Down – Eyes of the south

Il 15/04/2020, di .

Down – Eyes of the south

Dopo un’assenza di oltre sette anni si rifanno sotto gli inquieti Down guidati da Phil Anselmo e Pepper Keenan, autori di un secondo album che demolisce letteralmente le ossa con il suo sound fangoso e ruvido, zuppo di influenze sabbathiane e Southern d’annata. A presentare ‘A Bustle In Your Hedgerow’ è direttamente intervenuto il nerboruto Anselmo, protagonista della lunga intervista in esclusiva per Metal Hammer.
Di Alex Ventriglia

Phil Anselmo non è certo uno che ama starsene a casa a pisolare o a girarsi i pollici, è uno degli stakanovisti per antonomasia della scena metal, e, non appena stacca la spina con i Pantera, eccolo lì a trafficare con decine di altri gruppi (al momento mi vengono in mente i cacofonici Viking Crown, o i discutibili Necrophagia di Killjoint, dove Anselmo si presta come chitarrista), tra cui i fenomenali Down. Oggi al loro ritorno discografico, dopo che oltre sette anni sono trascorsi dall’incredibile, velenoso debut-album ‘Nola’, che ha ammantato i Down di un che di leggendario. Dopo così troppo tempo si è dunque ritrovata, la band composta dal sopracitato frontman (che qui usa lo pseudonimo di ‘Nodferatu’!), dal chitarrista dei Corrosion Of Conformity Pepper Keenan (meglio conosciuto come ‘Sgt. Pepper’, o nel più esilarante nomignolo di ‘Speed McQueenan’), dal guitar-player dei Crowbar Kirk Windstein (‘Toots Sweet’), dal “conciapelli” di EyeHateGod/C.O.C. Jimmy Bower (‘Flash’) e dal nuovo entrato Rex Brown (‘Crown Brown’), lo scatenato bassista in forza ai Pantera. Isolatosi dal resto del mondo, rinchiuso dentro un vecchio granaio (ribattezzato il covo di Nodferatu!) tra le paludi della Lousiana, il five-piece ha dato fondo a tutte le proprie energie, lavorando su quella stessa, straripante ispirazione che, anni addientro, gli aveva permesso di dare vita ad uno dei capolavori del doom contemporaneo qual è ‘Nola’. Al quale ora si affianca ‘A Bustle In Your Hedgerow’, ennesima prova di forza di un gruppo forse unico, di sicuro imbattibile nel promulgare sonorità sporche e inquietanti, mescolando assieme i melmosi dettami sabbathiani e il ruvidissimo, sabbioso Southern rock, elementi fondamentali che caratterizzano il nuovo album a firma Down. Per la prima volta protagonisti di una estesa tournée statunitense che li terrà occupati fino a tutto maggio, i cinque loschi figuri originari di New Orleans hanno centrato il bersaglio, ancora una volta. E il primo ad esserne orgoglioso è proprio Phil Anselmo, nuovamente alla ribalta senza dover per forza di cose scomodare i Pantera, che, nell’intervista concessaci in esclusiva, ribadisce la particolarità di una band come i Down, tornando indietro con la memoria, a quando tutto ebbe inizio…

(Phil Anselmo) Non potevamo che suonare musica del genere, credimi… Noi tutti che siamo cresciuti con i Black Sabbath e tutti quei gruppi che ne hanno ripreso i dettami, tipo i Saint Vitus, quello stile musicale andava molto, ci ha educati… Forse sono nati così i Down, abbiamo semplicemente deciso di fare delle jam-sessions, suonando come meglio ci veniva e in fottuta e totale libertà! Improvvisando, divertendoci come dei matti, perché la musica la devi lasciare scorrere, libera… E poi a Pepper (Keenan) venne in testa di farci un demo di tre canzoni, quasi volesse avere un ricordino per sé! Il nome ‘Down’ l’ho pensato io, pensavo potesse dar bene l’idea della depressione, di quello moralmente a terra, che stenta perché il suo umore è a pezzi! E con una musica come la nostra, le emozioni erano e restano nerissime, c’è poco spazio per l’allegria (ghigna)! Ricordo che per tirare giù quel demo ci è voluto pochissimo, in realtà sono bastati un sabato e una domenica di un weekend trascorso in garage, e le tre canzoni erano belle e pronte. Pepper pensava che la cosa migliore fosse quella di pubblicare il demo, senza dire al resto del mondo chi ci suonava dentro, ed era una bella trovata, sinceramente. Eravamo curiosi, allora c’era un bello scambio a livello underground, giravano molti demo-tapes, anche di gruppi molto famosi… Potevi mettere le mani sopra qualsiasi cassetta, se gli Slayer avessero avuto un demo in circolazione lo riuscivi a trovare, ma non solo gruppi come gli Slayer, anche gruppi locali, ogni tipo di gruppo… Volevamo vedere quanto velocemente potevamo far circolare i Down con questo demo, che in pratica si trovava gratis. Ha funzionato, finché non abbiamo suonato dal vivo e tutti hanno saputo chi erano i Down. E allora le richieste si sono fatte più pressanti, e le canzoni da tre sono diventate sei, e poi nove, da lì in avanti c’era un buon motivo per iniziare a fare più concerti dal vivo, perché di pezzi ne avevamo abbastanza. Poco dopo, a causa del fatto che ormai si sapeva chi fossimo, per via del clamoroso successo del demo e anche perché la popolarità dei Pantera era salita alle stelle, abbiamo pensato di fare uscire un vero e proprio album, senza però dargli troppo credito…

