Estetica Noir – Luci nell’oscurità

Il 05/05/2024, di .

Estetica Noir – Luci nell’oscurità

Come leggenda narra, il terzo disco di una band è quello della prova del nove, dell’avvenuta maturità, della consacrazione. Ed ‘Amor Fati’, uscito il cinque aprile scorso per la Swiss Dark Nights Records, può essere considerato proprio questo per il quartetto torinese degli Estetica Noir, da sempre dedito a sonorità darkwave care a The Cure, Depeche Mode, Killing Joke ed affini. Tempo quindi di raggiungere tramite videochiamata il frontman Silvio Oreste e farsi svelare molto di più in merito, con divagazioni sull’attuale fruizione musicale nonché sulla scena dal vivo nel Belpaese che, come forse già saprete, fatica ad ottenere i meritati spazi ed ultimamente viene evitata anche da alcuni gruppi esteri. Buona lettura!
Buonasera Silvio, grazie della tua disponibilità e benvenuto a Metal Hammer Italia: come stai innanzitutto?
“Ciao Gianfranco, benissimo grazie, un saluto a te e a tutti i lettori di Metal Hammer Italia! Sono molto orgoglioso ed onorato di quest’intervista, visto che il sottoscritto e Riccardo (Rik Guido, bassista, ndr.) siamo stati due assidui lettori di Metal Hammer durante la nostra giovinezza, quando appunto mensilmente si andava dal giornalaio sotto casa a comprarlo. Tra l’altro, come noterai sullo sfondo, ho uno studio pieno di foto e vecchi poster, di cui qualcuno di Metal Hammer: li ho conservati tutti e, quando ho cambiato casa e mi sono fatto uno studio, tutti quei poster sono risultati preziosi.”
Molto bello, complimenti! Dunque: terzo album in studio in undici anni di carriera, se si esclude l’omonimo EP di dieci anni fa, è appunto ‘Amor Fati’, uscito lo scorso cinque aprile per la Swiss Dark Nights Records. Parlaci innanzitutto del cambio di etichetta…
“Allora: con la nostra vecchia etichetta, la Red Cat Records, abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto e ci siamo sempre trovati benissimo. Tuttavia l’etichetta ha smesso di lavorare, ma allo stesso tempo ci stava già spingendo nel cercare qualcosa di più importante, perchè essa stessa si riteneva ormai forse non più all’altezza di quelle che potevano essere le nostre prospettive, quindi ci ha fatto i migliori auguri di poter passare ad un’etichetta di livello superiore. Siamo contentissimi di aver trovato la Swiss Dark Nights Records, che è una delle più prestigiose del settore, una di quelle che inseguivo da parecchio tempo ma che non sono mai riuscito ad agganciare, e che ora finalmente ci ha dato quest’opportunità, questo spazio per il nuovo album.”
Ebbene, adesso parlaci proprio di ‘Amor Fati’…
“Ho iniziato a scrivere ‘Amor Fati’ nel periodo della pandemia, anche se a dire la verità di questi nove pezzi ce ne sono almeno un paio che come riff risalgono a quando avevo vent’anni: robe tenute nel cassetto e mai riarrangiate, poi riviste con l’attuale sound. C’è un concetto dietro a questo lavoro: quello di vedere il destino, il futuro, in modo positivo. Per quanto uno possa definire un disco Dark per forza triste, qui non è assolutamente così. E’ un pò un tuffo nel crudele ed inevitabile processo dell’invecchiamento affrontato da un lato con nostalgia, ma dall’altro con romanticismo, rabbia e determinazione, in opposizione al modo statico e denigrante di chi ci vuole addomesticare, chi ci vuole sempre omologati, come ai tempi della pandemia, senza stimoli a livello sociale ed individuale. ‘Amor Fati’ è un modo adulto di pensare, ma sempre con il proprio fanciullino, con