Alice Cooper – He’s back (the man behind the mask)

Il 08/01/2003, di .

Alice Cooper – He’s back (the man behind the mask)

Nell’ultima chiacchierata con il re indiscusso dello shock rock, ormai tre anni or sono, avevamo avuto modo di compiere un autentico viaggio negli incubi più brutali e maledettamente concreti della società moderna. Oggi, al termine di un estenuante tour che ha portato Alice Cooper a riscuotere ancora una volta successi sui principali palchi statunitensi ed europei, Mr. Fournier ci introduce prendendoci per mano nell’universo di un “personaggio” che da oltre trent’anni turba i sogni di milioni di ragazzi in tutto il mondo…

Che persona fantastica! Parli un quarto d’ora con Alice Cooper e comprendi tante cose di ciò che stai facendo e del mondo in cui vivi. Scambi quattro parole con Alice Cooper e capisci che, in fondo in fondo, tanti sacrifici, tanti sbattimenti, tante corse all’ultimo secondo per consegnare il pezzo “in battuta” prima che il giornale vada in stampa possono essere benissimo ripagati da un’esperienza simile. Capisci perché Alice Cooper è “lo zio” per eccellenza, perché per trent’anni ha shockato, fatto sognare, spaventato, emozionato generazioni intere di ragazzi e, nonostante tutto, il suo fascino sia rimasto immutato. Alice, anzi, Vincent, come ci tiene a presentarsi, è un personaggio affascinante, unico, inimitabile; una di quelle persone che iniziano a parlare e tu lì, tra l’inebetito ed il sognante, a sentire racconti di incontri con personaggi che già al tempo trovavano posto sui tuoi libri di scuola, di esperienze shockanti di viaggi all’inferno e ritorno sciorinati in tutta tranquillità da una persona maledettamente semplice, lontana anni luce da quel demonio che di lì a poco decapiterà una “novella Britney Spears” sul palco; che non ha paura di aprire se stesso e i suoi sentimenti ad uno scribacchino che, anagraficamente, potrebbe essere suo figlio. Un’esperienza da vivere intensamente, insomma, l’intervista con Alice Cooper, arricchente, senza dubbio; certamente mai banale o scontata. Se la prima volta che ci eravamo trovati faccia a faccia con lui in un albergo milanese (‘Brutal Planet’ era di fresca pubblicazione) mr. Fournier ci aveva fatto compiere un autentico viaggio negli incubi più tremendi ed attuali della società moderna oggi, contattato telefonicamente nell’immediata vigilia di uno show teutonico, abbiamo modo di addentrarci a fondo nel personaggio “Alice Cooper” tra aneddoti, sagge riflessioni e considerazioni letteralmente… paterne. Allacciate le cinture, Vincent Fournier è oggi a vostra totale disposizione!
Alice, siamo agli sgoccioli del tour che ti ha visto infiammare le arene americane, prima, ed ora europee. Come è stato accolto dai fan questo tuo nuovo grand guignol?
“Ormai ho sessanta show alle spalle, me ne rimangono solo più tre in Europa e poi mi voglio godere il meritato riposo. Posso dire di essere realmente soddisfatto di come sono andate le cose, al di là di ogni più rosea aspettativa. Show eccitanti, altamente teatrali… abbiamo cercato di riassumere in un unico spettacolo tutto quanto è stato fatto nel tour precedenti ed il risultato è stato qualcosa di non paragonabile al passato, assolutamente unico!”.
Come riesci, dopo oltre trent’anni di carriera, a trovare le giuste motivazioni e idee fresche e nuove per scrivere ancora dischi e per portare in scena ogni sera show carichi di effetti e di adrenalina come vent’anni fa’? Non ti sei mai sentito appagato da quanto ottenuto sino a qui?
