La Menade – Ritorno catartico

Il 05/12/2023, di .

La Menade – Ritorno catartico

In concomitanza dell’uscita del nuovo lavoro de La Menade dal titolo ‘Reversum’, vi proponiamo lo scambio di considerazioni tra me e la cantante/chitarrista Tatiana, membro storico della band capitolina, ormai in attività da diversi anni. Proprio le difficoltà implicite in una città caotica e disarticolata come Roma ci costringono ad un incontro virtuale che però non impedisce di andare un po’ a fondo sul disco, sulla band e, perché no, sulla condizione esistenziale.

Ciao Tatiana, dopo il benvenuto tra i “pixel” di MH vado diritto al punto, ossia ‘Reversum’, vostro ultimo album: sono trascorsi nove anni dal precedente ‘DisumanaMente’, un bel po’ di tempo…il titolo fa riferimento proprio al vostro ritorno? Cosa è accaduto in questo lungo periodo?
“Ciao Stefano. Effettivamente il titolo dell’album, ‘Reversum’, richiama il concetto del “ritorno”, ma in realtà non si riferisce soltanto al tempo trascorso dalla precedente release, quanto piuttosto ad un vero e proprio “ritorno a noi stesse”, ad una sorta di “chiusura” che ci è servita per rimettere in ordine vita e pensieri dopo anni davvero complicati. Abbiamo affrontato tanti eventi “traumatici”, dalla partenza di Chiara (precedente bassista n.d.r.), alla pandemia, a un paio di lutti veramente pesanti, ma anche momenti emozionanti come la nascita di nuovi amori e persino di due meravigliose nuove vite. È stato difficile barcamenarsi tra tutto questo, ma abbiamo sempre continuato a vederci per suonare. Sono stati anni complicati in cui le nostre paure più buie sono venute fuori e dovevamo affrontarle. ‘Reversum’ è servito anche a questo: in qualche modo, ci ha permesso di esorcizzarle e di trasformarle in qualcosa di creativo. Potremmo dire che per noi ‘Reversum’ è l’inizio di un ciclo catartico: per questo abbiamo voluto che la sua uscita fosse accompagnata da suoni, immagini e sensazioni tradotte in arte, per valorizzare una bellezza che faticavamo a vedere. Per darle voce, nonostante la devastazione interiore.
Come descriveresti in due/tre parole il nuovo disco?
“Cupo, introspettivo, catartico”.

Il primo fattore che salta agli occhi è il passaggio al cantato in lingua inglese, che regala sicuramente un respiro più internazionale alla vostra musica: qualcosa ne ha perso? Si tratta di un passaggio temporaneo oppure del nuovo corso della vostra musica?
“Sicuramente l’uso dell’inglese rende diverso il risultato finale, non potrebbe essere altrimenti vista la differenza abissale che c’è tra le due lingue, a livello di sintassi, di fonetica, di suoni. Ma è un esperimento che ci sentivamo di voler fare e che ci ha portato fuori dalla nostra comfort zone, potremmo dire. L’inglese, in questo momento, era più funzionale al discorso che volevamo intraprendere, oltre che una interessante sfida. E le sfide portano nuovi stimoli. Per ora posso dirti che i successore di ‘Reversum’ sarà ancora in lingua inglese. Per il futuro non saprei. Non amo mettere paletti, in genere”.
Immagino che la scelta linguistica abbia condizionato anche il vostro modo di scrivere musica: cosa è cambiato nel vostro approccio al rock cambiando l’approccio linguistico?
“Ha sicuramente condizionato la scrittura delle linee vocali, dandomi modo di provare cose diverse, ma non ha particolarmente influenzato l’approccio alla scrittura delle parti strumentali: qui ciò che ha fatto la differenza rispetto al passato, è piuttosto il trascorrere del tempo, dei gusti, di un sound che volevamo ottenere e che probabilmente è stato, semmai, arricchito anche dalla scelta linguistica. Non influenzato da essa però”.
Un ulteriore elemento riguarda l’importante impiego di tastiere e i diversi inserti elettronici utilizzati…sono elementi che vi accompagnano da sempre?
“Certo, le tastiere ci sono da sempre e anche nei precedenti album hanno giocato un ruolo determinante nella definizione del nostro sound, andando ad impreziosire in modi diversi le nostre atmosfere. Credo che la loro presenza si faccia notare di più in ‘Reversum’ per il tipo di atmosfere che vanno a disegnare e raccontare, per la scelta dei singoli suoni usati. per l’uso che di essi ne fa Tania, per il giusto risalto dato loro negli arrangiamenti e nel mix”.