quella voglia di uscire per quanto possibile dal pessimismo cosmico adolescenziale per andare ad affrontare la vita certamente con la consapevolezza delle difficoltà che ci saranno, ma anche la prospettiva che dietro l’angolo ci sarà qualcosa che ci darà delle soddisfazioni, che ci piacerà. Ad esempio una canzone dell’album dal titolo ‘Stockholm’s Azure’, parla di quando mi sono trovato a Stoccolma alle tre di notte con il cielo ancora azzurro: è una metafora sulla notte che tarda ad arrivare e questa vecchiaia che tarda ad arrivare, perchè in fin dei conti dentro di noi c’è ancora quello spirito, legato anche alla musica, di continuare a fare, produrre, creare, così come nella vita: il non abbandonare il tutto e lasciarsi andare all’inevitabile processo dell’invecchiamento. C’è quindi una volontà di affrontare questi cambiamenti con speranza, positività: è questo il tema di fondo. Inoltre il lavoro è stato prodotto da Riccardo Sabetti dei This Eternal Decay e Spiral 69: siamo molto contenti di questa collaborazione perchè è riuscito a dare un sound un pò più potente, soprattutto a livello di basso e batteria, rispetto a quello che avevamo fatto in passato.”
Personalmente, a rendere intrigante l’album sono le varie sfumature che vanno a definire ogni pezzo: c’è, ad esempio, la “popeggiante” ‘Summer Shine’, che mi ricorda i Duran Duran più mesti, quelli di ‘Save a Prayer’, ma ci sono brani come la già citata ‘Stockholm’s Azure’ che virano più sul Post Punk, altri che richiamano i Depeche Mode… Tu che ne pensi?
“Beh assolutamente si: le nostre influenze sono sempre state quelle al di là del fatto che ognuno di noi ascolta un range musicale molto vasto. Io ad esempio sono cresciuto con il Thrash e lo Street Metal passando poi al Prog Rock anni Settanta tipo Genesis e Yes, poi parallelamente ho sempre amato The Cure, Depeche Mode, Siouxsie Sioux, Bauhaus approfondendo sempre di più questo lato Dark elettronico. Sicuramente gli anni Ottanta e Novanta sono quelli che hanno caratterizzato la nostra giovinezza ed i nostri ascolti, quindi come hai detto giustamente te riguardo ‘Summer Shine’ qualcun’altro me l’ha paragonata a band come Tears For Fears. Non a caso quando poi uno pensa a come deve suonare il proprio gruppo, come deve scrivere, non sapendo bene dove andarsi ad etichettare tra tutte le definizioni che ci sono, a me era venuto in mente che affiancato alla parola Darkwave ci potesse stare anche Art Rock, quello appunto degli anni Ottanta che vede nei Duran Duran, Tears For Fears ed altri i loro portabandiera: quel modo meno minimale e più curato negli arrangiamenti, un pò più nostalgico e melodico allo stesso tempo. Una cosa che noi teniamo sempre a precisare è che amiamo fare delle canzoni: purtroppo nell’ambito Darkwave, dal mio punto di vista, c’è questa brutta moda di prendere un loop e portarlo avanti per cinque minuti come un giro trito e ritrito già sentito migliaia di volte, a ricordare gli scarti dei The Cure. (Ride, ndr) Ormai purtroppo è così: l’ascolto, tramite Spotify, dev’essere velocissimo, immediato, il cantato deve entrare subito, non c’è più tempo per l’intro, per tutte le varie sfumature, i passaggi, cambi di tempo, ecc… Però, appunto, uno dei nostri slogan è “make songs, not sounds”, quindi non solo suoni, ma ci piace fare canzoni che abbiano magari anche una struttura normale e immediata di strofa e ritornello, ma fondamentalmente puntiamo alla canzone, da qui appunto quest’unione tra Art Rock e Darkwave mi intrigava…”

