Alice Cooper – See me in the mirror

Il 08/09/2003, di .

Alice Cooper – See me in the mirror

‘The Eyes Of Alice Cooper’. Ovvero un suggestivo viaggio attraverso i drammi e le gioie, le beffe e gli incubi che da sempre hanno popolato la vita, l’arte e la musica di questo straordinario personaggio.

Quante cose hanno visto gli occhi di Alice Cooper nei 55 anni di vita del re dello shock rock. Hanno visto folle pronte a portare questo clown del cattivo gusto in trionfo e persone pronte a puntarci contro il fucile della censura; hanno visto la fama, la ricchezza, il successo dorato e hanno visto l’oblio e l’orrore di una morte più volte sfiorata; hanno visto il dramma dell’autodistruzione e la luminosità della rinascita. Hanno visto il sogno e hanno visto l’incubo. Hanno visto la fine e hanno visto l’inizio. E proprio a quegli occhi, spettatori di una immensa favola fortunatamente a lieto fine, il loro “padrone”, il caro vecchio “Zio Alice” ha voluto dedicare la sua nuova fatica discografica, un lavoro sorprendente sotto molti punti di vista, capace di dare un violento colpo di spugna sul recente trascorso modernista e di far rivivere i fasti dorati dello street rock settantiano, quello che, tra scandali e clamore, portò alla ribalta sulle note di ‘School’s Out’ e di ‘Billion Dollar Babies’ questo folle targato Detroit. Quel pazzo che, svestiti nuovamente i panni della sanguinaria Alice Cooper si presenta ancora una volta a noi nelle vesti naturali del “lord” Vincent Fournier, pronto a vivisezionare con noi la sua nuova creatura e a dispensarci quei racconti dei quali solo lui è formidabile narratore.
Ascoltando ‘The Eyes Of Alice Cooper’ mi sono tornati alla mente tuoi vecchi cavalli di battaglia come ‘Constrictor’ o ‘Raise Your Fist And Yell’. A te ora dirmi se c’è qualcosa di vero in questo mio ‘sentore’ o se sono divenuto totalmente pazzo…
“Interessante…sai qual è la cosa buffa? La cosa buffa è che, facendo interviste su interviste, ho sentito diversi pareri differenti e soprattutto paragoni tra questo disco ed i più svariati album di Alice Cooper. Personalmente posso dirti che l’intento originario era quello di andare a riesplorare la ‘follia primordiale’ rispolverando il fascino di lavori come ‘Killer’ o ‘Love It To Death’. Senza dubbio lo spirito di questo disco è molto ‘garage’, ha molto del primo Alice, mentre negli album da te citati era accentuata la componente heavy metal. Sono invece fortemente convinto che questo album risenta massicciamente dell’influenza di gruppi come White Stripes, The Strokes, The Vines…queste band hanno appreso alla perfezione l’insegnamento di Iggy, MC5 e di tutto il movimento di Detroit, e questo è decisamente positivo. Sono stufo di tutto il pop che sta passando per la radio negli ultimi tempi, ed una ventata di nuovo, vecchio rock ci voleva proprio”.
Viene quasi naturale chiederti il perché di un lavoro simile, classico, quasi ermetico, dopo due album violentemente proiettati verso il futuro…
“Una cosa che Alice non ha mai voluto fare nella sua carriera, è stato ripetere se stesso ogni volta, quindi dopo il tour di ‘Brutal Planet’ e ‘Dragontown’, ho realizzato che era molto importante cambiare questo sound e tornare alle mie radici, decisamente più familiari sia per Alice che per i suoi fans ”.
A questo punto vorrei sapere se nutri una sorta di rimpianto per la tua svolta modernista attuata con ‘Brutal Planet’ e ‘Dragontown’…
“Assolutamente no! Sono molto orgoglioso di aver composto questi due dischi e mi sono divertito moltissimo a scrivere quel tipo di canzoni. Dopo tutto ero sempre io, non mi sono snaturato affatto, solo quello era uno dei tanti volti di Alice. In quei due album ho dato corpo ad una enorme storia apocalittica, ho mostrato il volto più spirituale di Alice. In quei dischi parlavo del giorno del giudizio, di distruzione, di massacri…una gigantesca, storia tirata all’estremo. Ho fatto tesoro di una collaborazione con Bob Marlett (il produttore dei due dischi, N.d.F) per realizzare un concept che mettesse in musica incubi reali. Sono due lavori estremamente ancorati all’heavy metal, mentre quest’ultimo poggia su basi puramente street rock”.
