Stige IV Edition @ Campus Industry Music, Parma, 11 marzo 2023

Il 19/03/2023, di .

Stige IV Edition @ Campus Industry Music, Parma, 11 marzo 2023

Quarta edizione dello Stige Fest che, come giusto che sia, ogni anno si fa sempre più importante ed ambizioso, sull’onda lunga di un interesse crescente e di una visibilità ormai di livello internazionale, stando anche alla caratura e al prestigio delle band di volta in volta chiamate all’appello; per non dire della posizione geografica e di una struttura sicuramente strategiche e ottimali per una manifestazione del genere, organizzata e sponsorizzata dall’intraprendente ed esperta in materia Lo-Fi Creatures Events. Cambi palco velocissimi e una scaletta attrezzata e variegata il giusto, che via via ha portato alle band principali, per chiudere infine alla grande con lo show da headliner dei leggendari Death SS capitanati da Steve Sylvester; un valore aggiunto non di poco conto, specie se consideriamo la durata e la natura dell’evento, che non solo si è rivelato coinvolgente ma si è mantenuto snello e affrontabile anche grazie alla buona organizzazione del tutto. Ma andiamo per ordine, e riavvolgiamo il nastro, sin dalla partenza dello Stige Fest IV Edition, procedendo come se ce lo trovassimo ora davanti agli occhi…

Il ruolo di opener assoluto, poi in un contesto qual è quello dello Stige Fest, già estremo ed “estremizzato” di suo, rischia di essere un fardello pesantissimo per i lombardi Devoid Of Thought amanti di un death metal dalle molteplici sfumature che, incuranti dell’orario pomeridiano (sono le 15,30), affrontano a viso aperto l’arduo compito e si dilettano a dare del “tu” a Sua Maestà il Caos, imbastendo un set urticante e a basso regime, seppur votato a un processo evolutivo che, di suo, promette subito grandi cose. Dissonanti e imprevedibili, i Devoid Of Thought sono da non sottovalutare per l’interpretazione quasi “naif” del genere (che, va detto, appare spesso troppo stantio e fino a sé stesso), una band sulla quale tornare presto in futuro, sorprendente anche per la nonchalance con cui rompe il ghiaccio, inaugurando lo Stige Fest edizione 2023.

Con i Witchunter si corre invece lungo un crinale già battuto, ma non per questo meno avvincente dato che il gruppo abruzzese è tra i migliori in circolazione per la propria capacità di sfoderare puro heavy metal vecchio stampo, meglio se con sopra inciso l’inconfondibile marchio della NWOBHM, ma iper-vitaminizzato con sostanziose dosi di speed metal strabordante impeto e melodia, oltre che un amalgama tra le parti che conquista al primo colpo. In attività da più di tre lustri e purtroppo soltanto tre album realizzati – tra cui l’ottimo ‘Metal Dream’ uscito l’autunno scorso – tutto si può dire ma non che la band teramana non sappia il fatto suo, soprattutto sulle assi del palcoscenico, e durante il suo show al Campus Industry Music lo dimostra ampiamente, con sugli scudi il frontman Steve Di Leo e il chitarrista Federico “Ace” Iustini, i quali non lesinano spunti né energie. Una formazione italiana di cui andare fieri, che io personalmente ricordo ancora acerba, ma già in possesso del “sacro fuoco” e giustamente ambiziosa, quando anni addietro la vedevo suonare tra le mura amiche dell’ormai celeberrima Heavy Metal Night di Martinsicuro, un festival metal ineguagliato e ineguagliabile, che tuttora rimpiangiamo. All’insegna dell’autarchia e di un piglio fiero e roboante, la prima tacca la segnano appunto i Witchunter.

Gli Helleruin da Groningen, patrocinati dal polistrumentista e nume ispiratore Carchost, sfuggono un po’ dai canoni consueti sia per la loro natura intrinseca di “one-man band” (per questo tour dotati comunque di un valoroso gruppo di turnisti, almeno stando a quello che riesco a intuire) che per un black metal sound glaciale e mortifero che non risparmia di chiamare in causa colossi norvegesi del calibro di Darkthrone e Taake, che il cadaverico frontman olandese può ricordare anche visivamente parlando. Emblematici, mi permetto di poterli definire anche bravi, ma nutro comunque delle perplessità e ho più di una riserva, verso uno stile che ha decisamente fatto il suo tempo, ma che, fortuna nostra, in molti casi adotta le variabili giuste ed evolve in qualcosa di realmente avvincente.