Tra i nomi citati degli anni Ottanta aggiungerei, se sei d’accordo, anche gli Ultravox, personalmente ai primi posti di quei tempi dal punto di vista prettamente melodico…
“Condivido: anch’io ho sempre adorato gli Ultravox appunto per questa loro capacità di trovare delle melodie fantastiche. Poi magari avevano alle volte dei suoni discutibili, però come capacità di trovare delle melodie sicuramente sono riusciti a distinguersi tra tutti.”
A proposito di distinguersi: non credi che questo mix non identifichi il sound degli Estetica Noir? O ritieni che la band debba appartenere ad una proposta camaleontica?
“Ci siamo sempre sentiti molto trasversali fin dall’EP d’esordio, onestamente. Lì, non avendo ancora capito quale fosse la nostra strada, ci sono due pezzi cantati in italiano, due in inglese e uno mezzo in inglese e mezzo in italiano, giusto per darti un’idea di quanto fossimo indecisi sulla via da seguire già a partire dalla lingua. (Ride, ndr.) Musicalmente c’è dell’Industrial, del Rock, così come ci sono strutture più complesse: non ci siamo mai sentiti né appartenenti completamente al mondo Dark, né per forza all’Alternative o all’Indie ecc… E da un lato è un punto di forza secondo me, perchè non mi piacerebbe assolutamente che mi venga detto di assomigliare a una band e stop. Mi piace quando, ad esempio leggendo le recensioni, un giornalista ha scritto che quel pezzo assomiglia ad una cosa, ed un altro che lo stesso pezzo assomiglia a tutt’altro: vuol dire che non c’è una coordinata ben precisa. Quando ad esempio nell’ascoltare degli album riscontro che una band è la fotocopia di un’altra, mi scade subito, non ci trovo nulla di interessante che valga la pena di approfondire. Da un lato, però, questa trasversalità ha portato anche a dei problemi: non è sempre molto semplice a livello di ricerca di date dal vivo, non si riesce ad entrare completamente in un giro perchè non si appartiene troppo né ad un lato né ad un altro, però penso che per chi ha pazienza nell’ascolto ed apprezza cose un pò ricercate e per quanto possibile originali, anche se al giorno d’oggi parlare di originalità è difficilissimo, l’album lo può apprezzare.”
Si suol dire che il terzo disco di una band sia quello definitivo, quello della maturità: ritieni ‘Amor Fati’ ad oggi il vostro disco più maturo?
“Si, penso di si: credo che ci sia stata un’escalation costante. Con il primo EP, come ti dicevo, non avevamo ancora capito quale fosse la nostra strada: c’era questa smania di uscire allo scoperto e farsi sentire. E se con il secondo c’erano ancora dei riferimenti quasi obbligati, siamo molto orgogliosi del successivo ‘This Dream In Monochrome’, che ha ricevuto ottimi consensi ovunque. ‘Amor Fati’, però, è ulteriormente un passo avanti, sia a livello di produzione che di arrangiamenti e melodie. Ricordo le interviste che leggevo dei miei miti, i quali spesso sostenevano che l’ultimo era sempre il loro lavoro migliore, perchè ovviamente dovevano anche promuoverlo (ride, ndr.), e quindi anche se le mie sembrano parole di circostanza, in realtà lo penso davvero. Ci sono brani come ‘Summer Shine’ e ‘Faded’, ad esempio, che nonostante li abbia ascoltati miliardi di volte, appena li riascolto ho ancora i brividi: ci sono dei passaggi che mi emozionano, e penso che questa sia una genuinità a cui bisogna credere, in quanto spontanea.”
Prima hai parlato di come, oggigiorno, forse anche perchè non si appartiene ad un genere specifico, sia dura trovare date dal vivo in Italia…
“Certo, e fondamentalmente è colpa del pubblico: anche i gruppi grandi che girano l’Europa in tour, in Italia non vengono più, perchè fanno quattro persone. Uno come Gary Numan che qualche anno fa è venuto a Torino, ha fatto ventinove persone: ma chi glielo fa fare?! Non per niente tutti questi grandi festival, perchè poi per fare il salto di qualità bisognerebbe iniziare a suonare nei festival, hanno cinquanta gruppi suddivisi nei vari giorni, e la maggior parte di questi gruppi vengono dal Belgio, dalla Germania, dalla Francia, insomma dal centro Europa, e di italiani ne vedi due o tre. Non c’è più il volersi acculturare purtroppo, mentre all’estero vedi ancora il disco Metal nelle vetrine dei negozi di dischi: se da noi c’è la solita proposta sanremese o Trap, a Stoccolma ci sono rimasto veramente male nel vedere gli Hammerfall in vetrina, non ci credevo! Ma magari per loro è normale mettere quelle band in vetrina, perchè è quello che ascoltano, qua invece se suoni questo genere sei visto come un cretino da bullizzare. Io pensavo che questa fosse rimasta roba dei miei tempi, ma probabilmente è ancora così. C’è poi il discorso delle tribute band, io ad esempio ho una band tributo ai The Cure e vedo la diversità di approccio del locale se hai una band tributo o se hai una band con pezzi propri, ma lo capisco perchè una band tributo ha più seguito: triste ma vero. Se fai dei pezzi tuoi è davvero difficile che ti seguano, ma sempre in quanto qui non c’è cultura, perchè quando abbiamo suonato in Francia ed in Belgio mi sono commosso: c’era gente che cantava i nostri ritornelli! Cioè queste persone si sono prese la briga di andare su YouTube, ascoltarsi i brani e venire al concerto preparati, sapendo già le canzoni che noi avremmo suonato! Cioè una cosa che nemmeno il tuo migliore amico… (Ride, ndr.) A loro piace scovare qualcosa di nuovo, perchè appunto c’è il rischio che piaccia: attenzione a ciò che desideri, perchè potrebbe piacerti.”

