Halford – In The Name Of God

Il 17/09/2007, di .

Halford – In The Name Of God

Dai Fight alla riscoperta del metal con gli Halford, dai modernismi dei Two al nuovo, avvincente album targato Judas Priest. La chiacchierata con il Metal God per eccellenza si è tramutata ben presto in un lungo viaggio all’interno della vita, della musica e della carriera di uno dei personaggi più importanti ed influenti per la storia dell’heavy metal.

Un gentleman. Forse un po’ eccentrico con quel suo parlare del Metal God in terza persona, molto teatrale nelle sue affermazioni ad effetto ( “Sono in California che parlo con i miei amici di tutto il mondo del nuovo disco del Metal God, ‘Metal God Essentials – Vol. I’!” esordisce dopo i saluti di rito), ma pur sempre un gentleman. Rob Halford è uno di quei personaggi al quale il mondo del metal deve molto, moltissimo, lui ne è consapevole ciononostante non perde un istante la sua cordiale eleganza squisitamente british, accompagnandoci con grande disponibilità in un viaggio attraverso la sua lunga carriera extra Judas Priest, quella che, partita nel 1993 con i Fight, è approdata oggi al più tradizionale progetto Halford, passando per la controversa parentesi Two, prima che l’attesa reunion con i Judas Priest arrivasse a mettere tutti d’accordo. Tutti elementi che, almeno in parte, ritornano in ‘Metal God Essentials – Vol. I’, una esauriente raccolta che dovrebbe precedere una ricca serie di ristampe tutte griffate Rob Halford.
Proprio oggi che tutti gli occhi sono puntati sul futuro disco dei Judas Priest, hai deciso di uscire con il tuo “best of” ‘Metal God Essentials – Vol. I’. Come mai questa scelta?
“(Rob Halford) Perché dopo aver lasciato la mia vecchia label, la Sanctuary, mi sono guardato intorno e mi sono reso conto quanto fosse difficile reperire sul mercato i miei vecchi lavori, quindi ho pensato che sarebbe stato interessante avviare un’azione che portasse i fan a riscoprire i miei dischi solisti. Inizialmente questo materiale è stato reso disponibile attraverso il mio sito internet, poi in un secondo tempo ho deciso di rendere il tutto più concreto, e siamo quindi arrivati al CD”.
Album che tiene a battesimo la tua personale label…
“Esattamente. Era da tempo che sentivo l’esigenza di dare una svolta alla mia carriera dopo aver passato anni a trattar con diverse label, quindi parlando, confrontandomi con miei amici nel mondo del music business, ho deciso di mettere a frutto quanto imparato sul campo iniziando una nuova avventura e dando vita alla Metal God Entertainment, la mia label personale. ‘Metal God Essentials – Vol. I’ è alla luce dei fatti il primo prodotto uscito per la mia etichetta poi, grazie ai miei contatti tra cui quelli italiani con la Frontiers, ho trovato distribuzioni in tutto il mondo. E’ un’uscita molto interessante secondo me, differente da quei dischi che si possono tranquillamente trovare nel mondo del download su internet, perché non si tratta di un semplice CD bensì un lavoro con allegato un ricchissimo DVD, un disco inusuale, con molto materiale extra, canzoni inedite, brani rari… è un album che ovviamente contiene quelli che sono gli apici della mia carriera discografica non limitandosi però ad essere una raccolta di singoli ma racchiudendo in sé molte cose interessanti, offrendo una ricca carrellata su quella che ad oggi è la mia carriera, partendo dai Fight, un gruppo che ancora oggi viene ricordato in modo molto favorevole nel mondo del metal ed arrivando alla mia più recente attività solista”.
Il titolo del “best of” riporta: ‘Volume I’. Pensi che ci potrà essere a breve un secondo greatest hits?
