Nick Oliveri – Back To The Rooots

Il 13/10/2022, di .

Nick Oliveri – Back To The Rooots

Nick Oliveri sta seduto accanto a me all’esterno del Cita Biunda, un piccolo microbirrificio tra le colline di Langhe e Monferrato che, da lì a poco, ospiterà una delle date italiane del suo ‘Death Acoustic Tour 2022’. Scherza, sorride, mi ordina una birra ‘Desert’ (ovviamente) premurandosi di avvisare il cameriere che l’avrebbe pagata una volta rientrato. E intanto la mia mente scorre. Scorre la storia del personaggio che ho davanti, dagli esordi con i Kyuss con i quali contribuisce a dare vita allo stoner rock, l’amicizia con i Nirvana che frutta nel 1993 un tour con i Metallica, il successo planetario con i Queens Of The Stone Age insieme a Josh Homme, Dave Grohl e Mark Lanegan, la nuova avventura con i Mondo Generator, e le collaborazioni con Masters Of Reality, Motorhead, Slash…Mi viene la pelle d’oca, poi inevitabile torna quel pensiero maturato nel corso degli anni, che più si è grandi e più si è modesti, quindi dopo il “Cheers” di rito la chiacchierata può avere inizio. Nulla di nostalgico o di trito e ritrito, solo la curiosità di capire con che spirito un musicista che in trent’anni di carriera ha azzannato folle e tenuto a bada stadi e arene si appresti ad affrontare un tour in solitaria in localini da poche centinaia di persone, lo sviluppo di una “nuova vita”, la chiusura del cerchio e la riapertura di uno nuovo. E le risposte ovviamente non sono mancate, con il buon Nick che, come un fiume in piena, mi intrattiene per quasi un’ora tra valanghe di parole e risate contagiose che rendono l’intervista in questione una delle più piacevoli da alcuni anni a questa parte.
L’ultima volta che ho avuto modo di vederti all’opera è stato nel 2011 all’Autodromo di Imola in occasione del Sonisphere. Oggi ti ritrovo qui intento a esibirti in un piccolo pub di provincia, in una dimensione diametralmente opposta dalla precedente. In che modo stai vivendo questa nuova realtà, questa nuova vita artistica?
“(Nick Oliveri) Mi era già successo suonando con Mark Lanegan di trovarmi a tenere show estemporanei magari in un negozio di dischi o in qualche programma radiofonico ed era stato decisamente divertente. Anche al tempo dei Queens ci capitava di suonare in qualche after show in acustico e non era niente male, la gente veniva, si divertiva, la formula funzionava. Quando nel 2004 me ne sono andato dai QOTSA, il primo tour che ho fatto è stato in acustico, era un modo per rimettermi in moto, per restare nel giro mettendomi alla prova con qualcosa di nuovo. Mi piace questa dimensione, perchè è una sorta di sfida per me. Il rapporto con il pubblico è totalmente differente, i fan diventano parte attiva dello show, non ci sono barriere, spesso salgono sul palco a cantare con me…e poi c’è il contorno, il contatto fisico, l’incontrare gente, parlare, confrontarsi…adoro parlare con la gente, cosa che risulta più difficile all’interno di un grande evento. Poi c’è tutta la parte musicale che, per me, rappresenta una sfida non indifferente. Sono su un palco da solo, io bassista che suono una chitarra acustica urlando dentro ad un microfono. Non è semplice, credimi, perchè senza una band alle spalle sei solo tu con la tua musica, hai tutta la responsabilità sulle tue spalle e sei l’unico artefice della buona riuscita o meno dello show. E poi c’è la sfida, quella spiazzante… Ho chiamato questa serie di concerti ‘Death Acoustic Tour’ perchè è quanto di più lontano possibile ci possa essere da un concerto unplugged. E’ qualcosa di eccessivo, di pesante, di aggressivo…posso assicurarti che è il concerto in acustico più folle che possa capitare di ascoltare”.
Si dice che in questi elementi: un piccolo club, atmosfera intima, una chitarra acustica, nessuna barriera tra pubblico e artista…risieda alla fine la vera essenza della musica. C’è un che di vero in questo o è solo una delle tante frasi fatte che circolano nel mondo della musica?
