Tankard – Track-by-track di ‘One Foot In The Grave’

Il 10/04/2017, di .

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Tankard – Track-by-track di ‘One Foot In The Grave’

Il 2 giugno 2017 uscirà il nuovo disco dei Tankard intitolato ‘One Foot In The Grave’. Metal Hammer è lieto di presentarvi il track-by-track in anteprima di quest’ultima fatica discografica del gruppo tedesco.

‘Pray to Pay’
È il brano che ci introduce a questa nuova fatica targata Tankard. Diretto, graffiante, spiazzante: queste sono le sensazioni che scaturiscono al primo ascolto, rispetto al passato la produzione si fa più piena e ben definita senza lasciare nulla al caso, ogni,strumento è ben bilanciato. Il classico thrash metal della band teutonica non brilla certo per originalità, gli stilemi classici del genere ci sono tutti ma lo fanno con una naturalezza che diverte, è un invito a un sano e furioso headbanging. L’intro marziale fa da contraltare a un thrash metal riff che non sfigura dinanzi ai grandi classici, è un piacere sentirsi travolgere da un autentico treno in corsa. Nella ricerca sonora così come nella,sua aggressività ‘Pray to Pay’ ricorda gli ultimi Kreator di ‘Gods Of Violence’, una bella sorpresa!

‘Arena Of The True Lies’
Qui i ritmi si fanno meno serrati, ‘Arena Of The True Lies’ è una canzone che riesce a bilanciare il loro classico trademark con un flavour che a tratti ricorda i Motorhead di ‘Ace of Spades’. I Tankard non sono più dei giovinetti ma questo brano ha quell’aria sbarazzina, quasi adolescenziale alla quale non si può non voler bene, la melodia del coro è quasi ossessiva e claustrofobica, a volte si vorrebbe mandare avanti con il tasto forward per gustarsi il tellurico verso/pre-chorus ma non si ha la forza necessaria… quasi come se la nostra attenzione ne fosse allo stesso tempo ammaliata e soggiogata. Menzione particolare per l’interessante e d’effetto solo del chitarrista Andy Gutjahr nella parte centrale, mai scontato e banale su una ritmica che improvvisamente cala l’intensità prima di riesplodere nel tellurico finale. Vi troverete a canticchiarla nella vostra testa quando meno ve lo aspetterete.

‘Don’t Bullshit Us’
Un altro scontro frontale in pieno stilo Tankard! Le ritmiche si fanno sempre serrate e taglienti, la voce roca e graffiante di Andreas ‘Gerre’ Geremia caratterizza ancora di più un brano epico e magnetico, i soli di Andy Gutjahr non verranno ricordati per l’estrema tecnica ma certamente nella loro semplicità e linearità, in quanto donano pienezza e colore a quattro minuti di follia. L’heavy riff che è alla base del pezzo è qualcosa che certamente avremo tutti sentito centinaia di volte, ma la sua potenza è un macigno che ben volentieri ‘sopportiamo’, gioiosi e gaudenti nel sentirsi investiti da tale violenza sonora. Uno degli assoluti highlight del disco!

‘One Foot In The Grave’
E immancabile arriva il momento della title-track, una canzone con un forte sapore NWOBHM grazie al suo epico intro che sfocia in un riff che ricorda molto da vicino i migliori Judas Priest. È un bel momento di disorientamento prima che il brano sfoci in quella furia sonora che ha già reso celebri i Tankard. Ricco di melodia, stop and go e un delizioso, ispirato e dosato assolo di chitarra. Il fragore del bridge e il refrain che vi si stamperà all’istante nella memoria è qualcosa di inaspettato senza dover scomodare termini come ‘commerciale’…non è certo il caso dei Tankard!

‘Syrian Nightmare’
Già dal titolo il quintetto teutonico non si presenta con le migliori intenzioni, infatti la voce di Andreas ‘Gerre’ Geremia grida tutta la rabbia e la frustrazione di una popolazione lacerata da anni di guerra; si sente l’impotenza nel grido ‘Syrian Nightmare, why should I pray?’. Musicalmente una ritmica serrata s’incastona su un tessuto chitarristico che come nella precedente title-track prende spunto da un metal semplice e a tratti maideniano ma di sicuro impatto. Non si tratta di uno dei migliori episodi del lotto, dopo i primi quattro brani troviamo un piccolo momento di flessione ma è abbastanza, per così dire, fisiologico.