Quindi come ti sembra stia evolvendo la scena Darkwave/Industrial di cui fate parte?
“Penso che soprattutto nel nord Italia ci siano ancora delle situazioni interessanti, purtroppo un pò limitate per una questione di budget soprattutto dopo la pandemia, però qualcosa ancora c’è. E’ forse il pubblico che purtroppo non c’è: non si sta avendo un ricambio generazionale, sono pochi i ragazzini alle serate, fondamentalmente trovi persone dai quarant’anni in su. Qualcuno da noi a Torino si vede nei due locali che ancora promuovono serate di questo genere, ma sentendo gente del Veneto e della Lombardia siamo venuti a sapere che lì la scena è peggiore: magari ci sono date, ma sporadiche e lontane chilometri.”
Avresti qualche idea per accrescere l’interesse verso questa scena? Una soluzione?
“Secondo me la soluzione migliore innanzitutto sarebbe quella di educare i ragazzi più giovani a nuovi tipi di musica che non è appunto quella omologata accennata prima. Anche solo iniziando a educarli da band base, come ad esempio Depeche Mode, The Cure, come abbiamo fatto noi da giovani. Io, facendo musicoterapia con i ragazzi, faccio ascoltare queste canzoni: magari loro vengono da un mondo totalmente diverso, però scoprono che alla fine queste band gli piacciono. Il discorso è che noi una volta ci attaccavamo molto a quello che ascoltavamo, facendone anche un senso di appartenenza: ti compravi la tua cassetta o il tuo CD, e quello diventava un qualcosa che ascoltavi assiduamente perchè ci avevi speso dei soldi. Adesso, invece, con questi sistemi di musica “liquida” che vanno subito via, diventa difficile riuscire ad agganciare una band che ti piace veramente, o qualcuno con cui poi condividere serate ecc ecc… Per il resto, cosa vuoi che ti dica, purtroppo in Italia se già non vengono gruppi di punta, al di là dei soliti Placebo, Depeche Mode e The Cure, diventa maggiormente difficile per i gruppi minori. Ad esempio io adoro gli Actors, ma probabilmente non riuscirò mai a vederli, perchè hanno deciso di venire in tutta Europa tranne che in Italia. (Ride, ndr.) Peccato, perchè secondo me sono un gruppo accattivante anche per chi non mastica questo genere musicale, perchè dopotutto sono abbastanza Pop. Oppure, per farti un altro esempio, a giugno i Crosses, progetto di Chino Moreno dei Deftones, verranno in Italia ed io andrò a vederli a Milano (per la cronaca, il tredici giugno si esibiranno a Foligno, ed il giorno successivo nel capoluogo lombardo, ndr.), e spero veramente che quella data non sia un flop, perchè nonostante lui sia famosissimo, e nonostante il sound sia accattivante, perchè è comunque un Pop fresco che potrebbe piacere ai giovanissimi, non riesce ad aver presa sul pubblico, quindi…”
Certo, capisco. E adesso, cosa bolle in pentola in casa Estetica Noir? Cosa avete in programma?
“Innanzitutto abbiamo sei date da fare da qui a fine anno: mi auguro di trovarne decisamente di più. Per il resto ho già qualche bozza di brani nuovi che poi potranno finire sul prossimo album. Vediamo innanzitutto quanto riusciamo a raccogliere da questo disco, visto che è appena uscito, e giorno per giorno continueremo sempre di più a vedere i feedback della gente. Stiamo comunque notando sui social ed ai nostri concerti che per fortuna si sta creando un seguito di persone che personalmente non conosciamo, quindi che vengono apposta per vederci, e questa è un’evoluzione buona. Vedremo come andranno le cose.”
Prima di salutarci, dammi i tuoi tre dischi di sempre.
“Tre?! Potrei dirtene cinquanta! (Ride, ndr.) Allora, non posso non menzionare ‘Appetite For Destruction’ dei Guns ‘n Roses perchè è stato quello che mi ha cambiato la vita: con lui, da quando mi diedero la cassettina nell’ottantotto o ottantanove, mi sono detto: “oh, esiste la musica”. Mi si aprì un mondo. (Ride, ndr.) Non posso inoltre tenere fuori i The Cure, perchè sono il gruppo che adoro più di tutti, visto che li suono anche da una vita, e il disco che me li ha fatti conoscere è ‘Concert: The Cure Live’, quindi è quello a cui sono più legato. Il terzo è ‘Amor Fati’, per forza.” (Ride, ndr.)
Ottimo Silvio, l’intervista è terminata. Ringraziandoti ancora della tua disponibilità, se c’è qualcosa che vuoi aggiungere per i lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto tuo!
“Mi auguro che ascoltiate ‘Amor Fati’ e ci diate al più presto dei feedback, che vi sia piaciuto o no. Avere dei pareri è sempre importante, aiuta a crescere e chissà che se un domani si riuscisse a suonare dalle vostre parti non ci si possa anche conoscere. Per il resto, come dicevo prima, bisogna sempre essere curiosi, cercare nuove cose senza pregiudizi e senza seguire sempre la pigrizia del rintanarsi nel disco della propria gioventù, fermandosi lì: provate ad ascoltare materiale nuovo, perchè qualcosa di vario in giro c’è sempre.”

 

 

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