The Young Gods – Il ritorno degli dèi

Il 16/01/2019, di .

The Young Gods – Il ritorno degli dèi

Una volta Mike Patton disse di invidiare a The Young Gods il nome che avevano scelto: potente, evocativo, un perfetto condensato di rock. Ma questa non era che la punta dell’iceberg, perché in realtà in molti, se non invidiato, hanno esplicitamente ammirato negli svizzeri l’unicità di un suono che ha saputo tracciare una rotta tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo. Personalità del calibro di The Edge e David Bowie, tanto per citarne due. Sì, perché i The Young Gods hanno saputo, fin dal primo momento, coniugare noise, industrial, elettronica e rock in una miscela che sprigionava brani urticanti dai soli synth e batteria, senza l’utilizzo di chitarre e basso. Oggi, a distanza di oltre trent’anni dal loro debutto, il gruppo svizzero è sempre in corsa con una nutrita attività live e si appresta a pubblicare un nuovo album dopo l’ultimo ‘Everybody Knows’ risalente al 2010. Ne abbiamo parlato con Franz Treichler e Bernard Trontin.

Per iniziare, cosa potete dirmi del nuovo album?
FT: Innanzitutto che è finito! Tutto è iniziato quando io, Bernard e Cesare abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2013. Siamo partiti dai primi album e dopo un po’ di anni ci siamo detti che avremmo dovuto iniziare a fare qualcosa di nuovo, che appartenesse a noi tre. Un po’ di tempo fa abbiamo avuto l’opportunità di partecipare ad un festival jazz, in cui per cinque sere abbiamo suonato in un piccolo club con jam session di improvvisazione davanti a un’ottantina di persone. Ogni sera facevamo tre set di un’ora. Abbiamo preso il meglio di queste quindici ore di jam session ed abbiamo deciso di lavorarci per impostare un nuovo album. Molte canzoni sono di sette – otto minuti, molto elettroniche e dove io stesso suono la chitarra. Alcune sono in inglese, altre in francese, altre nelle due lingue insieme. Ci abbiamo messo un po’ di tempo, considerando che abbiamo iniziato a lavorarci tre anni fa.

Da dove è nata l’ispirazione per le vostre nuove composizioni?
FT: Credo che volessimo cercare di fare qualcosa di nuovo, senza pensare a nulla in particolare. Su alcuni brani abbiamo lavorato con persone esterne al gruppo, persone che ci piacevano provenienti dalla scena techno synth sperimentale.
BT: Per me è stata la prima volta in cui ho avuto l’opportunità di sperimentare in modo così ampio il mio feeling jazz, senza limitazioni. Ho potuto provare qualsiasi cosa avessi in mente. Non sono stato realmente ispirato dal jazz, ma ho vissuto una modalità di espressione molto simile al jazz, il che per un batterista negli Young Gods rappresenta una cosa piuttosto unica.

Avete detto che nel vostro nuovo lavoro le chitarre hanno un grande spazio, il che rappresenta un inedito per The Young Gods. Possiamo quindi dire che è proprio la chitarra ad aver guidato la composizione?
FT: Sì, l’utilizzo delle chitarre ed anche l’improvvisazione. Specialmente nel processo compositivo. Perché prima non abbiamo mai usato l’improvvisazione per comporre. È stato un processo collettivo di conferimento di idee e di jam session, così è nata l’ossatura del nuovo album.

Quando uscirà il nuovo album?
FT: Alla fine di febbraio, anticipato da un singolo che dovrebbe arrivare prima della fine di novembre in streaming.

Passando alla dimensione live, sulla quale avete sempre riscosso molto consenso, come secondo voi si è sviluppata nel corso degli anni?
FT: Ci sono diverse risposte a questa domanda. La tecnologia è cambiata molto. Noi siamo nati con la tecnologia del sampling e negli anni Ottanta avevamo queste folli possibilità di portare nelle canzoni molti elementi differenti. E questo si ripercuoteva anche nei concerti dal vivo. Oggi non è più una sorpresa: i colori sono molto differenti, e se ancora usiamo sampling e programming, lo facciamo in modo diverso. Il portare la chitarra ha introdotto nuovi elementi ed ha aiutato a sviluppare nuovi modi di suonare che prima non usavamo. All’inizio non era un elemento degli Young Gods, oggi è quasi centrale in alcune composizioni.
BT: La chitarra è molto espressiva e nel nuovo album ha un grande spazio, a fianco proprio della voce, e questo si sente anche nei brani dal vivo. Il suo incrocio con la tecnologia funziona molto bene e si è adattato perfettamente al nostro sound.

Sempre a proposito di live, come preparate le scalette dei vostri concerti? Cercate di fare un mix tra vecchio e nuovo o seguite criteri diversi?
FT: All’inizio con questa formazione abbiamo iniziato a suonare brani dei primi due album. Poi abbiamo cercato di inserire anche canzoni provenienti dagli album successivi, perché il pubblico vuol comunque sentire brani come “Kissing the Sun”, “Gasoline Man” o “Skinflowers”. Cesare si è mostrato entusiasta nel riprendere anche questi pezzi e tutti ci siamo sentiti più a nostro agio nella sfida di ripercorrere tutta la nostra discografia. In un certo senso ha rappresentato per noi un uscire dalla nostra zona di comfort, e vedere l’apprezzamento da parte del pubblico ci ha dato entusiasmo. Molti brani li abbiamo destrutturati, ricostruiti, riarrangiati, ma hanno sempre funzionato e la gente ha sempre apprezzato: è anche questa la magia del live, ricreare e rivivere.

Ho una grande curiosità che è nata fin da quando vi ho iniziato ad ascoltare molti anni fa. Da moltissimi grandi artisti, nel corso degli anni, siete stati indicati come uno dei gruppi più importanti in termini di ispirazione e contenuti. Come vi spiegate tutta questa stima e questo credito nei vostri confronti?
FT: Non lo so proprio. Non potrei darti una risposta del perché questa ammirazione nei nostri confronti. C’era chi vedeva in noi qualcosa di nuovo nel rock, nell’industrial, nell’elettronica. Certamente quando ci siamo presentati eravamo qualcosa che non apparteneva a scuole o tendenze, ma esprimevamo qualcosa di radicalmente nuovo. E credo che la gente apprezzasse tutto questo.
BT: prima di unirmi agli Young Gods io ero un loro fan. Quello che vidi era che suonavano in un modo in cui nessuno suonava, né nell’industrial, né nel rock. Al tempo stesso c’era qualcosa di spirituale, il mix di queste due componenti per me era davvero unico, era l’unica band così potente da riuscire a unire queste due parti. Ed ancora oggi gli Young Gods sono questo.

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