‘Northern Crown (Lament Of The Undead King) ‘
Inizio sabbathiano e pachidermico quello di ‘Northern Crown’, il primo verso è un killer riff che però perde efficacia a causa di questo inizio un po’ stentato, è dal secondo verso poco prima dei due minuti del brano che questo riff viene accompagnato da un bridge di chitarra che ne amplifica la portata. Una thrash-song al cui interno troviamo un epico chorus che riporta l’ascoltatore a immaginarsi realmente all’interno di una stanza medievale vicino alla tavola rotonda di Re Artù. Un buon brano ‘sporcato’ da un inizio un po’ stentato e farraginoso che non inficia sul risultato finale.

‘Lock ‘Em Up! ‘
L’inizio è sfumato ma quando parte ‘Lock’Em Up!’ è una furia incontrollata guidata dalla voce di Andreas Geremia prima che, più o meno intorno al minuto, non deflagri completamente grazie alla sua attitudine quasi punk: un riff chirurgico, furioso, tremendista. I Tankard, anche su questo pezzo, giocano molto su una doppia cassa schiacciasassi e una chitarra ritmica di chiara derivazione punk che non fa prigionieri, peccato per le parti soliste del buon Gutjahr che risultano essere un po’ scolastiche ma sappiamo che il quartetto teutonico non ha mai fatto della tecnica il loro fiore all’occhiello. Siamo curiosi di poterlo testare live, sarà un brano che probabilmente scatenerà sotto il palco ‘danze scatenate’, headbanging e stage diving.

‘The Evil That Men Display’
La furia targata Tankard non si placa, i poco più di tre minuti di durata di ‘The Evil That Men Display’ è un altro pezzo che riporta alla mente il buon Lemmy ed i suoi Motorhead, l’introduzione del ritornello da parte di Andreas Geremia è alquanto sarcastica e stralunata prima di farci prendere per mano dal drumming di Olaf Zissel e dal basso di Frank Thorwarth, un autentico muro di suono che caratterizza questo brano così come tutto il disco nella sua interezza. Anche qui, nessuno sconto, la tensione e i ritmi si mantengono sempre alti e sostenuti senza un attimo di tregua. Il riff di chitarra è alquanto semplice quanto d’impatto, qui la parte solista è ridotta al minimo indispensabile e forse proprio per questo suo minimalismo è apprezzabile e diretta dando maggiore profondità e lucentezza al risultato finale. ‘The Evil That Men Display’ è un brano minimale ma proprio per questo pieno di fascino, ben riuscito nella sua costruzione e sviluppo, uno dei migliori brani dell’album.

‘Secret Order 1516’
Per il suo intro così per l’outro orchestral classicheggiante ‘Secret Order 1516’ ha qualcosa al tempo stesso di romantico e mistico che ha modo di svilupparsi in oltre sette minuti di durata. E forse questo si trasforma nel suo limite, le idee ci sono ma purtroppo vengono diluite e ripetute troppo per poterne far risaltare pienamente le proprie caratteristiche salienti. Probabilmente concentrare il tutto in quattro/cinque minuti avrebbe giovato al risultato finale. Un plauso per la costruzione dell’epico coro che viene eseguito con la solita ironia, arma letale del combo tedesco. Un plauso al soloing di Andreas Gutjahr che riesce a donare, sempre con estrema semplicità ma efficacia, un tocco di melodia in un contesto dove a farla da padrone è invece la furia di un possente drumming.

‘Sole Grinder’
A ‘Sole Grinder’ spetta il compito di chiudere le danze, quasi come se si chiudesse un cerchio questo brano ricalca gli stilemi stilistici dell’opener ‘Pray To Pay’: una stilettata in pieno volto, un thrash metal a tutto tondo dove tutti gli ingredienti del genere sono sapientemente dosati. Riffing assassino e tagliente che riporta alla mente i migliori Metallica di ‘Master Of Puppets’, la giusta dose di ‘melodia vocale’ cantata da un ispirato Andreas ‘Gerre’ Geremia. Poco più di tre minuti, un concentrato che si chiude improvvisamente per una ghost-track che si rivela tale dopo più di un minuto, scaduto il quale ci si imbatte in un classico coro da stadio che dimostra il loro lato ironico e sarcastico ma che non aggiunge niente a uno dei migliori brani dell’intero album.

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