“Non mi sono mai sentito una macchinetta costretta a scrivere a ripetizione su imposizione di chi mi sta vicino, non ho mai vissuto il tour o la registrazione del disco come una cosa statica, gelida, come una semplice routine. Quando nella mia carriera mi sono trovato a fare qualcosa, l’ho sempre fatto sull’onda di emozioni forti, di pensieri solidi, coinvolgendomi al 100% in quanto stavo facendo. Prendi album come ‘Brutal Planet’ o ‘Dragontown’: la storia alla loro base è qualcosa di molto concreto, qualcosa radicato nella realtà che mi circonda. Al contrario di quanto accade di solito, nella mia testa nasce prima la storia e solo in un secondo tempo la musica. In questo modo non corro il rischio di incappare in una sorta di “assuefazione da songwriting”, non rischio di perdere le motivazioni, perché mi trovo a scrivere solo cose che realmente mi coinvolgono e che ‘voglio’ scrivere. Ecco perché è facile trovare ancora le giuste motivazioni dopo trentacinque anni di carriera; perché quello che faccio è sincero”.
Ti incontrai proprio al tempo di ‘Brutal Planet’ e mi dicesti che quell’album era stato concepito dopo aver sentito alla televisione dei massacri tribali in Ruanda. In quel caso mi parlasti di una fine del mondo imminente e di una società ormai alla deriva soverchiata dalla violenza. Una convinzione che penso sia uscita rafforzata dopo i fatti newyorkesi e tutto quello che ne è conseguito…
“Mi spiace dirlo, ma anche in questo caso posso affermare che ‘Brutal Planet’ è stato un album profetico. Ho scritto quel disco molto prima dell’11 settembre, ma se ne leggi attentamente le liriche potrai trovare molti riferimenti a quella tragedia… ero convinto che ciò che cantavo prima o poi si sarebbe avverato, perché è quanto sempre successo nel corso della mia carriera, però onestamente speravo che non si avverasse così presto! ‘Dragontown’ è un disco ancora differente, perché è la seconda parte della storia che sto narrando e parla di ciò che accade dopo la morte, l’ascesa al paradiso o la caduta all’inferno. E ‘Dragontown’ è il lato infernale del racconto”.
Ma com’è l’inferno secondo Alice Cooper?
“Well, dal vivo ho cercato di dipingere questo inferno perché ne fosse la fedele rappresentazione. Mi spiego meglio: capita spesso ad una persona di immaginarsi cosa ci sarà dopo la morte e di pensare all’inferno, e ogni persona avrà di questo un’idea differente. Per qualcuno sarà un luogo da incubo assolutamente da evitare, per altri sarà un mastodontico party… io francamente la penso diversamente. L’inferno è un luogo da rifuggere in tutti i modi possibili, ponderando le mie scelte e cercando di imboccare la strada giusta che mi porti il più lontano da esso. E’ difficile descriverti quello che è, per me, l’inferno. Credo che il modo migliore per comprenderlo sia venire al mio concerto e vederne la rappresentazione. Quello che prende vita sul palco è ciò che io ho in testa riguardo questo posto da incubo”.
Di per contro, come dipingeresti il tuo personale paradiso?
“Penso che in questo caso l’idea che ho del paradiso sia abbastanza tradizionale e legata a quelle che sono le mie credenze, la mia fede religiosa, quindi quella cristiana. Ho letto la ‘Bibbia’ e l’idea di ‘Paradiso come posto migliore in assoluto e Inferno come posto peggiore’ credo sia sicuramente valida. E mi piace vederlo come luogo accessibile a tutti, non come meta per pochi eletti. L’importante è sempre capire in vita quella che è la strada maestra, imboccarla e non perderla mai di vista”.
Una volta dichiarasti “I died 3 or 4 times on the road but everyone forgot to tell me”. Oggi, alla soglia dei cinquantacinque anni, cosa significa “essere vivo” per te?
