Infection Code – Il Culto del Dio senza faccia
Il 13/07/2025, di Alessandro Ebuli.
È stato recentemente pubblicato il nuovo album dei piemontesi Infection Code e Metal Hammer incontra Gabriele Oltracqua, il vocalist del gruppo. Si parla di culto religioso, come suggerisce il titolo del nuovo nato, ma non soltanto. La religione non è il fulcro centrale dell’album, se pure il titolo lo suggerisca. Sono molti i temi trattati in questa piacevole chiacchierata con Gabriele, dalla composizione dei testi alle influenze che portano alla struttura dei brani, al ritorno a casa in Nadir Music e molto altro. Lasciamo la parola a Gabriele e addentriamoci nei segreti di ‘Culto’.
Ciao Gabriele, benvenuto a Metal Hammer.
“Ciao Alessandro, è un piacere risentirti”.
‘Culto’ (trovate QUI la recensione) esce a distanza di due anni da Sulphur, uscito a sua volta un anno dopo Alea Iacta Est. Dal punto di vista compositivo quali sono le differenze tra il nuovo album e i precedenti?
“Con Culto ci siamo inaspriti nel sound, ci siamo incattiviti cercando di lasciare da parte le strutture più sperimentali Industrial, che già in Sulphur venivano meno rispetto ad ‘Alea Iacta Est’ e con ‘Culto’ abbiamo deciso di metterle da parte per comporre un disco che potesse seguire una certa direzione artistica che poi è quella di scrivere delle canzoni proiettate più verso il Thrash e il Death. È nato tutto molto spontaneamente ed è stato il disco del nostro ex chitarrista che ha fatto un lavoro molto bello e che noi come band abbiamo appoggiato con entusiasmo. Ha scritto delle splendide canzoni, Richi, il nostro batterista, si è occupato della stesura, della struttura dei brani e degli arrangiamenti insieme ad Andrea, poi hanno lavorato insieme a Chris sulle canzoni. È un disco che reputiamo aggressivo e violento, molto spinto che si avventura in queste sonorità prettamente unidirezionale e monotematiche, strettamente legate, come dicevo, al Thrash e al Death”.
Parliamo della parte musicale di ‘Culto’. Rispetto ai suoi predecessori ho riscontrato un’evoluzione del suono; in alcuni brani avverto un maggiore tecnicismo soprattutto nel suono della chitarra, mentre in altri brani come ‘Curses Breed’ e ‘Oblivion Of A Dead Brain’, certe distorsioni mi hanno ricordato le soluzioni adottate nelle produzioni di fine anni novanta, come accadde nel controverso disco degli Slayer ‘Diabulus in musica’, che anticipò l’avvento del Nu Metal, ad esempio, e in particolare di band come i GF93 e in brani come ‘The Final Act’ mi hanno ricordato gli Amon Amarth. Di certo il vostro inziale Industrial/Thrash si è decisamente aperto a soluzioni differenti rispetto al passato.
“Hai colto l’attinenza, se pure non siano stati riferimenti voluti, ma al chitarrista piacciono molto gli Amon Amarth e questo probabilmente nei brani si sente. Gli abbiamo detto più volte che il suo stile rimanda a cose epiche e lui sosteneva non fosse vero, ma alla fine è un dato di fatto, come già accaduto in Sulphur”.
Forse la chitarra in ‘Culto’ ha avuto maggiore libertà di espressione?
“Non si tratta di una maggiore libertà, nessuno di noi a mai messo il veto sulla composizione dei brani, probabilmente in quel periodo ascoltava più cose epiche che in qualche modo si sono riversate, se pure inconsapevolmente, all’interno dei nuovi brani”.
‘Alea Iacta Est’ (Il dado è tratto) era figlio della pandemia e di fatto ha segnato un inizio nel nuovo corso della band, mentre ‘Sulphur’, lo zolfo, che è l’elemento fondamentale dei metalli, rappresentava la creazione, la metafora di qualcosa che rinasce; il titolo ‘Culto’ invece rimanda direttamente alla religione. Puoi raccontare il perché di questa scelta?
