Esogenesi – Abominio tricolore

Il 02/12/2019, di .

Esogenesi – Abominio tricolore

Qualcosa si muove nell’underground italiano. C’è chi, come gli Esogenesi, agli strepiti e ai piagnistei preferisce il lavoro, la concretezza e le idee. Alla fine le scelte coraggiose ripagano sempre, anche se il premio giunge da lontano, da un Paese come l’India, patria della Transcending Obscurity Records. E dalla sinergia tra la band italiana e l’etichetta asiatica è nato uno dei migliori lavori in ambito Doom degli ultimi anni. ‘Esogenesi’ è un disco in cui tutto funziona, dalla musica allo splendido packaging. Abbiamo contattato la band per quella che si è rivelata un’intervista corale con tutti i membri.

Benvenuti su Metal Hammer Italia, ragazzi. Direi di iniziare dalla presentazioni: vi andrebbe di riassumere velocemente la vostra storia?
Ciao, e grazie dell’accoglienza. Ci siamo formati quasi quattro anni fa, quando Davide (chitarra) e Jacopo (voce) si sono incontrati in rete, coltivando l’idea condivisa di un sound lento e opprimente. Qualche mese dopo si è unito Michele (batteria) ed è nato il germe dei primi brani. In seguito alle prime registrazioni ai Toxic Basement Studio, è entrato Carlo (basso). Con lui si sono evolute le parti di basso delle canzoni già scritte e ne sono nate di nuove per quelle in embrione. Finite le registrazioni siamo approdati alla Transcending Obscurity Records e, quattro mesi più tardi, Ivo (chitarra) si è aggiunto a completare definitivamente la formazione.

Come sono nati i brani del vostro esordio ‘Esogenesi’?
Incidere un LP non era nei piani iniziali, di conseguenza ogni brano è nato in maniera molto spontanea, naturale. Libera da particolari propositi, che rischiano poi di tradursi in obblighi. Se aspettate una risposta circa “il nostro metodo”, dobbiamo deludervi. Un metodo non c’è, non lo abbiamo. Pur cercando un certo tipo d’impatto, abbiamo messo in circolo le influenze e i background musicali di ognuno, poi l’organismo è cresciuto quasi da sé. La varietà dei brani non viene solo dal nostro percorso come band, ma soprattutto dall’intreccio nella band dei nostri percorsi individuali. Poi anche dalle varie considerazioni sul Doom, inteso come concetto, dalle domande che ci siamo posti sui suoni e sulle atmosfere. E su noi stessi, anche, di fronte a tutto questo. I testi sono tutti ispirati al terrore dell’uomo per l’infinito, lo spazio ignoto, per il confronto con l’inconoscibile. Abbiamo cercato di far sentire quel nodo alla gola. Di pensare l’ascoltatore come spettatore di quel panorama, come l’individuo che varca la soglia raffigurato nell’artwork.

Credo che ‘Incarnazione Della Conoscenza’ sia il pezzo migliore del disco, la pensate come me o ne preferite un altro?
È stato uno dei primi pezzi che abbiamo scritto, assieme ad ‘Abominio’, e tuttora uno dei nostri più rappresentativi. Non a caso è stato scelto come secondo singolo di lancio dalla nostra etichetta. Sicuramente il pezzo con la maggior complessità compositiva. Questo per dire che capiamo la scelta, anzi sappiamo già che non sei il solo. Dovremmo dire che “per un padre tutti i figli eccetera”, ed è anche vero, tuttavia forse ‘Abominio’ è il nostro emblema sonoro. È cruda, ossessiva, “dritta”. Non sapremmo spiegarlo diversamente. Nella sua imperfezione, porta con sé le intenzioni primordiali della nostra band. Ovviamente ‘Incarnazione’ è l’ultima tappa di un viaggio, la foce di tutto il carico emotivo generato nei brani precedenti.

Avete già eseguito dal vivo i brani? Se sì, avete dovuto riadattare i pezzi alla dimensione live?
Sì, diciamo che le occasioni per testare l’impatto dal vivo non sono mancate. Dal vivo come su disco, cerchiamo di trasportare con noi l’ascoltatore, attraverso capitoli di un racconto che non richiedono riadattamenti sostanziali. Non nella loro singola struttura, almeno. Quando abbiamo registrato il disco avevamo una sola chitarra, che all’occorrenza si “sdoppiava” tra ritmica e solista; puoi quindi immaginare il problema di portare i brani dal vivo nella loro interezza. Così ci siamo messi alla ricerca di un chitarrista che potesse sostenere i live, ma anche ampliarne le possibilità. Con l’inserimento di Ivo le cose sono diventate più organiche sotto questo aspetto.

Avete optato per l’uso della lingua italiana nei testi, come mai? Dal punto di vista tecnico, è più facile costruire e cantare una canzone con i testi in inglese o in italiano?
Senza dubbio è più facile costruire i testi nella propria lingua madre, ma non ci siamo mai posti la questione in questi termini. La scelta dell’Italiano è stata fatta dal primo istante, e senza ripensamenti, col proposito di dare un’impronta stilistica ma anche fonetica un po’ diversa. Originale – chi non cerca l’originalità, alla fine? – ma più che altro “poetica”. I testi infatti sono pensati come poesie, anche se basate su sequenze narrative. Diciamo che non è da noi mettere su una semplice esposizione dei fatti. Anche l’uso di registri aulici, arcaici, o comunque di termini ricercati, asseconda la rappresentazione di un “qualcosa d’altro” senza chissà quali forzature. Avessimo optato per l’Inglese, forse l’effetto sarebbe stato più barocco. Altra sfida poi è trovare la fluidità necessaria ai growl lenti e sostenuti. Troviamo nella lingua italiana sia il mezzo più congeniale, insomma, senza il bisogno di guardare altrove.