Inconsapevoli certo del riscontro che ‘Nola’ avrebbe ottenuto…
Potevamo pensarla diversamente? Non ce ne eravamo neppure accorti, di come era venuto fuori quel disco… ‘Nola’ non è accessibilissimo, io personalmente lo trovo molto crudo, le parti vocali sono quiete, certo, ma le canzoni, c’era qualcosa in quelle canzoni che non saprei spiegare, qualcosa di inquietante… Insomma, abbiamo fatto il disco, ha venduto quello che ha venduto (oltre 500mila copie in tutto il mondo), e con soltanto due settimane di tour in giro per l’America, e basta, non abbiam mai suonato altrove! Molti ragazzi avevano già le loro canzoni preferite, e questo, secondo me, è già di per sé un successo. Poi la popolarità è aumentata anche grazie a quei fans che si duplicavano le cassette, che si scambiavano le copie di ‘Nola’ con altra gente, anche se noi in realtà non ci vedevamo un dollaro (ride)! Così è nata la leggenda, se così la vuoi chiamare…

Per il nuovo album, tutto è stato come allora, oppure…
Beh, ci poteva essere senz’altro qualche intoppo, specialmente perché ognuno di noi aveva una propria band da portare avanti, Jimmy Bower doveva pensare agli EyeHateGod, e non solo visto che è impegnato in altri gruppi, come i Corrosion Of Conformity e i Superjoint Ritual; Pepper, i Corrosion Of Conformity, Kirk (Windstein), i Crowbar, io e Rex, impegnati coi Pantera. Ognuno di noi aveva degli obblighi, e questo ci ha preso un sacco di tempo. Però, l’armonia tra noi era rimasta tale e quale, pensa che ci siam visti solo un paio di volte e abbiamo suonato quel tanto che bastava per ritrovare lo stesso feeling di allora… Quando è stato il momento di fare sul serio, ci è bastato soltanto un mese per aver tutto pronto, tra scrivere i pezzi e suonarli, sempre molto spontaneamente, e senza alcuna pressione esterna. Ci siamo isolati dal resto del mondo, ci interessava solamente suonare la nostra musica. E quando l’abbiamo riascoltata, una volta registrata sulla cassetta di prova, è stata una sensazione incredibile, grandiosa, sentire come straripava libera e naturale, del tutto spontanea, con questi riff di chitarra che parevano scolpiti nel granito! Ce n’erano così tanti da farci venire il mal di testa! Metterli tutti insieme non è stato un problema, bensì si è trattato più che altro di una sfida con noi stessi, una sfida che abbiam vinto, perché il nuovo album suona esattamente come quel giorno, ha quello stesso impatto e feeling oscuro… Se ci pensi è incredibile, ed è per questo che lo trovo così fottutamente vero.