“Si, credo che in futuro ci possa essere spazio per una seconda parte del greatest hits, perché no? Tutto sta nel vedere che piega prenderà in futuro il mondo del metal, però materiale per un’altra raccolta ne ho e anche tanto. Sicuramente per buttarlo fuori devo avere determinate certezze, non voglio pubblicare un altro lavoro solo per soddisfare il mio ego, voglio che ciò che verrà pubblicato possa davvero soddisfare i miei fan e dare loro qualcosa di concreto, di importante. Non dovrà essere qualcosa di piatto, privo di interesse, bensì qualcosa di assoluto valore”
In questo disco, oltre alla carriera degli Halford, sei andato a riesumare i Fight. Che cosa ti è rimasto, oggi, di quell’esperienza?
“I Fight hanno rappresentato una parte importante della mia carriera, alla luce dei fatti sono stati la mia prima esperienza da solista appena lasciati i Judas. Musicalmente il discorso è interessante perché all’epoca ero ancora molto legato al mondo del metal e questo emerge nei dischi dei Fight; un album come ‘War Of Words’ offre molti riferimenti al metal, il sound è molto forte, pesante, quindi non è un disco che si discosta totalmente da quanto fatto in passato, anzi, si muove comunque su livelli decisamente potenti. Se ascolti attentamente le canzoni dei Fight contenute nel greatest hits ti puoi rendere conto di come non ci sia una frattura radicale con quanto sempre suonato, si può trovare un certo filo conduttore tra tutti i miei lavori, questo perché non ho mai voluto rinnegare le mie radici, semplicemente da artista quale mi reputo ho sempre cercato di esplorare e di lanciare occhiate a tutte le sonorità che mi venivano offerte, senza limitarmi ad un unico stile ma cercando di apprendere e sperimentare nel modo più aperto possibile. Per farti capire quanto sia ancora legato a questo progetto, presto farò uscire un cofanetto contenente non solo le ristampe dei dischi dei Fight ma anche diverso materiale inedito come i primi demo, quindi sarà un progetto molto ricco che consentirà a chi non aveva avuto modo di conoscerli in passato di ritornare in contatto e riscoprire questa realtà. La cosa che più mi piace è che se ascolti oggi un disco dei Fight, e di questa cosa me ne sono reso conto proprio andando a riprendere i vecchi dischi, è che suonano ancora attuali, il sound è molto moderno, e questa era la mia speranza all’epoca ed è il mio orgoglio oggi, perché ho dato vita ad un progetto che non si è esaurito ma che ancora oggi a diversi anni di distanza ha ancora molto da dire”
Chi invece è stato totalmente ignorato a questo giro è il progetto Two. Hai preso questa decisione perché suonava troppo differente dal classico metal, o ci sono altre ragioni alla base di questa scelta?
“Si, ci sono altre ragioni per spiegare la mancanza dei Two, ma sono più che altro ragioni legali, c’erano problemi con la label di allora, e quindi non ho potuto includere brani di quel progetto. E’ un peccato perché se i Fight avevano rappresentato molto per me, i Two sebbene si siano esauriti in un solo disco hanno comunque fotografato un periodo importante della mia carriera. Lavorare con Trent Reznor è stato molto interessante, mi ha arricchito parecchio perché è una persona incredibile ed ho appreso davvero molto da lui. La mia speranza comunque è quella di riuscire a fare anche con i Two quanto fatto oggi con i Fight, portare a riscoprire questo progetto, superare queste stronzate legali e tirare fuori nuovamente, magari ristampandolo, il disco o anche solo includendo qualcosa nell’eventuale secondo capitolo del greatest hits”
Ma riascoltando oggi ‘Voyeur’ con il senno di poi, continui ad apprezzarlo o credi si sia trattato di un mezzo passo falso?
“Si, come musicista non posso non apprezzare quel disco. In esso ci sono canzoni molto valide che mi piacerebbe poter riportare qualche volta dal vivo, ovviamente in un contesto più adatto e questo non è sempre fattibile. E poi il sound dei Two era molto potente, a tratti geniale…la sua arma a doppio taglio stava nel suo effetto a sorpresa. Era qualcosa che non ti aspettavi, che ti spiazzava, e questo non sempre è un bene. Fa comunque parte della mia vita, rispecchia il mio modo di vedere la musica, senza barriera e senza limiti alla sperimentazione, quindi non lo rinnego di certo, anzi, quando penso a quel progetto lo faccio sempre con molto affetto. E poi c’è il ricordo del lavoro svolto con Trent: lui è una delle persone più creative che conosca, tutti i lavori ai quali mette mano difficilmente usciranno scontati, da lui è lecito attendersi sempre qualcosa di sconvolgente, di disturbante…”
Trent Reznor è solo uno degli artisti con i quali ti sei trovato a collaborare nel corso degli anni. C’è però un personaggio con il quale hai lavorato, che ha significato molto per te come uomo e come musicista?