“No, no, è assolutamente vero! Guarda all’origine! Molte delle canzoni che ho composto sono nate in acustico. Non tutte perchè diverse canzoni in acustico non funzionano proprio, hanno bisogno di una vera band per suonarle, ci va una linea di melodia delle chitarre, ci va una batteria… Ma ci sono tante canzoni che invece hanno una loro anima solamente con una chitarra acustica. Nel corso del concerto suono diverse canzoni dei Kyuss, altre dei Queens Of The Stone Age, altre ancora cover di artisti che mi hanno in qualche modo influenzato…e funzionano, cambiano volto ma continuano a funzionare e il fatto che il pubblico le canti con me lo testimonia. Tornando alla tua domanda, quando suoni con una band ti senti forte, invincibile: hai la batteria che affianca il tuo basso, le chitarre…vai on stage e ti senti una corazzata, ti senti forte insieme ai tuoi compagni perchè magari sei in una serata “no”, fai degli errori, qualcosa non va ma i tuoi compagni ti coprono e riescono a far funzionare comunque lo show. Qui non hai nessuno che ti copra il culo, se canto male, canto mele e basta, se suono la chitarra da schifo tutti se ne accorgono, non ci sono trucchi, siamo solo io, la mia chitarra e la mia musica. Non c’è spazio per gli artifizi…e la cosa è dura se pensi che io sono solo un bassista che suona la chitarra per un tour. Questo aspetto del live è decisamente più stressante, intenso, ma è una sfida che mi piace. Io sono per le sfide, non mi piace la musica in acustico, non mi piacciono le canzoni che diventano soft solo chitarra e voce, voglio mantenere intatta l’intensità della canzone…death metal…death punk…death acoustic è questa la mia visione della musica che suono. La cosa divertente è che molti ragazzi vengono al concerto perchè conoscono il mio nome, i Kyuss, i Queens Of The Stone Age, i Mondo Generator, la nostra musica ma non si aspettano certo un concerto come questo. Un concerto come quello di questa sera ti mette di fronte a tutti i tuoi limiti: non sei in uno stadio, sei solo tu, un bassista, in piedi davanti al pubblico intento a suonare la tua chitarra acustica nel modo più sguaiato possibile e devi farlo al massimo delle tue possibilità dando ogni sera il 110% di te. Se non è una bella sfida questa…Ho iniziato questo progetto perchè ok, mi permette di pagare le bollette di casa, dopo tutto è il mio lavoro questo, però è andato via via assumendo una dimensione che non mi sarei mai aspettato prima. Era una cosa nata giusto per divertimento, ed è diventata nel tempo dannatamente seria. Pensa che ho addirittura un endorsement per le chitarre acustiche e non ce l’ho per il basso, io che sono da sempre un bassista e ho passato l’80% della mia vita a suonare questo strumento… Ma è ok, è una cosa che mi diverte anche perchè da sempre adoro le sfide”.
Durante le tue risposte hai usato più volte la parola “sfida”. Pensi si possa affermare che, una “sfida” così particolare alla fine sia utile per te per trovare nuove motivazioni, nuovi stimoli, nuove idee che inevitabilmente potrebbero venire meno dopo oltre trent’anni di carriera?
“Sì, sì, assolutamente! Ho avuto la fortuna di suonare con fantastiche band che hanno riscosso enorme successo, ho suonato di tutto, dal rock al metal al punk, ma ho bisogno sempre di stimoli nuovi. Io vedo in tutto questo come una famiglia, una creatura da fare crescere, da allevare, da far partire da zero. Quando c’è qualcosa da costruire, quella è sempre una sfida. Non ti nascondo di essere sempre un po’ nervoso prima di salire sul palco a suonare, perchè la dimensione in solitaria è una sfida grande per me, per la prima volta non sali sul palco con la tua “armata del rock” a supportarti ma sei solo tu, con i tuoi pregi ed i tuoi limiti, e se lo show farà schifo non avrai scuse, sarai stato tu a fare schifo. E’ un processo di crescita anche questo, il prenderti le tue responsabilità e rendere conto a te stesso e agli altri dei tuoi limiti. Poi questa sera andrà benissimo e sarà un concerto fantastico, te lo posso garantire! (Scoppia a ridere! N.d.A). Comunque una cosa che amo di questa nuova dimensione è la totale libertà che mi lascia, quando il pubblico sale con me a cantare ‘Feel Good Hit Of The Summer’ è un momento speciale, divertentissimo…ma la cosa più bella è che posso fare tutto quello che voglio, posso suonare ogni cosa nella mia testa possa funzionare in acustico, posso fare tutto! E poi c’è il cambio di vita. Man, qui non si tratta di suonare in solitaria, qui si tratta di andare in tour da solo, passare buona parte del tuo tempo da solo, pensare, camminare, scrivere, concentrarti su te stesso. E’interessante vedere il mondo con gli occhi del solitario e le sorprese che ti riserva”.