Sound a parte, in ‘The Eyes Of Alice Cooper’ è palese un certo alleggerimento da un punto di vista tematico. L’apocalisse ha in qualche modo lasciato il campo all’ironia…
“E’ proprio così. Questa volta Alice ha voluto guardare il mondo attraverso…gli occhi di Alice Cooper! E in questo giro lo sguardo si è assestato su un livello più leggero, più ironico. Devi capire che Alice guarda il mondo secondo differenti prospettive. C’è molto humor in questo album, c’è molta ironia. Ironia spesso macabra, come in ‘This House Is Haunted’, il racconto di un ragazzo che amava follemente la sua fidanzata, ma lei all’improvviso è morta. Lui ha però continuato ad amarla anche come fantasma, e ha scoperto che era divertente anche questo tipo di rapporto! C’è una vena romantica, ma anche una ironica in questo tipo di canzone. Lo stesso spirito che ritorna in brani come ‘What Do You Want From Me?’,‘Man Of The Year’ o ‘Bye Bye Baby’, tracce dove emerge la capacità del rocker di far fluire l’ironia attraverso vene di spesso hard rock”.
In ‘Detroit City’, invece, viene facile leggerci una sorta di autobiografia di Alice, o meglio, dei suoi primi “vagiti”…
“No, questo è un tributo alla scena che mi ha visto nascere. Io sono nato e cresciuto a Detroit prima di trasferirmi, negli anni Sessanta, a Los Angeles, ed i miei primi passi li ho mossi proprio a Detroit. E ho avuto il tempo di vivere il periodo in cuoi ogni settimana potevamo suonare assieme ad Iggy And The Stooges, agli MC5, a Ted Nugent e tutte queste grandi band. Noi eravamo parte della scena di Detroit, quella era la nostra scena, quella che ancora oggi amo e che ho voluto celebrare in questo brano”.
Puoi spiegarci com’è possibile che da un’unica città come Detroit siano venuti fuori così tanti mostri del rock come Alice Cooper, Iggy Pop, Ted Nugent…
“Detroit è una città enormemente industrializzata, ed è quella con il più alto tasso di omicidi degli Stati Uniti. Ognuno a Detroit lavora nelle grandi fabbriche di automobili della città e ognuno a Detroit sogna di evadere, perché quella non è una città come New York, come Los Angeles o come Chicago, che offre opportunità; Detroit non offre nulla. Ed è per questo che il rock ha potuto prendere piede, perché la musica riflette questa situazione. Se suoni in un gruppo a Detroit e proponi musica soft, stai tranquillo che ti farai odiare, perché da quelle parti vogliono musica dura , vogliono gruppi aggressivi. La nostra musica è proprio sgorgata da questa frustrazione, da questo bisogno di suoni arrabbiati. E anche oggi molti musicisti considerati scomodi, da Eminem a Kid Rock, sono venuti fuori dalla scena di Detroit, solo che hanno deciso di utilizzare un metodo differente dal nostro per esprimere la loro voglia di ribellione ed il loro desiderio di evadere da questa realtà”.
Leggendo un titolo come ‘Between High School & Old School’ è invece impossibile non far correre la mente ad un altro tuo grandissimo classico come ‘School’s Out’…
“L’idea che ha portato a questo titolo è nata da una considerazione di Ryan Roxie. Vedi, è buffo come oggi sia considerato ‘nuovo rock’ il sound di band come The Vines o White Stripes, gruppi da high school moderna, perché alla fine non fanno altro che suonare old school music! A questo punto, allora, Alice che è uno dei massimi esponenti della old school, si è messo a suonare high school music! Alla fine ho voluto ironizzare sul fatto che, in fin dei conti, tutti suoniamo lo stesso tipo di musica, “New School” e “Old School” alla fine non sono altro che il classico hard rock”.