“Wow, a questa domanda dovrei risponderti con una lista di nomi troppo lunga che finirebbe per annoiarti, quindi ti dico con chi mi piacerebbe lavorare, convinto che potrebbe venire fuori qualcosa di molto interessante. E allora ti faccio il nome di Ihsahn degli Emperor. Mi piace molto la sua musica, ho avuto modo di frequentarlo, siamo diventati buoni amici e sono convinto che sia un vero genio. Il suo modo di vedere la musica è estremamente complesso ma certamente affascinante, mi piace pensare che con il suo intervento la mia musica possa raggiungere un livello ancora superiore, perché in questo caso si tratta di due entità musicali differenti che interagiscono per dare vita ad una nuova realtà. Certo, è una possibilità remota, resa ancor più difficile dal ritorno degli Emperor, però non escludo che in futuro si possa combinare qualcosa insieme, mi piacerebbe molto”
A proposito di collaborazioni… nel 1992 per due concerti sei stato nientemeno che il singer dei Black Sabbath. Che cosa ricordi di quell’esperienza?
“Oh, è stato molto divertente, sebbene si sia ridotto tutto a due soli show. Il mio rapporto con i Black Sabbath è di lunga data, conosco da anni i vari membri della band essendo tutti originari della zona di Birmingham, ci frequentavamo anche ai tempi dei Priest, c’è sempre stato un buon rapporto… il “fattaccio” però è avvenuto come detto nel 1992, io avevo lasciato da poco la mia band, loro avevano appena avuto problemi con Dio e per un bizzarro scherzo del destino ci siamo incontrati. E’ stato strano ricevere la telefonata di Tony, molto strano. Mi ha spiegato quello che stava succedendo e mi ha chiesto di esibirmi per qualche show con loro. Abbiamo incominciato a parlare, io ho tirato giù quelle che a mio avviso erano le migliori canzoni di sempre dei Sabbath, abbiamo concordato una scaletta e ci siamo incontrati da lui a suonare. Abbiamo provato tutta la scaletta una sola volta, poi il giorno dopo ci siamo esibiti ufficialmente davanti a 15.000 a Mannheim… recentemente mi è stato inviato un bootleg DVD di quell’evento, la qualità è decisamente buona e rivedermi live con i Sabbath dopo tutti questi anni mi ha fatto proprio uno strano effetto. Il fatto è che quando sei impegnato seriamente con una band tutte le tue energie fisiche e mentali sono concentrate su quello che stai facendo e questo fa si che spesso venga meno il divertimento. Suonare con i Sabbath è stata una cosa estemporanea ma dannatamente divertente, che comunque ancora oggi mi riempie di orgoglio. Come sono stato orgoglioso quando Tony, nel 2004, mi ha chiesto nuovamente di unirmi ai Sabbath per sostituire Ozzy per una sera, sono splendidi amici ed è stato splendido poter percorrere con loro questo percorso nel mondo del metal”.
Hai avuto modo di farti un’idea riguardo il ritorno dei Black Sabbath con Dio per il progetto Heaven & Hell?
“Penso che sia stata una reunion azzeccata, perché i Black Sabbath con Dio alla voce sono stati sicuramente importantissimi per il mondo del metal. Tony mi aveva anticipato qualcosa durante l’OzzFest, mi aveva detto che Ozzy era intenzionato a dedicarsi al suo nuovo disco solista e che c’era la possibilità di una reunion dei Black Sabbath con Ronnie alla voce. Beh, io ho subito detto che secondo me era una grande idea perché questa band aveva ancora molto da dare al pubblico, e i responsi ricevuti dopo le prime esibizioni live mi stanno dando ragione. Ho avuto modo di vederli insieme su un DVD e la chimica pare essere quella dei tempi migliori, sono tutti in grande forma e quello che stanno facendo non può che giovare a tutto il movimento metal”.