Qualche tempo fa il cantante di un gruppo rock abbastanza noto in Italia (Manuel Agnelli degli Afterhours Nda), durante un incontro con i fan ha affermato che la vera essenza della band risiede nei primi anni, quando c’è voglia di condividere, di andare tutti nella stessa direzione, di creare realmente qualcosa di proprio, di fare musica insieme…poi con il successo tutte queste cose vengono meno, sul palco ognuno ha il suo spazio ben delineato dal nastro adesivo e guai invadere quello dell’altro, si perde la voglia di condividere e la separazione è inevitabile. Tu che sei passato attraverso moltissime band di successo, ti ritrovi in questa considerazione?
“Fuck yeah! Se la band è valida e iniziano ad arrivare i soldi, la fame viene meno, e il gruppo diventa un insieme di star. Perdi un po’ il senso di chi sei realmente, sembra quasi che tu con il successo debba per forza piacere a tutti ma così facendo finisci per snaturarti. Quando inizi a suonare, il successo è solo un sogno, tu lo fai perchè vuoi creare davvero qualcosa di tuo, perchè hai tanto di te da riversare nella musica, anche cose molto intime. Prima di tutto viene la musica, il resto è contorno. Ma se fai successo tutto cambia, interessano i soldi, interessa avere una fetta sempre più grande della torta, e tanto non ti basta mai. La musica passa dall’essere quella che tu vuoi che sia, a quella che il pubblico vuole ascoltare, ed allora ti puoi trovare anche a suonare qualcosa che non ti rappresenta. Il music business è questo, spesso ti porta a fare a spallate con i compromessi, e se sei uno che crede ancora nell’integrità e nella musica, è normale fare un passo indietro e prendere un’altra direzione”.
Ma pensi abbia ancora un peso l’amicizia in un mondo come quello della musica, soprattutto quando arriva il successo per una band?
“Con i Mondo Generator ho suonato con i Motorhead e ho avuto modo di conoscere a fondo Lemmy. Lemmy è il migliore, Mikkey super cool, tutti ragazzi speciali che ci hanno trattato come figli. Lemmy era pazzesco, continuava a dirmi cosa fare e cosa non fare durante il tour, mi esortava a restare sobrio durante il concerto, mi dava consigli e per me era qualcosa di incredibile. Tornando alla domanda, io li guardavo e mi rendevo conto che erano qualcosa di più di una semplice band, avevano un rapporto tra di loro e anche con le persone che da anni ci lavoravano insieme, che andava oltre il discorso puramente musicale, c’era rispetto perchè sono musicisti che non hanno scordato chi sono realmente e il successo non li ha cambiati, sono rimasti semplicemente loro. E io devo dire di essere orgoglioso di aver fatto parte di quella famiglia per un tratto del mio percorso, ed è un privilegio per me essere stato amico di Lemmy. So che mi stimava, mi esortava a dare sempre il meglio, mi dava consigli, mi invitava a non cambiare e a essere sempre me stesso, poi ho saputo da persone della crew che parlava bene di me, che aveva una sincera stima e questa cosa, wow, è fantastica. Io che sono sempre stato un super fan dei Motorhead arrivare a godere di questa considerazione da parte sua è qualcosa di incredibile. Perchè qui non c’è business che tenga, non ci sono soldi di mezzo, c’è solo un rapporto di sincera e genuina amicizia”.