Sempre devoti al caos primigenio, ossequiosi del sacro dogma nero tramandato da Venom e Bathory, Mayhem e primissimi Sodom, i Necromutilator non si perdono affatto in chiacchiere e si concentrano sul nudo e crudo massacro, di una folla che sotto al palco si è fatta via via sempre più consistente e sembra quasi non respirare, sotto le bordate del three-piece mantovano che vedo qui al Campus Industry per la prima volta all’opera. Anch’essi parecchio derivativi, però tremendamente coinvolgenti e per questo divertenti, in fondo è questo il compito primario e i Necromutilator lo rispettano in pieno.

È nuovamente l’Olanda sugli scudi adesso, con l’arrivo dei Bodyfarm di cui si dice un gran bene, e in effetti il quartetto originario di Utrecht è semplicemente devastante e perentorio nell’assecondare il proprio istinto omicida, trasmesso per conto di un death metal old style di classico stampo olandese (come non scomodare nomi storici come primi Gorefest e, soprattutto, Pestilence? Forse la chiave di volta essenziale per comprendere appieno vizi, ma soprattutto virtù di un organico portavoce di un genere che, nei Paesi Bassi, ha referenze di livello assoluto), influssi “modernisti” di scuola svedese e un dinamismo che ricorda molto l’impatto frontale tipico degli statunitensi. Cinque album (di cui il nuovissimo, distruttivo ‘Ultimate Abomination’, pubblicato soltanto dieci giorni prima di questa tournée europea che ha condotto i Bodyfarm anche in Italia), e una sfiga totale che nel corso degli anni ha visto sia la morte del fondatore Thomas Wouters che l’abbandono di altri elementi importanti, un fattore questo che ha rallentato la corsa di una band assolutamente pregevole e meritevole di grande attenzione, tra le espressioni continentali più vitali e solide. Mazzate sui denti tipo ‘Angelreaper’, ‘The Swamp’ o ‘Torment’, si sentono, eccome se si sentono…

Teatrale, tradizionalmente accostabile a certe allegorie e a misteri prettamente italiani, di quelli che si tramandano di generazione in generazione, che si dicono sottovoce o, meglio, si bisbigliano per non turbare l’apparente quiete né il dogma cristiano che sconfessa, anzi condanna qualsiasi forma pagana, Selvans, in soldoni, questo è. Particolarissimo sia scenicamente che musicalmente parlando, specie ora che nel suo humus stilistico si riconosce forte e marcata un’impronta progressive che, a dire il vero, si sposa benissimo con il suo oscuro folk metal avanguardistico, spettrale nei contenuti lirici ma sostanzioso come musicalità e impatto, per la cui riuscita si dimostra senz’altro importante l’apporto live del chitarrista Gianluca Silvi, “ascia” storica dei Battle Ram, che di Selvans è amico nonché sodale conterraneo. Quello degli abruzzesi è un progetto ad ampio respiro, fremente e per certi versi anche spiazzante, ma non per questo meno affascinante. ‘Lupercale’, ‘Verrà Corvo Morto’ e la personalissima cover di ‘Come To The Sabbath’ dei Mercyful Fate conquistano e convincono, a patto che si entri nell’ottica giusta.

Se in passato i Destroyer 666 non mi avevano mai convinto granché, sia a livello di concerti che specialmente sotto il profilo compositivo, devo però ammettere che il loro recentissimo full length album ‘Never Surrender’ ha decisamente sparigliato le carte in tavola, per la gioia di tutti noi adepti dell’oltranzismo a fosche tinte e possibilmente legato ai dogmi insegnati da Sua Maestà Lemmy Kilmister e i suoi imprescindibili Motörhead, vale a dire un incessante assalto all’arma bianca dalla prima all’ultima canzone, con quel piglio autorevole e belligerante memore di ciò che la storia ha trasmesso. Da sempre nocchiero e spirito guida della band australiana, il vocalist e chitarrista K.K. Warslut imprime immediatamente una marcia sostenuta e mai la mollerà, nel corso di un concerto a mio avviso entusiasmante, per la sua intensità vibrante e una violenza pericolosissima, anche se organizzata e messa al servizio di un gruppo che dimostra di sapere bene a cosa mira. Se il nuovissimo disco è ben promozionato, dall’opener ‘Never Surrender’ a ‘Guillotine’, a ‘Pitch Black Night’, tutta l’irruenza del passato è sputata fuori da capisaldi quali ‘I Am The Wargod (Ode To The Battle Slain)’ e ‘Satanic Speed Metal’, manifesto per antonomasia della band nata a Melbourne, ma da tempo ubicata tra Eindhoven e Londra.

