Opeth @Alcatraz – Milano, 09 novembre 2019

Il 24/11/2019, di .

Opeth @Alcatraz – Milano, 09 novembre 2019

Eccoci finalmente davanti alle porte dell’Alcatraz per una delle date più attese della stagione: la tappa italiana del tour di ‘In Cauda Venenum’, ultima chiacchieratissima fatica degli Opeth, pubblicata a settembre per la Nuclear Blast. L’aria è quella di una tipica serata novembrina milanese, il pubblico in fila per i controlli, invece, abbastanza eterogeneo. Tra le chiacchiere degli scettici e degli affezionatissimi, lentamente, ci facciamo largo verso il palco dove già stanno suonando i The Vintage Caravan,combo hard rock scelta personalmente da Åkerfeldt come opener delle date europee. Al trio islandese l’arduo compito di intrattenere, all’ora dell’aperitivo, un pubblico abbastanza esigente che pare però apprezzare la performance energica e coinvolgente dal timbro vintage, fortemente ispirato ai Seventies. Echi di Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, Cream e Jimi Hendrix si susseguono tra assoli, cavalcate e momenti più delicati. Fraseggi prog rock, impreziositi da macchie acide psichedeliche, sono resi moderni da un sound vivace che rende gradevole la proposta di Ágústsson, Númason e Stefánsson i quali, dopo poco meno di un’ora cedono il testimone agli attesissimi headliner svedesi.

Puntuale, il buio cala sul numeroso e trepidante pubblico dell’Alcatraz. Si odono le prime note di ‘Livets Trädgård/Gardens Of Earthly Delights’ e sullo schermo scorrono immagini studiate a tavolino per enfatizzare le atmosfere create dalla opener di ‘In Cauda Venenum’ (una costante che ritroveremo per tutto il concerto, difatti la cura per l’aspetto visual è stata maniacale ed estremamente azzeccata, dai colori alle geometrie, raggiungendo l’apice con il tema cosmografico di ‘Allting Tar Slut/All Things Will Pass’).
Per due ore buone si alternano universi vintage e puramente prog rock, distintivi de ‘I Nuovi Opeth’, a grandi classici del passato che commuovono e fomentano molti dei presenti. Atmosfere rarefatte, ombre di un remoto malinconico intimismo, si avvicendano, con notevole naturalezza ed eleganza, alla freschezza del sound settantiniano.
È davvero tutto al posto giusto, un concerto impeccabile: il pathos è reale, i tecnicismi non annoiano, i nuovi brani sono appassionati e maturi, la resa live è ipnotica e affascinante ma, perché purtroppo c’è un ma, tutto questo non vale per l’intera performance.
Nonostante il growl inconfondibile di Mikael resti ancora potentissimo e cavernoso (seppur reso un fievole ruggito stasera da un settaggio maldestro dei volumi), ascoltare perle come ‘The Leper Affinity, ‘Reverie/Harlequin Forest’ e ‘The Lotus Eater’ perdere la peculiare violenza esplosiva dei climax a causa della morbidezza delle chitarre, a causa di un sound poco graffiante, per nulla congeniale a ‘I Vecchi Opeth’, e che ne deforma l’identità svuotandoli di ogni energia, sinceramente, ha fatto storcere il naso, almeno alla sottoscritta.
Ma sulle evoluzioni stilistiche e sulla libertà di espressione artistica più o meno vincolata alle aspettative altrui si è già disquisito a lungo nelle varie battaglie da tastiera di legioni di fans e critica.
Inutilmente.
Gli Opeth si confermano grandi musicisti capaci di creare atmosfere uniche destreggiandosi, non senza rischi, tra chiaroscuri vibranti e potenti, regalando agli astanti un viaggio onirico magnetico ed intenso.

Setlist
Livets Trädgård
Svekets Prins
The Leper Affinity
Hjärtat Vet Vad Handen Gör
Reverie/Harlequin Forest
Nepenthe
Moon Above, Sun Below
Hope Leaves
The Lotus Eater
Allting Tar Slut
Encore:
Sorceress
Deliverance

FOTO DI ALICE FERRERO IMAGE

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