“Sì, ‘Alea Iacta Est’ era figlio della pandemia ma anche di problematiche personali e familiari, e venendo fuori da un periodo oscuro nel disco si sente molto. ‘Culto’ richiama la religione ma non in senso stretto. Ho voluto usare questo titolo per fare un parallelismo, per richiamare altri significati. Mi sono chiesto, il ‘Culto’ cos’è? Un dogma? La volontà di una persona di seguire qualcosa di estremamente personale? Per gli Infection Code, una band piccola che gravita nell’ambito underground da moltissimi anni, è credere in quello che si fa nonostante le mille difficoltà che ci sono quotidianamente nel tenere in piedi una band con tanti oneri e pochi onori. Volevo fare questo collegamento, oltre al fatto che la maggior parte dei testi di ‘Culto’ fa riferimento a dei racconti di Lovecraft, poi la croce è il simbolo della religione più sanguinaria che sia mai esistita, quindi tutti questi elementi hanno portato alla decisione finale e alla scelta di un titolo che potesse rappresentare tutte le risposte alle domande che mi sono posto”.

Per quanto riguarda la parte testuale so che tu fai spesso riferimenti a temi quali l’occultismo e l’esoterismo, e la tua predilezione per la ricerca di tematiche mai banali è ammirevole. ‘Cursed Breed’, correggimi se sbaglio, è ispirato a “La maschera di Innsmouth” di Lovecraft, uno dei tuoi autori preferiti. Di cosa trattano i temi di ‘Culto’?
“La maggior parte dei temi di ‘Culto’ parla di tematiche che ho preso dai racconti di Lovecraft, ho trovato ispirazione da quei racconti per scrivere dei testi che fossero legati ai temi del culto come ti dicevo prima. ‘Cursed Breed’ parla della maschera di Innsmouth, ‘Plague Daemon’ parla di Rianimator. In ‘Great Old Ones Company’ ad esempio immaginavo i quattro grandi del Ciclo di Cthulhu che sono Cthulhu, Nyarlathotep, Azathoth e Yog-Sothoth, i quattro grandi antichi e più conosciuti, oltre quelli che hanno più potere all’interno del Pantheon che ha creato Lovecraft. Mi è venuta in mente questa storia e mi sono detto se questi grandi antichi si ritrovassero inseme come una vecchia compagnia e decidono con le loro malefatte di prendere in giro l’umanità con guerre, pestilenze, omicidi, terremoti, apocalissi, e fossero loro a causare tutta una serie di disgrazie e i nostri mali di vivere, come se usassero la terra, il nostro mondo, come un grande gioco da tavolo. Ho immaginato un testo che uscisse dagli schemi canonici e in qualche modo fosse anche divertente, una sorta di allegoria, ma che riflettesse tutto il male del mondo. Veleno ha un testo che prende spunto dal romanzo breve “Il terrore” di Arthur Macken, l’autore che ha maggiormente ispirato Lovecraft. Io nono uno scrittore ma scrivo in funzione dei testi che devo comporre per il nuovo album, a volte scrivo cose nuove mentre altre volte vado a riprendere vecchie cose che ho scritto e non ho utilizzato, le rielaboro e compongo nuovi testi. Ultimamente sto rileggendo Evangelisti e Barker, chissà che non siano questi fonte di sviluppo per i testi del prossimo disco. Non è sempre facile scrivere un testo che risulti interessante, probabilmente leggere molto è un escamotage per tenere viva la vena creativa e mi chiedo sempre cosa possa ispirarmi per scrivere cose nuove”.
Da alcuni anni a questa parte siete molto prolifici, inseriamo anche IN.RI del 2019. Ma se prendiamo in esame gli ultimi tre dischi possiamo considerare Culto come il terzo capitolo di una ideale trilogia?
“Non so dirti con sicurezza se si tratti di una trilogia o addirittura, con il prossimo disco, possa diventare una tetralogia. Anche un’altra persona mi ha fatto notare questo aspetto, ma non abbiamo scritto gli album per suddividerli in una trilogia, anche perché abbiamo cambiato tre chitarristi e due bassisti, quindi mi viene difficile vederla in quest’ottica, ma poi per chi ci ascolta invece ciò che emerge è proprio il contrario di quello che pensiamo, ovvero che possa apparire come un trilogia”.
Io ho avvertito una diretta soluzione di continuità nei tre dischi, anche alla luce dei titoli e dei testi delle canzoni.
“Sul discorso musicale può essere presente sicuramente una continuità, ma a livello testuale, e parlo anche per il prossimo disco, potrebbero esserci testi che parlano di cose differenti con riferimenti ad autori diversi da Lovecraft, e forse un omaggio al mio autore preferito potrei farlo”.
