Dissonance Festival 2023 (Meshuggah + Soen + Destrage + more…) @ Circolo Magnolia, Milano – 3 giugno 2023

Il 11/06/2023, di .

Dissonance Festival 2023 (Meshuggah + Soen + Destrage + more…) @ Circolo Magnolia, Milano – 3 giugno 2023

Torna, imperterrito, il Dissonance Festival che, per la nona edizione, scuote la Penisola diventando sempre di più uno degli appuntamenti caldi dell’estate. Dopo aver cambiato diverse location, il festival di Versus Music Agency (organizzatore insieme a Bagana, Trivel e Plasma Concerti) pare aver trovato finalmente casa al Magnolia, location perfetta grazie agli ampi spazi che consentono di allestire due palchi sui quali spalmare le band di giornata, per un bill studiato per far sanguinare le orecchie al numeroso pubblico presente. Oltre ai padri del djent Meshuggah, headliner di giornata, troviamo infatti i connazionali Soen, i francesi Ten56 e un nutrito gruppo di band nostrane desiderose di sfruttare al massimo questo prestigioso palco per mettere in mostra il loro valore.

Ed è proprio a una band tricolore, i veneziani Shading, che spetta il compito di inaugurare l’edizione numero nove del Dissonance Festival, ed i nostri lo fanno dando vita a venti minuti pregni di un metalcore tecnico e abbastanza melodico ma forse ancora un po’ acerbo, ulteriormente frenato da suoni ancora non all’altezza della situazione. Una performance comunque discreta, utile per rompere il ghiaccio e dare il benvenuto ad un pubblico già discretamente numeroso.

Rapido cambio di palco e sul main stage tocca ai bolognesi Prospective prendersi la scena con il loro mix tra djent e metalcore davvero valido nonostante le clean vocals in alcuni frangenti non convincano a pieno. La botta sonora è comunque potente e il pubblico dimostra di gradire con vistose scapocciate sotto al palco.

Si rimane in Emilia con gli Slug Gore, un quartetto grind che arriva al festival fresco della pubblicazione dell’EP ‘Extraterrestrial Gastropod Mollusc’  “pettinando” i presenti con tutti i clichè del genere, tra brani fulminanti, blast beat, scream e una sana dose di violenza che pregna la mezz’ora a disposizione della band. E la temperatura inizia a salire…

Torniamo sul palco principale ancora in apnea per l’esibizione degli Slug Gore, che troviamo ad attenderci i milanesi Benthos, per chi scrive una delle vere rivelazioni di giornata. La band, forte di un solo album all’attivo, ‘II’ del 2021, sfodera subito una classe eccelsa, figlia di una notevole preparazione dei musicisti coinvolti e di un gusto fuori dal comune, che porta i “nostri” a far sposare con grande naturalezza un prog metal dalle tinte moderne con un post rock decadente, in un susseguirsi di sfumature sonore e emozionali di grandissimo impatto. I Benthos nel tempo a loro disposizione destabilizzano, spiazzano, tra cambi di ritmo e di cantato, in un crescendo umorale decisamente originale. E i brani inediti proposti lasciano intravedere grandi cose per i prossimi passi discografici della band.

Si cambia decisamente registro con i Damned Spring Frangantia, che sul palco del festival portano il loro personale tributo all’album ‘Divergences’ lavoro che compie dieci anni ma, soprattutto, che ha proposto la band parmense come riferimento nella scena djent italiana. La band propone per intero il suo masterpiece, in un vortice di feroce potenza che finisce per stordire i presenti, presi a pugni da questo metalcore iper elaborato che tanto deve ai padrini Meshuggah, compatto come un carrarmato, diretto, rabbioso e pregno di attitudine. Se un gran disco doveva essere oggi celebrato, un modo migliore non ci poteva essere.

Inizia a parlare straniero il Dissonance con i transalpini Ten56, già attesi lo scorso anno nell’edizione padovana del festival ma cancellati all’ultimo a causa del diluvio scatenatosi sulla città. Un vero peccato, perchè la band che ci si para oggi davanti è una delle più interessanti attualmente in circolazione sul suolo europeo, una conferma anche on stage dopo le ottime cose fatte vedere con i due lavori sin qui pubblicati, ‘Downer’ del 2022 e il recente ‘Downer part II’. I francesi annoverano tra le proprie fila musicisti di ottimo spessore come il cantante Aaron Matts già al lavoro con i Betraying the Martyrs e elementi di Novelists, Kadinja e Uneven Structure, e questa esperienza emerge limpida quando i nostri azzannano il palco con il loro deathcore venato di nu metal, estremamente coinvolgente con le sue venature rap e industrial che mai arrivano a sembrare fuori posto anzi, spingono il sound ancora più in alto scatenando l’inferno sotto al palco. Dal vivo, poi, i cinque francesi sfoderano un carisma incredibile, diventando sin dalle prime battute autentici padroni della scena nonchè uno degli highlight di giornata.