“Che dire? Oggi sono molto felice di essere vivo, e sono ancora più felice di essere riuscito a tornare in vita dopo aver accarezzato la morte a causa dell’abuso di alcool. Essere vivo è per me come una sorta di benedizione: sarei potuto morire come Jimi Hendrix e Jim Morrison, ed invece ora sono ancora qui con la mia musica e questo è un dono molto importante, perché ora ho compreso il reale valore della vita ed ho imparato a rispettarla e ad amarla come non avevo fatto mai. Sono felice di questo, molto felice!”.
Hai citato Jim Morrison e Jimi Hendrix e so che nel corso della tua carriera hai avuto modo di conoscerli, così come hai avuto modo di incontrare altri grandi personaggi come Andy Warhol, Salvador Dali, John Lennon, Frank Sinatra… ma c’è un personaggio conosciuto nel corso della tua carriera, il cui incontro ti rende orgoglioso e pensi possa averti in qualche modo arricchito umanamente?
“E’ una domanda difficilissima, perché tutte le persone che mi hai citato mi hanno in qualche modo arricchito, ma ce ne sono tantissime altre il cui incontro mi riempie di orgoglio. Ho lavorato con Salvador Dali, ho collaborato per un breve periodo con Paul McCartney, ho incontrato Bob Dylan… sono tante persone e tante tappe fondamentali per la mia crescita artistica ed umana. In un certo senso ho conosciuto i migliori, gente inarrivabile, unica, inimitabile. Non esiste oggi un pittore come Salvador Dali, come non esiste un ballerino migliore di Fred Astaire con il quale ho stretto amicizia anni fa e non esistono musicisti migliori di John Lennon e Paul McCartney… ho incontrato tutti i più grandi, Frank Sinatra, Andy Warhol… e mi sono reso conto che oggi non ci sono più artisti al loro livello. Erano qualcosa di unico. E ho anche incontrato il vero Alice Cooper e questa è stata un’esperienza shockante, irripetibile, perché questo è un personaggio che realmente non ha eguali! (e si lascia andare in una grassa risata, N.d.A)”
Abbiamo citato una serie di personaggi che hai avuto l’onore di incontrare negli anni passati… ma c’è un personaggio che vorresti ancora incontrare e, perché no, con il quale collaborare in un immediato futuro?
“Certo che c’è! Io adoro gli Who e mi piacerebbe tantissimo suonare con Pete Townshend. Sarebbe magnifico! E poi non mi dispiacerebbe tornare a lavorare ancora una volta con Rob Zombie, visto che la nostra precedente collaborazione è rimasta in un certo senso incompiuta. Ma posso anche dirti che vorrei scrivere canzoni assieme a Paul McCartney e lavorare fianco a fianco con Bob Dylan… ma chi non vorrebbe una cosa simile?”.
E collaborare con Marylin Manson? Non trovi sarebbe interessante vedere affiancati l’allievo ed il discepolo dello shock rock?
“Non conosco abbastanza Marylin per poter rispondere a questa domanda. Capisco però che sarebbero in tanti a volere questa collaborazione perché per molti Marylin Manson è il mio naturale erede, e comprendo anche le ragioni di questo accostamento. Solo una cosa non condivido: lui è satanista, io no! Io sono cristiano, credo in Dio, lui in Satana; siamo totalmente differenti!”.
Com’è oggi il rapporto tra Alice Cooper e Vincent Fournier?
“Oh, tra loro due c’è veramente un buon rapporto! E la ragione di questo sta nel fatto che finalmente sono riuscito a tracciare un profondo solco tra queste due persone e a dividerle definitivamente. Alice Cooper oggi vive per sole due ore a sera sul palco, fa il suo spettacolo e poi scompare. E rimango io, il suo alter ego, semplicemente io. Una persona normale, che gioca a golf, che ama trascorrere il tempo con i suoi figli e con sua moglie, che va a fare la spesa… faccio tutte quelle cose, insomma, che Alice Cooper farebbe mai e poi mai nella sua vita! Ho una vita tutta mia, totalmente mia, con la quale Alice non interferisce minimamente”.