Visto che parliamo di amicizia nel mondo della musica, vorrei togliermi la curiosità di sapere di più riguardo la tua amicizia, agli albori dei Kyuss, con i Nirvana…
“Li adoro, sono una band fantastica e ‘Bleach’ quando è uscito mi ha fatto uscire di testa. Pazzesco! Amo Dave, lui è sempre stato un grande estimatore dei gruppi in cui ho suonato, ha sempre creduto molto in noi, e con lui anche Chris. Ricordo alcuni dei nostri primi tour, in locali davanti a trenta, quaranta persone…era quanto di più distante dal successo potessimo immaginare, però avevamo Dave e Chris tra il pubblico che ci esortavano a andare avanti, ci dicevano che avremmo sfondato e noi ‘Wow, sono i Nirvana che ce lo dicono, cazzo!’ Dave poi è semplicemente eccezionale, personalmente gli devo molto. E’ stato lui a introdurci alle label che contano, a farci avere i primi deal, a credere profondamente in noi e non smetterò mai di ringraziarlo. Kurt…beh lui ci ha insegnato il valore del minimalismo, con nulla ha ottenuto tantissimo, perchè era un songwriter eccezionale, sapeva parlare alle persone, sapeva arrivare alla gente in un modo molto onesto”.
So che sei un grande cultore della musica rock in ogni sua sfumatura. Ma ti piace ancora andare alla scoperta di gruppi nuovi e cercare band su cui scommettere?
“Oh si, adoro scoprire gruppi nuovi, e ce ne sono davvero ottimi là fuori. E non ti parlo solo di gruppi stoner…nei miei day off mi piace ascoltare cose nuove, e mi sono reso conto che ci sono davvero tanti gruppi che hanno parecchie cose da dire. Ti faccio un esempio: l’altro giorno ho inciso un pezzo con un gruppo di Genova che si chiama Temple Of Deimos, siamo andati in studio, abbiamo tirato giù del materiale ed è venuta fuori della roba davvero buona. E anche il gruppo che mi sta accompagnando in questa parte del tour, i Gunash con i quali ho collaborato anche sul loro ultimo disco, sono una band davvero notevole. Il bello di esperienze come queste è anche nella possibilità che ti offrono di entrare in contatto con queste band e conoscere gruppi che hanno davvero qualcosa da dare alla musica.”.
Quando avete iniziato a suonare nei primi anni Novanta siete partiti da piccoli locali come questo, poi il successo, i palazzetti, gli stadi, i grandi festival con migliaia di persone, e ora nuovamente i piccoli club. Possiamo dire che sei tornato da dove eri partito, che in un modo o nell’altro questo tour rappresenta la chiusura di un cerchio…
“Vero, lo chiudo da dove sono partito, ma per ogni cerchio che si chiude ce n’è uno nuovo che si apre. A gennaio siamo pronti per tornare con il nuovo disco dei Mondo Generator, in questo ultimo periodo ho suonato molto anche da solo, mi sono preso un po’ di tempo per me ma non ho mai perso di vista i Mondo Generator; questa è la mia band, sono i miei ragazzi che amo e siamo pronti a tornare. C’è una energia positiva all’interno del gruppo, c’è ancora fame, c’è voglia di suonare e di tirare fuori quello che abbiamo dentro. Abbiamo un batterista che fa paura, è un vero demonio e ve ne renderete conto ascoltando il nuovo disco. Peccato che questa sera io debba fare tutto da solo e non abbia questo accompagnamento, se no tireremmo davvero giù il locale tanta è la voglia di fare rumore e scatenare la rabbia che abbiamo dentro. Vedi? Quando passi tanto tempo in studio e in tour con la tua band alla fine ti senti un po’ stressato, svuotato…però prenderti delle pause in solitaria come queste ti aiuta a ricaricare le energie, ti torna la voglia di imbracciare il tuo basso e tornare a fare danni con la tua band”.
Oggi ho davanti un personaggio estremamente solare, mi stai sotterrando con le tue fragorose risate e sei davvero un fiume in piena, ma quando ascolto la tua musica non posso non venire pervaso dalla rabbia che trasporta. Pensi che la musica sia realmente una valida terapia per la gestione della rabbia?
“Si, assolutamente. Tempo fa mi fu detto che, per sfogare la rabbia, gli strumenti migliori erano un sacco da pugilato o una batteria. Ovviamente ho scelto la seconda, e mi sono reso conto che se dedicavo quindici minuti del mio tempo a suonare nel modo più fragoroso possibile, mettendo tutto quello che avevo dentro in ciò che suonavo, non solo diventavo un batterista migliore, ma tiravo davvero fuori tutta la rabbia. Ma anche la scrittura può essere un buon mezzo per il controllo della rabbia. Scrivi una canzone, scrivi un diario, scrivi quello che hai dentro…Cosa conta non è lo strumento, bensì il non tenere tutto dentro ma riuscire a esternare la rabbia che coltivi in te incanalandola nella giusta direzione. La musica è quanto di più grande abbiamo a nostra disposizione per sfogare la rabbia, sia che suoniamo, che componiamo o che la ascoltiamo, è una mastodontica valvola di sfogo, dobbiamo solo imparare a usarla nel migliore dei modi”.

Foto Melissa Ghezzo

 

 

 

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