Restando sul nostro Paese, l’Italia vanta una  grande tradizione in ambito Doom Metal, però voi non vi rifate a quel filone. Più che Death SS, Paul Chain, The Black e Thunderstorm, solo per citare alcuni nomi, è più facile ricondurvi a band più estreme come Esoteric, Winter e Thergothon. Come vi spiegate che il vostro sound si sia evoluto in una maniera così poco “italiana”?
In generale, e per quanto possibile, ci avviciniamo alla composizione con mente libera da analogie con le altre realtà. Lasciandoci quindi alle spalle riferimenti – per così dire – geografici. Poi certo, anche noi siamo consapevoli che nulla si inventi dal nulla, e che le influenze siano inevitabili. Band come Esoteric e Thergothon rientrano nei nostri ascolti, ma non più di band come Fuoco Fatuo, Void of Silence e La Colpa. Band italiane che adoriamo e che, pur così diverse da noi, compongono il nostro panorama musicale e hanno lasciato un segno sul nostro modo di intendere il Doom. In Italia è diffusa una certa esterofilia, sia tra i musicisti che tra il pubblico. Non sappiamo se e fino a che punto questo riguardi anche il Doom Metal, ma siamo sicuri che non sia obbligatorio andare al di là delle Alpi per trovare gran belle realtà.

Non solo Doom, una componente importante del vostro sound è il Death Metal. Come riuscite a bilanciare queste due anime della band?
In tutta onestà, non ci eravamo resi conto di quanto suonassimo Death Metal. Almeno finché chi ci ha ascoltato non ce l’ha fatto notare. Proveniamo da ascolti ed esperienze in ambiti musicali diversi e spesso molto distanti tra loro. Tra questi, quello Death non ci sembra neanche essere quello maggiore. Si vede che le divergenze, a un certo punto, convergono. Potremmo dire di aver sintetizzato elementi Death Metal da altre particelle sonore come in una reazione chimica.

Credete che questo distinguervi dalla altre band tricolori, alla fine, possa essere più un vantaggio o uno svantaggio?
Probabilmente entrambe le cose. Se da un lato la diversità aiuta a distinguersi nel mare magnum di band, dall’altro porta con sé il rischio di isolamento. Manca una “massa critica”, forse, affinché sonorità tra loro vicine possano esplodere. Fin qui però abbiamo parlato di ipotesi, perché alla fine, nonostante la stretta sua stretta minoranza, il genere Death\Doom è ben rappresentato anche qui in Italia. Non ci consideriamo certo una mosca bianca, insomma.  Poi si può sempre adottare la filosofia per cui l’unica cosa che conta, alla fine della fiera, è comporre buona musica. E contiamo che risultati e soddisfazioni sul lungo termine possano essere davvero importanti.

Come vi spiegate l’attuale il proliferare di band Doom\Stoner? Si parla di un genere che storicamente è stato di nicchia e che oggi invece gode di un seguito senza  pari.
Ogni tanto ci troviamo a parlarne. È un riciclo, no? Cose fino a ieri trascurate, talvolta disprezzate addirittura, iniziano quasi improvvisamente a trovare un seguito sorprendente. Ad ogni modo, sembra che nel metal in particolare ci sia come un effetto di scia, dietro quei gruppi che aprono la strada ad altri portando “l’inascoltabile” al grande pubblico. Questa è solo una nostra idea. L’osservazione di questi “corsi e ricorsi musicali” la cediamo volentieri a voi del mestiere. Per noi hanno un che di misterioso e di imprevedibile. E come i fenomeni misteriosi e imprevedibili, ha un fascino che non pretendiamo di spiegare.

Come siete entrati in contatto con la Transcending Obscurity Records, la  vostra etichetta?
È sempre un po’ difficile valutare se stessi. Non sapendo prevedere la reazione al nostro disco, abbiamo cominciato a inviare il materiale a diverse etichette per saggiarne le reazioni. Non avevamo grandi velleità. È stata un’enorme sorpresa trovare, nel giro di solo un mese circa, diverse proposte da parte di numerose label. A quel punto toccava a noi fare una scelta, non ce l’aspettavamo. L’offerta dalla Transcending Obscurity Records di Kunal Choksi ci è sembrata la più solida sul piano pratico e, guardando le loro curatissime release, quella in grado di dare maggior risalto al prodotto. Unica condizione era lavorare alla rifinitura della produzione, che avevamo deliberatamente lasciato più grezza. Da lì abbiamo semplicemente iniziato uno scambio di messaggi, il resto è venuto man mano condividendo informazioni e materiale.

Ho ricevuto il promo digitale, ma dalle immagini che ho visto mi sembra che siano state le cose in grande per il packaging. Me lo confermate?
All’inizio avevamo soltanto l’immagine di copertina, nella convinzione che da sola bastasse per una pubblicazione standard in CD e digitale, tanto ci sembrava impressionante. È stato Kunal a convincerci che un artwork così avremmo potuto fare molto di più di una semplice edizione in jewel case. Abbiamo quindi chiesto di estendere l’artwork richiamando l’illustratore, Carmine (Korvo), lo stesso abbiamo fatto con il grafico, Luca Brusa. Ci teniamo a citarli, hanno creato qualcosa di unico. Spero siano orgogliosi quanto noi del risultato finale, perché è merito loro.

Prossimi progetti?
Abbiamo in cantiere diversi nuovi brani e confidiamo di poter tornare in studio in un periodo relativamente breve. È presto per parlarne, più avanti diremo di più.

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