White Stones – Il suono bianco della nostalgia
Il 03/03/2020, di Giuseppe Cassatella.
Il blu è il colore della nostalgia, non so chi l’abbia stabilito, ma sono certo che costui non è Martin Mendez. L’uruguaiano, per i più il bassista degli Opeth, è da poco il leader di una band (ci tiene lui stesso a specificarlo che non si tratta di un solo project), i formidabili White Stones. Con questa nuova creatura l’artista di origini latine ha percorso a ritroso la sua vita, non solo artritica, andando a riscoprire le proprie radici. Niente a vedere con quelle rosso sangue dei Sepultura, qui è il bianco che domina. Il bianco che da il nome alla sua città natale in Sud America, Piedras Blancas. Ma non solo colori, anche suoni nostalgici, che in questo caso sono di matrice Death Metal e molto simili a quelli dei primi Opeth. Paradossalmente, il suo viaggio nel tempo diventa anche il nostro, che finalmente ci ricongiungiamo con sonorità che ormai consideravamo andate dopo ‘Heritage’, disco che ha fatto da spartiacque nella carriera della band di Mikael Åkerfeldt.
Come va il tuo italiano, Martin? Preferisci lo spagnolo?
Di gran lunga lo spagnolo!
Effettivamente questa tua nuova avventura ha un’anima ispanica, tu vieni dall’Uruguay e il resto dei ragazzi dalla Spagna: come mai non avete inserito uno o più brani in questa lingua?
Oddio, è una cosa a cui non abbiamo mai pensato. Ora che me lo fai notare non posso far altro che dirti che è una buona idea per il nostro prossimo disco.
Ma ci troviamo difronte a un tuo solo project o una vera band?
Una vera band! Non mi piace che si pensi ai White Stones come un mio progetto solista, abbiamo lavorato tutti insieme su questi brani: siamo decisamente una band!
Tu sei l’anima silente degli Opeth, difficilmente ti ritrovi sotto le luci dei riflettori, posto che di solito occupa Mikael. Come ti vedi, invece, in questa tua nuova veste di leader e volto della band?
Hai ragione c’è una grossa differenza tra l’essere il membro principale e l’essere semplicemente il bassista degli Opeth. Le difficoltà crescono, è vero, però in cambio hai il controllo artistico della band: è più semplice trasformare le tue idee in musica, rispetto a quando sei solo uno dei componenti del gruppo. È una situazione nuova, ma non è per niente male!
Ma in generale è più semplice la vita in una grande band che ha già raggiunto il successo e quindi deve solo mantenerlo oppure in una nuova realtà che non ha dietro di se una grande audience che preme con le proprie aspettative?
Le pressioni per una startup non mancano, ma sono di tipo diverso. Però capisco cosa intendi, per esempio, sei canzoni erano pronte e non avevo idea di che farne, tenerle per me o proporle a qualcuno. Poi il mio manager ha sentito questi pezzi e mi ha chiesto, quasi per gioco, se volessi scrivere altro da proporre alla Nuclear Blast. La Nuclear Blast ha ascoltato la mia musica è mi ha messo sotto contratto. Tutto è nato così, quasi in modo naturale e casuale, senza particolari pressioni.
Il frutto di questo processo spontaneo è, spero di pronunciarlo bene, ‘Kwa-Ra-He’. Ma cosa significa questa parola così ostica per uno scribacchino italiano?
Kwa-Ra-He è la pronuncia esatta, sì. Significa “sole” in lingua guarani, un idioma parlato dagli indiani del Sud America che vivevano nella mia terra natale. Tra queste tribù la più grande e famosa era quella dei Charruas, che io ho sempre ammirato. Oggi questa lingua è quasi del tutto morta, qualcuno la parla ancora in alcune zone del Paraguay, in Uruguay non penso che lo faccia più nessuno.
Quando sono circolate le tue prime dichiarazioni su questo disco, abbiamo appreso che per te rappresenta un ritorno alle tue radici. Questo appare chiaro dal titolo del disco, fortemente legato alla tua terra. Però la stessa cosa non vale dal punto di vista musicale, non ci troviamo innanzi a un disco neanche minimamente folk. Come mai hai scelto il Death Metal per viaggiare indietro nel tempo?
Non lo so, davvero. Ho suonato questo tipo di musica per tanti anni, ma non mi sono imposto un ritorno a quelle sonorità. Ancora una volta è venuto fuori tutto in modo spontaneo, forse in questo cammino a ritroso mi sono lasciato prendere dalla nostalgia per quei suoni. Alla fine, quando vivevo in Uruguay ascoltavo tanto Death Metal, ho iniziato a suonare con quel genere. Pur non avendo un’idea di partenza, quando ho sentito il risultato finale ho avvertito che era quello che volevo dall’inizo. Sono pienamente soddisfatto del risultato raggiunto.