Quindi in futuro, quando avremo un nuovo album, avremo la possibilità di ascoltare i quattro album e scoprire se ci saranno affinità o elementi che potranno svelarci se sarà una tetralogia oppure no, anche alla luce di quello che dicevi tu prima, che potrebbe essere una cosa non voluta, casuale.
“Esatto, vedremo il futuro cosa ci riserverà”.
Qual è a tuo giudizio la canzone più rappresentativa di Culto?
“Per me è ‘Great Old Ones Company’, sia a livello testuale che musicale. Mi piace molto anche ‘Veleno’ e ‘Faceless God’, che ha un testo senza nessun riferimento a romanzo o racconto ma una mia personale considerazione sulla religione in generale. Nello specifico mi chiedo, e mi rivolgo ai credenti: il vostro Dio è senza faccia e si nasconde da tutte le nefandezze del mondo? Una domanda che mi pongo e alla quale non mi do risposta, si tratta di una semplice considerazione.
Quello che emerge fin dal primo ascolto di ‘Culto’ è l’impatto sonoro. Più immediato eppure più brutale, anche nelle tue parti vocali portate all’estremo. Penso a ‘Oblivion’s Dead Breed’ in cui il tuo cantato è estremamente sofferto in antitesi alla parte musicale.
“Io non sento la mia parte vocale così spinta su ‘Oblivion Of A Dead Brain’, ci siamo detti, facciamo una parte più acustica e io ho voluto inserire una parte più lenta ma sofferta, usando il virgolettato sulla linea dei Neurosis e dei progetti acustici di Scott Kelly, se pure devo dire che il nostro chitarrista non conoscesse i Neurosis quindi è sicuramente un riferimento non voluto almeno da parte sua. Inizialmente Tommy Talamanca dei Nadir studios ci aveva proposto di utilizzare il bouzouki, uno strumento acustico a corde, poi si è deciso per la chitarra classica ma posso affermare con sicurezza che la sperimentazione degli Infection Code è stata convogliata tutta su questo pezzo e mi auguro che il risultato sia soddisfacente anche per chi ascolta e non soltanto per noi che lo abbiamo composto e suonato”.
Hai citato i Nadir studios e ti chiedo di ‘Nail In The Wall’ che è stato scelto come primo singolo e vede la collaborazione di Trevor dei Sadist.
“Trevor è un mio carissimo amico da quando avevamo diciotto anni, abbiamo registrato il nostro primo disco da Tommy nel 1999, quindi c’è una grandissima stima da parte nostra per il suo approccio al lavoro, per il musicista e per la persona. È un professionista, e se dopo i primi quattro album registrati con lui abbiamo provato altre strade, poi come vedi siamo tornati da lui perché ci fidiamo di lui e della sua serietà. Siamo tornati a casa”.
Parliamo della copertina, diretta ed evocativa, che è un’opera dello STRX Studio.
“Si tratta di un’opera di Simone Strigi che è lo STRX studio. Collaboriamo con lui da In.Ri. e io ritengo che sia veramente un maestro, un artista molto bravo e dotato che riesce a carpire il significato dei miei testi e a trasporli in un’immagine esattamente come l’avevo immaginata. Pensa che per questa copertina mi sono imposto, non perché io sia un dittatore, tutt’altro, negli Infection Code regna la democrazia, ma credevo fermamente nell’impatto e nella forza di questa cover e ho fatto di tutto affinché venisse scelta e alla fine gli altri si sono ricreduti e oggettivamente hanno ammesso che fosse la cover giusta per il nostro album”.
Cosa dobbiamo aspettarci dagli Infection Code per il prossimo futuro?
“Stiamo continuando con delle date, a luglio saremo a Firenze, e stiamo iniziando a considerare il fatto che da fine anno avremo un nuovo chitarrista, continueremo a fare un po’ di date in giro per promuovere ‘Culto’ e nel frattempo stiamo iniziando a buttare giù qualche idea per il nuovo disco, perché non abbiamo alcuna intenzione di fermarci”.
Vuoi aggiungere qualcosa alla nostra chiacchierata?
“Io ringrazio Metal Hammer per il supporto che date agli Infection Code e a tutto il metal in generale, in particolare alle band come la nostra, con tutte le difficoltà nel portare avanti un progetto artistico che soltanto grazie alla passione e al supporto degli appassionati può continuare”.