Chi è, dunque, nel 2003 Alice Cooper?
“ Lui è solamente un personaggio recitato sul palco per un paio d’ore a sera. Un personaggio immaginario come Jack The Ripper, Sherlock Holmes, Zorro, Robin Hood… è il frutto dell’immaginazione di una persona, nulla di più”.
Prima hai accennato ai tuoi figli. Credi che la paternità abbia agevolato la separazione radicale tra Alice e Vincent?
“Diventare padre è stata la cosa che più mi ha aiutato in questo frangente. Oggi, ancora prima di essere una rockstar, il mio obiettivo è quello di essere un buon padre. Porto i miei figli in chiesa, faccio studiare loro la ‘Bibbia’ e, allo stesso tempo, cerco di avvicinarli al rock’n’roll… voglio essere un padre in grado di infondere loro sani principi cristiani ma, allo stesso tempo, voglio mantenermi largo di vedute. Mi piacerebbe essere, per i miei figli, il padre ideale. Tutto quello che oggi faccio, lo faccio per loro, cercando di non fargli mai mancare la serenità. Oggi essere un buon padre e un buon marito è un aspetto fondamentale della mia esistenza”.
E ai tuoi figli presenterai un giorno Alice Cooper?
“Ma loro lo conoscono già, e hanno imparato a prenderlo per quello che realmente è: un personaggio della fantasia. Lo sanno capire, lo sanno apprezzare e, cosa importante, non lo condannano. Vedi, ho fatto crescere i miei figli con solidi principi cristiani, ma non ho voluto che le loro menti venissero oscurate da preconcetti o pregiudizi che oggi qualcuno tenta di inculcare nella testa della gente. Ho impartito loro insegnamenti cristiani, ed essere cristiano per me significa saper vivere la propria vita e valorizzarla rispettando sempre chi ci circonda. Imposizioni forzate o idee distorte oggi comuni ad alcune forme di religione non rientrano nella mia concezione di fede cristiana, ed è per questo che i miei figli possono crescere spiritualmente bene pur accettando Alice Cooper”.
Il 4 febbraio (come il sottoscritto, che onore!) compirai 55 anni. Se ti volti in dietro e guardi quanto fatto sino ad ora, quale pensi sia il tuo più grande rammarico?
“Ho molti rammarichi, ma se potessi tornare indietro nel tempo e cambiare qualcosa della mia esistenza, beh, sicuramente cercherei di tenere lontano Alice dalla bottiglia. Ci sono veramente molte cose fatte quando ero più giovane che, viste oggi, mi rattristano, ma questo perché oggi sono una persona differente e posso vedere le cose sotto un’altra ottica. Da uomo maturo solo adesso mi rendo conto di quante volte ho sfiorato la morte senza accorgermene, e questo pensiero mi fa rabbrividire”.
Non voglio fare l’avvocato del diavolo, però non credi che, senza l’alcool, il mito di Alice Cooper forse oggi non esisterebbe? Voglio dire, se hai scritto certe cose, se hai portato in scena certe situazioni, era anche perché queste prendevano vita nella bottiglia. Paradossalmente il tuo più grande rammarico è stato anche la tua più grande fortuna artistica…
“Questo è vero, così come è vero che essere stato alcolista mi ha aiutato a capire molte cose di me stesso, mi ha insegnato molto e, ad essere sincero, non voglio cancellare questa esperienza così come non voglio perdere quegli insegnamenti che essa mi ha dato. Quello che intendevo dire era che, se potessi scegliere, oggi non mi lascerei più schiavizzare dall’alcool, però dal momento che alcolista lo sono stato, mi tengo stretto quanto imparato da quella condizione, perché in questo modo sono riuscito a capire molto della vita e della mia persona”.

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