I nove brani sono legati da un filo conduttore o comunque emergono tematiche prevalenti? Che temi affrontate nelle vostre canzoni?
Il disco è un contenitore di protesta nei confronti di una società che non ci piace, che ha scelto una direzione sbagliata a nostro avviso, tra le mille possibili che avrebbe potuto intraprendere. Racconta un malessere e il disagio di assistere impotenti a qualcosa che non ci piace, ma a cui allo stesso tempo non vogliamo arrenderci.
È la nostra personale osservazione della realtà, per come essa ci appare”.
La vostra attività musicale ha ormai diversi anni alle spalle, con il primo Ep che ha visto la luce nel 2005 e con una serie di riconoscimenti che hanno sottolineato la buona riuscita dei vostri sforzi. Credo che il vostro ultimo lavoro vi permetterà di fare un ulteriore balzo in avanti, in un Paese dove il rock sembra destinato o alla fama mondiale oppure a rimanere in un ambito strettamente underground…che ne pensi?
“Diciamo un’ovvietà: la gran parte del pubblico italiano ed il music business non hanno mai avuto un grande interesse per questo tipo di musica, quindi è inevitabile restare nell’underground, a meno che non si accettino compromessi o non si benefici di una propizia congiunzione astrale (!?). A fronte di ciò, l’Italia ha una scena underground ricca, viva e vibrante, sottovalutata, incompresa ai più, ma con un gran seguito “di nicchia”. Voglio dire. Va bene così, se questo è necessario a preservare quella creatività che permette di scovare ogni tanto qualcosa di molto interessante, valido e originale. Si resta nell’underground, ma credo ci si resti con dignità e con la possibilità di togliersi, ogni tanto, anche delle belle soddisfazioni”.
‘Closer’ è uno dei brani che mi ha maggiormente toccato, forse per il lavoro chitarristico o forse per la voce malinconica che lo avvolge. Mi dici qualcosa in più sul brano?
“’Closer’ nasce da una sensazione di solitudine, quella che ciascuno può provare in un determinato momento della propria vita, ma anche e soprattutto quella in cui mi sembra sia piombata l’intera umanità. Ci siamo allontanati, siamo più individualisti ed egocentrici, incapaci o più impacciati nelle relazioni sociali e questo ci fa stare distanti, gli uni dagli altri. Vorremmo avvicinarci, ma non ne siamo capaci e cerchiamo risposte facili a problemi complessi. Il pezzo nasce da un arpeggio di chitarra su cui abbiamo sviluppato prima la batteria per definirne la struttura, poi le tastiere a disegnare l’ambiente e infine il basso. È un brano che amo molto anch’io. È…storto, ciò nonostante mantiene una melodia comunque abbastanza memorizzabile”.
Va detto che sono molti i brani degni di nota all’interno del disco e tra questi indicherei anche ‘Oblivion’, potente e piuttosto oscuro, o ‘Release Me’, melodico ma aggressivo…vuoi introdurci il brano piu rappresentativo de La Menade del 2023 e naturalmente di ‘Reversum’?
“Questa è una domanda complicata, ma senza troppe esitazioni ti direi ‘Oblivion’. Per il testo, decisamente legato alle tematiche dell’album, per la presenza di un ostinato riff di chitarra, per l’uso dell’elettronica e le aperture di tastiere e voce, per un basso oscuro, deciso ma elegante. Ecco, credo che possa rappresentare degnamente, sia sotto il profilo emotivo che compositivo, La Menade di ‘Reversum’ – non per niente lo abbiamo scelto come primo singolo dell’album”.
Riconoscendo a La Menade una grande personalità musicale e artistica, avete avuto band di riferimento, riportate la vostra passione musicale a qualche gruppo particolarmente influente?
“Non c’è un solo artista o una sola band che ci hanno influenzato. Sicuramente ognuna di noi deve l’avvicinamento alla musica e la sua personale scintilla della passione ad un evento, una canzone o ad una persona. Ci sono band che amiamo tutte, come Tool, Dream Theater, Rammstein, e altre che sono comunque condivise o invece proprie di ciascuna di noi. Tutto crea il nostro background e quest’ultimo inevitabilmente, e direi anche piuttosto inconsapevolmente, influenza la nostra musica. Cerchiamo comunque di non pensare a quelli che possono essere i nostri riferimenti quando componiamo. Preferiamo dar voce alle emozioni nelle forme e nei modi che semplicemente ci appaiono più congeniali a esprimere proprio quella sensazione o quel sentimento che in quella canzone vogliamo esprimere”.
Come conciliate la vita quotidiana, immagino anche lavorativa, con la vostra vita musicale? Quanto tempo dedicate alla musica e, nel tuo caso, alla chitarra e all’esercizio vocale?
“Mai abbastanza, per una questione di tempo e di impegni che riempiono le nostre giornate. Ma di sicuro abbiamo sviluppato nel tempo costanza, determinazione e tenacia e queste ci consentono di non venire mai meno ai nostri appuntamenti. Pur nel marasma di vite complesse, insomma, riusciamo sempre a ritagliarci il nostro spazio (che sia di notte, in mezzo al traffico o in un weekend soleggiato d’estate)”.