Quando penso ai Down mi viene automaticamente in mente New Orleans, la città da dove la band proviene e che conserva un fascino del tutto particolare, sembra che il tempo non sia mai trascorso, per la sua atmosfera decadente, quasi arcana. Ha influito questo, sul vostro “modus operandi”? Se non erro, una delle migliori canzoni del nuovo album è dedicata proprio alla capitale della Louisiana, mi riferisco a ‘New Orleans Is A Dying Whore’…
New Orleans è una città ricchissima di musica, comunque non penso che quello che facciamo noi sia un riflesso della musica che circola qui, anche se capisco cosa intendi. C’è una buona scena musicale, nell’heavy metal c’è qualcosa di New Orleans, ma se personalmente penso a questa città, mi viene in testa il jazz, o cose del genere… Forse ti riferisci a quel senso di vuoto che si avverte, al buio nella mente di molta gente, soprattutto se proveniente da fuori, quella estranea a New Orleans… E questo buio può fare molto effetto (facendo profondamente sibilare la propria voce). Per noi è diverso, ci viviamo da così tanto tempo che ormai è dentro di noi in modo profondo, è talmente una parte di noi che spesso non la notiamo, non influenza le nostre cose. Forse lo fa, forse a livello di subconscio, per cui non ce ne rendiamo conto, ma a me sembra sinceramente che, anche senza considerare questa “oscurità”, questo senso di vuoto, i Down sarebbero comunque i Down. Sì, quel brano è una dedica a questa città, e prende il suo titolo da un articolo pubblicato da un quotidiano negli anni ’70, dove il giornalista scriveva che secondo lui New Orleans era come una prostituta in fin di vita, ma che lui amava ancora… New Orleans è veramente un posto di merda economicamente parlando, c’è corruzione ovunque, anche la polizia viene comprata. E’ una città così piccola che tutti sanno i cazzi di tutti, c’è una gran memoria a New Orleans (ride) a causa delle sue dimensioni; si intende questo, quando si dice che New Orleans è una prostituta vivente, è una città che viene usata in ogni modo possibile… Tipo quando c’è una ricorrenza, o presunta tale, da festeggiare, perché ogni occasione è buona per sbronzarsi: Natale, Mardi Gras (autentica istituzione di New Orleans, dove sotto il periodo di Carnevale ne succedono di tutti i colori), in ogni circostanza è di regola sfasciarsi con l’alcool (ride divertito)! Se alle tre di pomeriggio incontri una donna anziana, che ha certamente visto giorni migliori, e le chiedi il suo nome, vedrai che ti risponderà New Orleans… Perdi la testa, ma sai esattamente qual è la storia.

Tra le sorprese del nuovo album, l’ingresso nella line-up dei Down del bassista Rex Brown, tuo vecchio compare d’avventura nei Pantera.
Oh sì, perché non farlo entrare nella nostra fottuta famiglia? La musica che stavamo buttando giù aveva così tanti riff da rappresentare una sfida per noi stessi, più di prima; e il nostro precedente bassista (Todd Strange) era forse un po’ estraneo a questo, si limitava a riproporre quanto suonava con i suoi Crowbar, un po’ semplicistico se vogliamo, anche se tutto sommato venivamo da un posto semplice; questa volta la faccenda era così più matura, migliore sotto tanti punti di vista, per gli stati d’animo, per le vibrazioni, per quello che tu descriveresti come dinamismo. E ci voleva un bassista che desse una marcia in più, che sapesse “strappare” con il suo stile di basso, e io di bassisti così conosco solo Rex… Quando dico “strappare” intendo suonare in modo incredibile, con un’intensità che non si può frenare… E Rex ha un talento enorme, anche se forse nei precedenti dischi dei Pantera Rex può avere avuto qualche problema perché “in conflitto” con la chitarra di Darrell; il miglior sound del suo basso posso dire di averlo sentito sull’ultimo album dei Pantera, ‘Reinventing The Steel’, ed è stato come averlo ascoltato per la prima volta! Mi ha letteralmente colpito in faccia! Trovo che sia un musicista davvero notevole, troppo spesso sottovalutato, e adesso avrà la sua occasione nei Down: riesce a riempire e a spezzare le canzoni completamente, va che è un treno! Naturalmente, sono così felice che sia con noi.
Hai mai pensato che le aspettative per i Down fossero alte soprattutto perché vi erano dentro alcuni personaggi di spicco? In fondo, siete una sorta di “supergruppo”…
No, non siamo un supergruppo, o almeno non lo riteniamo tale; la verità è che siamo una band che sarà sempre quella che è stata… Certo, suoniamo in altri gruppi, ma quelli sì che sono supergruppi, ma non riflettono sull’arte che con i Down stiamo creando; io non canto così nei Pantera e negli altri gruppi in cui sono coinvolto, in questa band ho un mio preciso stile vocale, è diverso. Questa non è un’operazione preparata a tavolino, sfruttata perché nella band ci sono determinati elementi, diciamo che è come se fosse una rimpatriata tra amici, tutti provenienti da New Orleans e tutti con una grande passione per questo stile musicale, ruvido e sanguigno. Non c’è assolutamente nient’altro sotto, i Down non hanno certo intenzione di entrare in studio con certi pezzi, tutti vestiti di pelle e cazzate del genere! Determinate cose le lasciamo fare ad altri, a noi quello che importa è la musica! I Down sono la ragione, la metamorfosi, perché ascoltare per tredici anni in continuazione i Black Sabbath ha avuto la sua importanza! Non c’è altro, non pensi certamente a quanti soldi ti metterai in tasca, o al successo che avrai, stai soltanto suonando delle jam per tuo esclusivo piacere personale; e, alla fine, quelle canzoni vuoi riascoltarle, vuoi nutrirti nuovamente di quelle vibrazioni. Questo è quanto avviene con i Down, ed è quello che vogliamo da questa band, sia che abbia uno scopo o no, succede così. La qualità della musica viene di gran lunga prima di ogni altra cosa, solo questo conta… E resta.