Scusa se ti interrompo, ma non pensi sia “pesante” per un fan di Alice Cooper sentirti parlare e soprattutto accostarti a band come The Strokes, White Stripes…gruppi alternativi non propriamente considerati metal o hard rock…
“Io adoro questi ragazzi! Sono contento che ci siano giovani band desiderose di suonare ancora rock’n’rol, non ne potevo proprio più di tutti quegli idoli del pop che un giorno esistono ed il giorno dopo non ci sono più. Ma sono anche stufo dell’ hip hop, del college rock…mentre mi riempie di gioia e di fiducia vedere che ci sono band che nascono in cantina, escono allo scoperto e fanno successo suonando musica genuina. Sanno cos’è il vero hard rock, lo hanno imparato bene e cercano di mettere in pratica l’insegnamento mio, di Iggy e degli altri. E mi piacciono molto anche i The Offspring, i Jane’s Addiction…fondamentalmente tutti gruppi che non cercano effetti strani: chitarra, basso, batteria, voce e il gioco è fatto. Per me questo è il vero rock’n’roll ed è importante che da ogni angolo degli Stati Uniti stiano venendo fuori band in grado di giungere sino al cuore del rock”.
Quanto c’è di Alice in una band come, ad esempio, i The Strokes?
“C’è molto, senza dubbio. Sono sicuro che se vai a scorrere la loro collezione di dischi ci trovi sicuramente qualcosa di Alice, di Iggy, MC5, i primi Kiss, i primi Rolling Stones…ma lo capisci tranquillamente dal loro modo di avvicinarsi alla musica e di suonare, che hanno ascoltato qualcosa di Alice nella loro adolescenza”.
Cosa, allora, un amante di ‘Billion Dollar Babies’ o di ‘School’s Out’, può aspettarsi di trovare in ‘Room On Fire’, il nuovo disco degli Strokes?
“Hai presente l’anima di ‘Under My Wheels’? Ecco, loro l’hanno saputa catturare e farla loro. Nella musica dei The Strokes, trovi tracce di questa canzone, ma anche di ‘Be My Lover’, ‘I’m Eighteen’…sono brani che hanno fatto la scuola dello street rock, racchiudono la vera essenza di Alice ed è quello che oggi gli Strokes o i The Vines suonano, facendoci compiere nuovamente un salto in dietro nel tempo sino ai primi anni Settanta”.
‘I’m So Angry’, invece, mostra il volto più punk oriented di Alice…
“Sì, assolutamente! Nella mia testa non c’è molta differenza tra ‘I’m So Angry’ e ‘Under My Wheels’, a parte il fatto che quest’ultima, per problemi tecnici legati al periodo, è scarsamente prodotta. Quando ho iniziato a scrivere il testo di ‘I’m So Angry’ ho cercato di ricreare l’effetto di un ago che trapassa il cervello e lo tortura per tre minuti, facendolo attraverso un riff semplicissimo, proprio come nella classica scuola punk. Mi sono trovato molto bene ad interpretare questo brano, molto a mio agio, perché alla fine anche questo è uno dei volti della musica di Alice”.
A proposito di punk: un tempo Johnny Rotten dichiarò “I Sex Pistols sono reali ed Alice Cooper no? Sbagliato! Io ascolto tutt’ora la musica di Alice Cooper. Sono personaggi come Alice Cooper che rendono migliore il mondo”…
“Oh Johnny Rotten! Sai una cosa? Un giorno Johnny Rotten mi ha confidato che l’unica band che realmente ha amato era Alice Cooper. Era disgustato da tutto quello che era legato al mondo della musica, tranne che da Alice Cooper. E ti dirò di più: una canzone come ‘Man Of The Year’ è stata dedicata proprio ai Sex Pistols. E’ una canzone che ha in se l’attitudine di quella band. Sai dov’è il problema? Il problema sta nel fatto che la gente tende a prendere in considerazione dei Pistols unicamente il loro lato oltraggioso, il loro spirito di rottura, senza mai soffermarsi sulla loro spiccata carica ironica. C’era un grande humor in loro, e credo che sbagli chi li ascolta cercandoci unicamente rabbia, depressione…io ogni volta che li ascolto mi tiro su il morale, la loro musica mi rende allegro…Ok, c’è il lato tragico legato alla morte di Sid Vicious, ma fondamentalmente i Sex Pistols sono la band che è stata in grado di portare l’anarchia nello street rock soprattutto attraverso l’ironia, ma questo troppo spesso la gente non lo vede o non vuole vederlo”.