Torna a parlare italiano il festival con i Fulci, tra i massimi esponenti del brutal tricolore. Dopo il tornado scatenato poco prima dai Ten56 non era semplice riconquistare la scena, ma Fiore e soci arrivano a sfoderare tutta la loro sete di sangue arrivando alla fine a portare a casa la pagnotta, grazie anche ad un batterista in carne ed ossa e all’aggiunta di una chitarra utili per dare ancora più impatto ad un sound già di per sè lacerante. Forse la luce del sole ha tolto un po’ di atmosfera ad una band che ha fatto della tradizione horror e delle atmosfere macabre il suo vessillo, ma nel complesso  il combo campano ha sfoderato una performance più che convincente, fatta di riff devastanti a sorreggere il growl di Fiore per un’ondata di brutalità di rara intensità. Se oggi si parla dei Fulci come una delle realtà più credibili nella scena brutal death italiana, dopo questo show abbiamo capito il perchè.

Torniamo sul main stage dove i Destrage si apprestano a inaugurare la seconda parte del festival. La band oggi gioca in casa e, nonostante la mancanza di Gabriel Pignata al basso si faccia sentire soprattutto da un punto di vista scenico, riesce ancora una volta a dare vita ad un concerto dall’elevato grado di adrenalina. I Destrage arrivano sul palco del Dissonance forti di un album, ‘So Much. Too Much’ davvero notevole e in grado di raccogliere recensioni lusinghiere un po’ ovunque, ma per l’occasione decidono di trascinare l’ascoltatore in un viaggio attraverso la loro storia discografica, non a caso i momenti più coinvolgenti vengono raggiunti con ‘Purania’ da ‘Are You Kidding Me? No’, ‘The Chosen One’ dall’omonimo album del 2019 e ‘Symphony Of The Ego’ da ‘A Means To No End’ del 2016. Ovviamente la parte del leone la recita il nuovo venuto, e possiamo affermare che pezzi come ‘Italian Boi’ e ‘Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It’ anche dal vivo fanno la loro porca figura. Ormai i Destrage sono una garanzia, il loro crossover riesce ad arrivare diretto all’ascoltatore e ogni concerto, alla fine, si tramuta in una autentica esperienza da vivere in apnea.

Con i Soen si vive forse una delle poche note dolenti del festival, non a causa, però, del gruppo svedese. Un ritardo dei voli costringe la band ad arrivare solamente all’ultimo al Magnolia saltando così il soundcheck e riducendo il set a 40 minuti scarsi, 40 minuti nei quali i suoni non sono stati impeccabili andando così a minare l’esibizione di Joel Ekelöf e soci. Peccato, perchè il loro progressive metal è di quelli da lasciare a bocca aperta, con la suadente voce di Ekelöf ad adagiarsi sulle raffinate chitarre dell’ex Opeth Martin Lopez, sino a rendere brani come ‘Savia’, ‘Martyrs’ ma soprattutto la clamorosa ‘Lotus’ dei piccoli capolavori dall’eccelsa eleganza. Molto apprezzata anche la dinamica ‘Antagonist’ ben accolta da un pubblico decisamente partecipe anche grazie al suo facile appeal. Dopo soli sei brani suonati il gruppo lascia il palco tra lo sgomento dei presenti, che avrebbero certamente voluto qualcosa di più da questo straordinario super gruppo.

A spezzare via la delusione ci pensa un altro gruppo altrettanto straordinario, i Meshuggah, anch’essi penalizzati dal traffico aereo internazionale tanto da dover limare il proprio show a un’ora scarsa ma capaci di riversare tutta la rabbia e la frustrazione che queste situazioni comportano nella loro musica, con il risultato che l’ora servita al pubblico del Magnolia si rivela di un’intensità senza eguali. Un’intro noise introduce l’ascoltatore in un vortice sonoro deviato, che si dilata quando deflagrano le note di ‘Broken Cog’, finalmente valorizzata da suoni al limite della perfezione, una litania ipnotica e cadenzata che avvolge lo spettatore e lo risucchia in quel caleidoscopio di suoni, luci e sensazioni che è il concerto del quintetto di Umeå. Nella successiva ‘Rational Gaze’ gli occhi sono tutti puntati sul tentacolare Tomas Haake, realmente mostruoso dietro le pelli, quindi giù a rotta di collo con le varie ‘Ligature Marks’, ‘Born in Dissonance’, ‘Mind’s Mirrors’, ‘In Death – Is Life’, ‘In Death – Is Death’, un incastro perfetto di note e pause, silenzi e deflagrazioni, una centrifuga sonora che finisce per tritare l’ascoltatore dopo averlo privato di ogni punto di riferimento. Se ‘Demiurge’ annichilisce, il colpo di grazia lo da ‘Future Breed Machine’ da ‘Destroy, Erase, Improve’, un’altra era, stilisticamente forse un’altra band, ma comunque avanti anni luce rispetto al resto del mondo, e i presenti lo sanno, lo avvertono, lo esaltano. E quando le luci si accendono la delusione per la scarsa durata del set viene mitigata dalla convinzione di aver assistito, per lunghi tratti, a qualcosa di realmente sovrannaturale.

Foto by Piero Paravidino

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