Una canzone che mi ha colpito moltissimo è ‘Ghosts Along The Mississippi’, come si evince dal titolo, altro ingrediente della vostra terra…
‘Ghosts…’ è più che altro un’autoanalisi, su quello che non vuoi essere e quello che sai di dover fare, se non vuoi che ti considerino soltanto un fantasma che vaga lungo il Mississippi… E’ un modo di dire delle nostre parti, con il quale si intende una persona che non ha più nulla da dare, che cammina a stretto contatto con il pericolo, che si sta autodistruggendo con le droghe pesanti. E quando ti fai di roba pesante, non distingui più la realtà dalla fantasia, molte volte la realtà ti sembra ancora più oscura e peggiore di quel che in effetti è, questo perché la vedi così quando sei ridotto a una merda! La cosa più spiacevole, più brutta in assoluto, è come stai diventando, è quello che sta accadendo a te, e non te ne rendi conto. Diciamo che questa canzone è come fosse quasi un monito, parla di disperazione e vuole esortare a sconfiggere e a superare certe drammatiche situazioni. Non è una predica la mia, faccio solo mente locale su un dato di fatto. E anche ‘Dog Tired’ parla bene o male di questo, di quando si vive al limite dell’estremo, che sei come un cane stanco che si trascina lungo una corsia veloce… Potrebbe riguardare me, e la maggior parte di noi. Se proprio devi essere ubriaco, almeno fallo nel migliore dei modi, cerca di essere il miglior ubriaco del mondo (ride)! Alla fine questo stile di vita ti spacca, e finisci per odiarlo, ma continui imperterrito, proprio come un cane stanco…”

Un altro brano molto significativo mi è parso ‘The Man That Follows Hell’, specialmente sotto il profilo lirico.
Sì, concordo, ha un testo che, se vogliamo, può anche essere interpretato positivamente, perché parla di un personaggio che non importa quanto di buono faccia, deve sempre e comunque espiare il suo passato, tutto il male che ha precedentemente commesso. E’ un uomo che sembra non riuscire mai ad allontanarsi dal lato oscuro della vita, inconsciamente pare ricascarci ogni volta. Ma può anche essere positivo, perché, nonostante sia bloccato dalle sue colpe passate, questo individuo può aiutare altre persone, parlando dei propri sbagli e mettendole così in condizione di evitarli a loro volta. Facendo questo, l’uomo ne trarrà dei benefici, che lo aiuteranno ad esorcizzare il suo passato. In effetti è uno dei migliori testi dell’album, invita a riflettere.

E la semi-tribale ‘Flambeaux’? Più che una vera e propria canzone, pare un esercizio estemporaneo che non ha nulla a che spartire con il resto del disco…
Difatti è venuta fuori così, senza alcuna pretesa (ride)… E’ dedicata a un fatto che ci ha colpito molto, tanto che ce ne siamo ricordati subito una volta ritrovati. A New Orleans, anni fa, soprattutto nella stagione di Mardi Gras, era facile incontrare dei ragazzi, perlopiù di colore, che arrivavano con queste grosse torce fiammeggianti e si mettevano a ballare, scatenati. Coinvolgendo sia i gruppi che in quel momento stavano suonando, sia la gente in strada, dando vita ad un emozionante rituale, così lo abbiamo visto noi. E ‘Flambeaux’ si riferisce a quell’immagine che ci è rimasta in mente, di quei ragazzi che animavano la festa, di quel folle, folle Martedì Grasso… A New Orleans trovavi sempre il modo per divertirti, se poi eravamo tutti assieme…”

Non ne dubitiamo affatto…

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