Pensi che Alice Cooper sia un anarchico?
“No, Alice Cooper è uno specchio della società. Molte volte Alice è stato uno specchio per l’audience ed ha riflesso il lato corrotto della società. Ha messo in piazza l’ipocrisia, la corruzione, il marcio che ci circonda, dicendo semplicemente: “Ok, volete parlarne? Parliamone!”. E in un certo senso Alice è stato la coscienza dell’America, ha puntato il dito sull’ipocrisia della gente e ha cercato di fare riflettere su di essa. Ed in altri casi ancora, è ricorso all’humor, per ricordare a tutti che si può essere arrabbiati, si può essere frustrati, ma non bisogna mai perdere di vista l’aspetto ironico della vita”.
Ti ho posto questa domanda perchè Joe Perry degli Aerosmith, in un’altra intervista dichiarò: “Alice ha portato in piazza la ribellione giovanile come nessuno aveva fatto prima”…
“Forse perché sono stato tra i primi a comprendere questo bisogno di ribellione che albergava nei giovani. Ho capito che c’è un momento, durante il passaggio da ragazzo a uomo, in cui questo bisogno di rompere ogni schema è più accentuato. Sei intrappolato in una dimensione scomoda, nella quale non vuoi entrare in guerra con nessuno ma allo stesso tempo vorresti dichiarare guerra a tutto il mondo. Sei già abbastanza vecchio per vedere le cose in modo lucido e concreto, ma allo stesso tempo sei ancora troppo giovane per poter tenere a bada i tuoi ormoni, quindi vivi in un perenne stato di confusione. Io penso di avere catturato questo stato e di averlo messo in musica. ‘I’m Eighteen’ è la perfetta fotografia di questa dimensione scomoda e dei pensieri dei ragazzi di diciotto anni”.
Hai deciso di intitolare il nuovo disco ‘The Eyes Of Alice Cooper’, un tributo a quegli occhi che, nel corso di una lunghissima carriera, hanno avuto modo di vedere tutto ed il contrario di tutto. Ma qual è la cosa più sorprendente alla quale hai avuto modo di assistere in questi anni?
“Una delle cose più incredibili che mi è successa, è stato la presa di coscienza di cosa realmente significhi vivere in una grande città, una vera grande città. Passi tutta la vita in una città di tre milioni di abitanti e pensi di vivere in una metropoli, poi approdi a Sao Paulo in Brasile e la tua visuale cambia completamente. Quella città ha oltre nove milioni di persone ed un ritmo di vita inimmaginabile. Poi, in quell’occasione, abbiamo tenuto uno show indoor davanti a 158mila persone! Ho ancora negli occhi delle immagini che non potrò mai scordare: così tante persone in un luogo chiuso, una cosa stranissima, indimenticabile, perché è realmente difficile immaginare di far stare così tante persone sotto un unico tetto”.
Per concludere, pensi sarà possibile rivedere a breve Alice Cooper dal vivo anche in Italia?
“Quando abbiamo suonato in Italia, l’ultima volta, la band al completo ha convenuto che il pubblico italiano è in assoluto il migliore a livello europeo. E’ stata una grande sorpresa per noi, e questo ovviamente ci spinge a fare di tutto per poterci tornare con il nuovo show, perché sono cose come queste che ci spingono a amare una volta di più il rock. Io, poi, amo moltissimo l’Italia, tanto che trascorro gran parte del mio tempo a Milano e a Roma, due delle più belle città al mondo. Mia moglie è innamorata della Capitale, ci siamo stati molte volte durante le vacanze e ci piace scoprire poco per volta tutte le sue incredibili meraviglie!”.

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