Tornando a te, ricordi ancora il momento, verosimilmente dopo il fallimento del progetto Two, in cui ti rendesti conto che era ora di ritornare a suonare il classico heavy metal?
“Si, è stato quando finalmente ho messo a fuoco dove mi sentivo a casa, dove mi sentivo più a mio agio, dove sentivo che la mia creatività potesse rendere maggiormente. Il progetto Two è stato all’insegna della sperimentazione, abbiamo realizzato un disco e tenuto alcuni show, però al termine di ogni concerto non mi sentivo completo, a posto con me stesso, sentivo che mi mancava qualcosa. Quando un artista sale sul palco, porta in scena qualcosa che dovrebbe rappresentarlo al cento per cento, eppure io dopo gli show con i Two avvertivo che questo era solo un volto della mia arte, non era Halford nella sua totalità. Quando ho avuto ben chiaro in testa ciò che avrei dovuto fare, beh, è stato il primo passo verso il ritorno all’heavy metal. Il secondo passo fondamentale è stato l’incontro con Roy Z, un metalhead a tutto punto. Lavorare con lui è stato di grande stimolo per me, è un chitarrista fantastico e un eccellente compositore, tanto che, quando ‘Resurrection’ è stato pubblicato, il responso del pubblico è stato incredibile. Se ascolti la title track di quell’album, ripresa poi anche nel mio greatest hits, senti proprio la mia voce uscire in tutta la sua potenza, quasi fosse rinata, capisci chiaramente che in quel momento il Metal God era tornato ad essere tale, e questo è stato il primo passo verso la riconquista della mia identità e verso il ritorno nei Judas Priest”.
Pensi che la pubblicazione del greatest hits verrà seguita da quella del prossimo disco degli Halford?
“Si, abbiamo qualche canzone pronta ma tutto ora va più a rilento perché sto anche lavorando al nuovo disco dei Priest. Non è comunque facile lavorare ad un album degli Halford perché viviamo tutti in giro per gli State, io e Roy a Los Angeles, Metal Mike nell’area di New York… solitamente i ragazzi tirano giù le idee nei loro studi personali e me le presentano inviandomi CD o file via mail, io ci lavoro su, creo le parti vocali e poi ci si trova solo nell’ultima fase della lavorazione per trovare la quadra alle idee. Attualmente il disco è ancora in fase embrionale, vedremo quando sarà il momento giusto per pubblicarlo, perché principalmente Rob Halford è il Metal God dei Judas Priest, quindi anche se è molto importante la mia carriera solista, la mia priorità rimane la mia band madre quindi ora mi dedicherò con anima e corpo ai Priest. E se poi riuscirò a trovare un buco in calendario, cercherò di pubblicare anche il nuovo disco degli Halford…”.
Ecco, i Judas Priest: che ne dici di chiudere l’intervista con qualche anticipazione sul vostro prossimo disco?
“Non posso dirti nulla di più di quanto non sia già circolato in internet nelle scorse settimane. K.K e Glenn hanno lavorato parecchio sulle parti di chitarra in Inghilterra prima di prendersi un break, io in America ho iniziato a tirare giù le parti vocali prima di questa parentesi promozionale, comunque con i lavori siamo già a buon punto. Come ben saprai, si tratta di un concept album basato sulla vita e soprattutto sulle visioni di Nostradamus. E’ una figura che ci affascina molto la sua, le sue profezie hanno dell’incredibile e noi abbiamo voluto sviscerare questo aspetto, portando però a galla anche quella che era la vita stessa di Nostradamus. Musicalmente è qualcosa di sensazionale, per il nostro primo concept album abbiamo voluto fare le cose in grande, c’è misero, c’è fantasy, c’è l’intrigo, il tutto raccontato attraverso il classico sound dei Priest…è una rock opera colossale che ci ha appassionato sino dai primi giorni della sua lavorazione e che non vediamo l’ora di farvi sentire. Ma non dovrete attendere molto, se tutto va come deve, nei primi mesi del 2008 dovrebbe essere fuori”.

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