Quasi otto ore più tardi dall’apertura delle ostilità, la stanchezza è ormai una fedele compagna di ventura e anche i timpani sembrano cedere impietosamente, se non fosse che sta per materializzarsi l’evento principale, l’ingresso in scena dei leggendari Death SS in veste di autorevoli headliner di uno Stige Fest IV letteralmente traboccante puro coinvolgimento e una partecipazione di pubblico forse non prevista a tali livelli, potenza dell’arcano fascino che Steve Sylvester ha sempre esercitato, oggi come ieri, nel corso di un percorso iniziatico che lo ha portato ad esprimersi alla massima potenza, grazie a una band, a un marchio che, per carisma e pathos, non ha forse eguali al mondo. L’intro ‘Dies Irae’ porta subito a ‘The Black Plague’, primo estratto dall’ultimo ‘X’, ma è con i classici ‘Cursed Mama’ e in particolar modo ‘Horrible Eyes’ che la temperatura si surriscalda, che il rituale prende definitivamente forma. Per via di una formazione rinsaldata con gli ingressi di Ghiulz (chitarra), Demeter (basso) e Unam Talbot (batteria) e che vede in Steve e nel tastierista Freddy Delirio l’ideale anello di congiunzione, di una line-up sempre più tirata a lucido da una serie di concerti mirati e di prestigio, come da tempo era nelle intenzioni dello storico gruppo. Gruppo che, ed è notizia di questi giorni, sarà invitato ad aprire per i Ghost nella loro data all’Ippodromo di Milano alla fine di maggio, e credo che tale opportunità vada selezionata come una grande soddisfazione, al di là delle stupide e sterili polemiche all’italiana che tanto stanno ammorbando il mondo dei social, ma, purtroppo, anche questo è uno specchio dei nostri tempi vuoti. Fatto sta che Tobias Forge è un indomito fan dei Death SS, lo è sempre stato, e l’aver incontrato Steve Sylvester di persona ha fatto sì che il patto potesse completarsi, compiutamente. Per buona pace dei detrattori e di tutti coloro che non perdono mai l’occasione per starsene zitti. Ma tant’è. A parte questa nota a margine, che credo però sia essenziale riportare, aggiungo inoltre che lo show di Parma non risparmia altra carne al fuoco come ‘Where Have You Gone?’ urlata a squarciagola da un pubblico in visibilio, una ‘Baphomet’ grandiosa, una vibrante ‘Zora’ alla mercé della conturbante Dhalila, senza tralasciare l’ancestrale, “esotico” fascino di ‘Baron Samedi’, fino a ‘Terror’, brano epocale, in grado di scuotere le coscienze fin dagli albori degli Eighties quando fece il suo esordio discografico sulla pionieristica compilation ‘Gathered’. Se ‘Family Vault’ suona da brividi, con una interpretazione magistrale di Sylvester e presa in consegna dalle frementi tastiere di Delirio e da una sezione ritmica implacabile, ‘Temple Of The Rain’ tuona prepotente come solo i grandi classici preannunciano di fare, prima di ‘Scarlet Woman’, di ‘Suspiria’, di ‘Vampire’, sulle cui note che vanno sfumando la band abbandona il palcoscenico. Ma non è finita, e per far sì che il circolo giunga al suo compimento, entrano infine nel lotto ‘Kings Of Evil’, la raggelante cantilena di ‘Let The Sabbath Begin’ e la conclusiva, veemente ‘Heavy Demons’, a coronamento di un headling-show perfetto e ideale per chiudere degnamente questa quarta edizione dello Stige Fest, con il quale ci diamo appuntamento all’anno prossimo.

 

 

 

 

 

Galleria fotografica a cura di Salvatore Marando

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