Una curiosità tutta personale: che tipo di chitarra/e o altra strumentazione prediligi?
“Io uso Gibson e amo le mie Gibson. Ho una Les Paul Standard plus e una diavoletto, ma solitamente live preferisco suonare con la Les Paul. In merito all’amplificazione, ho una testata con preamplificatore Brunetti Mille e finale Mesa Boogie Fifty/Fifty e due casse Marshall: una 1936 2×12’’ con coni V30 e una 1923 2×12 con coni G12T75; per i live uso anche una pedaliera analogica per gli effetti comandata da un midi looper (Musicom Lab EFX MK2)”.
Grazie per la descrizione accurata!
Il nuovo volto o, se vogliamo, la rinascita de La Menade è stata accompagnata dall’importante presenza della Time To Kill Records…quanto è importante la presenza di un’etichetta solida alle spalle? Quanto lo è stata nel vostro caso?

“Sicuramente è importante perché ti senti sgravato di una serie di incombenze che si aggiungono ad altri pensieri e cose da fare prima, durante e dopo l’uscita di un album. Conosco la Time To Kill da tempo e avere la possibilità di lavorare con loro mi fa sentire parte di una famiglia. Questo aiuta naturalmente, ma da solo non basta. Sulla band resta comunque sempre una grande responsabilità in termini di impegno e puntualità”.
In tanti anni di attività non avete mai trascurato le esibizioni dal vivo. Avete progetti più o meno importanti a riguardo?
“Siamo reduci dal release party di ‘Reversum’ che si è tenuto il 17 novembre scorso al Traffic Live Club di Roma. Un’esperienza importante e rigenerante visto che erano anni che non salivamo su un palco. Sicuramente la fame vien mangiando e ora, sì, cercheremo di continuare a suonare il più possibile perché la dimensione live è quella in cui hai la possibilità di vivere concretamente la tua musica e il tuo pubblico. Ciò che dà linfa alla passione insomma e che ti spinge inevitabilmente a voler fare di più.
Un caro saluto
“Un saluto a te”.

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