo è stato anche una sorta di motore che ci ha spinti a ribellarci a quel perbenismo provinciale contro il quale i Death SS si sono sempre opposti”
Nel libro è contenuta la genesi dei Death SS ma, leggendolo, l’impressione è che nei primi tempi la realtà fosse quella di un “minestrone” nel quale convogliavate il vostro amore per musica, fumetti, cinema, esoterismo… mentre andando avanti tutto si è meglio delineato e i Death SS, come tutti li conosciamo, siano emersi in un secondo tempo…
“Certo, perchè come una persona che crescendo da adolescente diventa ragazzo, da ragazzo diventa adulto, uomo… c’è un percorso evolutivo anche nella band. All’inizio eravamo più naif, anche ingenui, mentre con il passare degli anni, l’evoluzione è andata a interessare tutti gli aspetti della band, non solo quello della maggiore perizia tecnica dei musicisti, ma anche quella delle tematiche. E anche il doppio volto dei Death SS, quello che se da un lato riguarda semplicemente l’impatto visivo che si ha nello spettacolo e quindi quello rivolto verso il Grand Guignol, dall’altro si concentra verso uno studio più attento, più colto, più serio su quelle che sono le tematiche affrontate nelle canzoni, quindi quello che passa attraverso i miei studi sull’occultismo, sulla parte nascosta della vita e altri interessi che ho continuato a coltivare negli anni. C’è una dualità: da un lato quello che vedi in superficie, lo spettacolo, lo shock rock, vampiri, mostri, sangue, donne nude e tutta la parafernalia che è stata mutuata da tutti questi fumetti erotici neri e dai film horror, da un altro una ricerca più seria e attenta di quello che può essere un percorso di occulto che si evolve via via attraverso ogni mio disco. Sta a te decidere se rimanere alla superficie o scavare più a fondo”.
Si può dire che anche il satanismo rientrava in un’ottica naif?
“Assolutamente. Il satanismo come era inteso nei Death SS, come è inteso tuttora, è più ad un lato estetico, ci interessava più l’estetica di un certo movimento satanista, in realtà non siamo mai stati dei satanisti. I Death SS come band se hanno un messaggio, lo hanno rivolto verso la libertà, per riallacciarci al celebre motto di Aleister Crowley “fai ciò che vuoi”, che in realtà non è uno slogan satanista ma è un invito a prendere coscienza delle proprie capacità e di vivere secondo la propria maniera, senza restrizioni. Poi questa cosa è stata travisata nel tempo… in realtà noi vediamo la cosa sotto un’ottica più ampia, più liberale… ed infatti io mi trovo di più in quella corrente chiamata Chaos Magick, che ci porta a prendere da tutte le discipline, anche da quelle più disperate che possono andare dal buddismo al cattolicesimo, soltanto le cose migliori che fanno al caso nostro e poi evolversi per un determinato cammino di avanzamento spirituale personale. Non c’è nulla di negativo in questo, anzi…”
Con questo libro hai appagato chi era assetato di gossip ma la musica pare messa in secondo piano…
“Perchè era così. Agli inizi, nel progetto Death SS, c’era la musica, ma non era un progetto unicamente musicale. La musica passava quasi in secondo piano, perchè c’era tutto il resto che ci prendeva a livello di energie fisiche e mentali. La musica era un compendio di quello che era il progetto Death SS, composto da tante altre cose, come ad esempio uno stile di vita selvaggio… Noi eravamo delle persone diverse, e di questa diversità noi ci compiacevamo. La musica era un contorno di tutto questo… poi crescendo negli anni tutto si è capovolto e la musica è diventata il centro di tutto”.
Una cosa che colpisce del disco è il fatto che parli in modo disinvolto di esperienze con droghe e pratiche estreme, mentre è ricorrente il tuo mea culpa verso le violenze fatte in passato sugli animali…
“E’ giusto… è stata la parte più difficile del libro. Tutto il resto è nato spontaneamente, ma per onestà ho voluto parlare anche di cose che non mi fanno onore, e quella della violenza sugli animali, essendo io un animalista attivista da tempo, è una di quelle poche cose che rimpiango e che mi provocano dolore al pensiero. Tutto il resto, anche le cazzate fatte da adolescenze, potrei anche rifarle, perchè in un modo o nell’altro mi sono servite a crescere e a maturare, mentre la violenza sugli animali non è servita a nulla, è solo una cosa vile. Ho voluto fare ammenda pubblicamente e mi è sembrato giusto così”.
Quando si parla dei primi Death SS viene comunemente fuori il binomio Steve Sylvester/Paul Chain, mentre nel libro emerge forte l’immagine del compianto Aldo Polverari, fondamentale per la nascita dei Death SS ma troppo spesso rimasto nell’ombra…
“Ho voluto dare la giusta importanza anche alla figura di Aldo Polverari in un libro che parla soprattutto della genesi dei Death SS. Lui era il mio migliore amico ed era un personaggio molto importante, che fungeva un po’ da mediatore tra me e Paolo, due caratteri opposti. Mentre io e Paolo eravamo quelli più vistosi, lui per carattere rimaneva nell’ombra, però anche lui era un pazzo, era un genio… e la sua figura è stata fondamentale perchè è stato colui che, con noi, ha composto tutte le parti più elettroniche, di tastiere, quelle più macabre… da un punto di vista musicale c’è stato un apporto notevole da parte sua. Non essendo mai stato inserito ufficialmente nella line up non si parla spesso di lui, però la sua importanza per la nascita dei Death SS è stata notevole”.
Nel libro si parla anche dei danni che determinate pratiche hanno provocato sulla mente di chi le ha fatte. Viene da dire che il patto con il demonio atto a ottenere ricchezza e potere ha portato solo follia… Segno che è tutto un bluff o che qualcosa non è andato nel verso giusto…
“Quello che viene considerato un patto con il diavolo esiste realmente ma non ha nulla a che fare con quello di Faus-tiana memoria, con la pergamena firmata con il sangue davanti al Signore delle tenebre. Si tratta di un complesso tipo di studi, discipline mentali che si ricollegano in qualche modo anche a pratiche yoga, che portano alla realizzazione di un impegno che prendi proprio con te stesso per un determinato scopo. Poi ci sono diversi tipi di patto, c’è quello dei 27 anni, nel quale si arriva sino a una determinata età e poi si deve morire perchè si esaurisce l’energia vitale ed è quello dei vari Jim Morrison, Jimi Hendrix, Amy Winehouse, Curt Cobain… e invece c’è quello che costa meno che non porta fama, soldi, popolarità… però puoi vivere almeno trent’anni in più. Io ho scelto il secondo e infatti non sono morto ma non sono neppure ricco e famosissimo”.

Foto ALICE FERRERO

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