Nei tuoi ascolti in Uruguay c’era anche il Jazz, magari nella sua deriva Latin?
Qualcosina, ma non molto. Latin Jazz e Tango, anche se preferivo quest’ultimo. Il Tango è stato la colonna sonora della mia infanzia. È la musica più popolare in Uruguay e Argentina, lo passano di continuo in radio. Ricordo ancora che mio nonno, che viveva con noi, non ascoltava altro per tutto il giorno. Amo ancora questo tipo di musica.
Ti piacciono i Mars Volta? Te lo chiedo perché in futuro vi immagino come una sorta di Mars Volta del Death Metal, per questo prima ti ho chiesto dei testi in spagnolo.
Mi piacciono parecchio, potrebbe essere una gran cosa!
Torniamo alla tua famiglia, mi hai raccontato come a casa vostra in Uruguay regnasse sovrano il Tango, oggi i tuoi parenti vivono ancora là?
In parte là e in parte in Spagna.
Tu vivi in Svezia?
No, a Barcellona.
In questo disco ti dividi tra basso e chitarra, tuo primo strumento. Quale dei due preferisci suonare e dal vivo di cosa ti occuperai?
È stato bello poter risuonare la chitarra in studio, ma mi limiterò a quella dimensione, dal vivo avremo due chitarristi che si divideranno i compiti, io mi dedicherò al basso.
‘Kuarahy’, inutile nasconderlo, ha un suono che ricorda parecchio quello della tua band principale, almeno quello del periodo pre-‘Heritage’. Credi che i fan recenti degli Opeth possano non apprezzare i White Stones e, al contrario, che potrai riconquistare l’audience dei vostri primi dischi?
Non mi sono posto il problema, non ho fatto un confronto con la musica degli Opeth. Mi piace quello che stiamo suonando ultimamente, ma per il mio progetto ho agito in modo autonomo e spontaneo, senza farmi grandi domande su cosa possano volere i fan. Sono due cose completamente separate, e per me è importante che lo siano, perché è una valvola di sfogo. Oggi mi sento meglio, ho più energia rispetto al recente passato. I White Stones sono una sorta di terapia, per un artista è importante non ripetere sempre le stesse cose.
Prima di questa esperienza non avevi mai scritto una canzone e tanto meno ne avevi proposta qualcuna per gli Opeth. Ora che hai provato l’ebbrezza del ruolo di songwriter credi che in futuro comporrai qualcosa da portare in dote a Mikael?
Sì, mi piacerebbe farlo. Credo proprio che capiterà!
Magari qualcosa che preveda l’uso del growl, richiesta di un vecchio fan…
Ahahaha.
Te lo dico perché da ragazzo ero sfigatissimo, ascoltavo due generi improponibili. Il Death per i comuni mortali era solo rumore, il Progressive era morto e seppellito, se lo sentivi eri peggio di un appestato per gli altri metallari. Quando ho ascoltato gli Edge of Sanity e gli Opeth per la prima volta, per me è stata un’epifania. Poi da italiano non posso non amare un genere che nella mia nazione ha avuto alcuni dei suoi capisaldi. A te piace il Prog italiano?
Sì, mi piace, ma è Mikael l’esperto. Io conosco e apprezzo alcuni dei gruppi italiani.
Mikael cita spesso band italiane e artisti italiani, non manca mai di nominare dal vivo Eros Ramazzotti!
Ahahah, sì, sopratutto lui!
Torniamo seri, dell’artwork che mi dici?
La copertina l’ha disegnata Manuel, un artista spagnolo. Lo ha scoperto la mia compagna, credo che abbia saputo esprimere al meglio il concept del disco, lo ha fatto in poco più di due settimane, ed è riuscito a superare ogni altro concorrente.
C’è molto bianco in questo progetto, lo troviamo nel nome del tuo gruppo e nella copertina, una scelta abbastanza controcorrente per un gruppo Death.
White Stones, è il nome della mia città natale, Piedras Blancas. Il posto dove sono cresciuto, ancora una volta è stata una scelta istintiva e naturale.
L’ultimo punto da toccare è quello degli ospiti presenti sul disco: Fredrik Åkesson degli Opeth e Per Eriksson dei Katatonia…
Sono entrambi miei amici e grandi musicisti, Frederik è uno dei più grandi chitarristi metal secondo me. Sono felice che abbiano voluto aiutarmi in questa mia avventura.
Un italiano e un uruguaiano non possono concludere una chiacchierata senza aver parlato di calcio, apparteniamo alle due nazioni che si sono spartite le prime Coppe del Mondo. Immagino che a te piaccia.
Certo che sì!
Dato che ci vivi: Barcellona o Espanyol?
Barca.
Certo, c’è Suarez, ancora una volta è una questioni di radici.
Esatto!