Enter Shikari – Celebrare Il Passato

Il 19/05/2017, di .

Enter Shikari – Celebrare Il Passato

Gli Enter Shikari tornano in Italia per celebrare il loro album d’esordio intitolato ‘Taken to the Skies’ del 2007. Prima di esibirsi sul palco dell’Alcatraz di Milano abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il cantante Rou Reynolds e il chitarrista Lyam Clewlow del passato e del progetti futuri della band.

Tornando indietro nel tempo con i ricordi al 2003 potreste raccontarmi dei giorni in cui gli Enter Shikari sono stati fondati ed avete iniziato a muovere quindi i primi passi verso l’album d’esordio?

Rou: Abbiamo registrato ‘Take to the Skies’ in circa due settimane in un piccolo bungalow, posto in fondo ad un giardino. Abbiamo usato quel piccolo spazio come studio di registrazione. Ripensando alle condizioni in cui abbiamo ultimato l’album rispetto a come lavoriamo oggi…è stato folle.

Lyam: in pratica negli stessi in giorni in cui registravamo l’album dovevamo andare a suonare ai concerti e usavamo un bus come mezzo di trasporto. Correvamo a velocità sostenute per poi dover tornare al nostro bungalow a registrare. Erano davvero bei tempi, ci divertivamo molto, oggi è tutto più organizzato.

Come sono nati gli Enter Shikari? So che alcuni di voi facevano parte degli Hybrid…

Rou: In realtà gli Hybrid, suonavamo in un altro stile, per certi versi più vicino all’elettronica e l’hardcore. Volevamo muoverci fare altro e quando abbiamo completato la line-up la nostra musica si è spinta in un’altra direzione.

Il vostro album ‘Taken to the Skies’ è stato uno dei primi album ad entrare nella classifica inglese come album indipendente. Come mai avete di deciso di fare a meno del supporto di un’etichetta?

Rou: è stata in un certo senso una cosa naturale. Abbiamo iniziato a scrivere, registrare, a ideare la copertina… tutto da soli e in fondo volevamo essere certi di mantenere la direzione seguita fino a quel momento, così come è stato quando ci siamo affidati ad un management, volevamo comunque proseguire il nostro progetto.

Il fatto di rimanere indipendenti non riguardava direttamente la direzione scelta per la vostra musica?

Lyam: abbiamo compreso che se vai con una major, prima di prendere ogni decisione, devi confrontarti con loro e questo, in qualche modo, avrebbe potuto influenzare la nostra musica. Al tempo conoscevamo un manager di una casa distributrice e lui ci ha aiutati, avevamo una buona struttura di supporto, ma non l’etichetta discografica. Già in quegli anni il mercato discografico stava cambiando grazie alla rete e per via di nuove dinamiche di mercato.

Quali sono le origini della vostra musica?

Rou: Siamo molti fortunati, proveniamo da una scena con una grande varietà musicale dove puoi trovare il punk, il drum and bass, l’hardcore, il dubstep e con una delle scene più importanti nell’elettronica. Così abbiamo combinato queste cose senza limitarci ad un genere.

Lyam: se tu poi consideri solo la parti strumentali della nostra musica vi sono parecchie somiglianze con tra la musica elettronica, il punk e l’hardcore, nel modo in cui in cui creano energia e melodia, ma in fondo tra i generi, i confini sono più labili di quanto non appaiano. Così non volevamo davvero rinchiuderci nella gabbia di un solo genere.

In qualche modo siete stati influenzati dalla corrente post punk di gruppi quali Joy Division?

Rou: come noi tante band sono state influenzate dal post punk… a tal proposito, una cosa folle è che qualcuno della statura di Tony Wilson, il produttore di Joy Division e New Order, ci considerasse la sua band preferita…

Tornando all’album ‘Taken to the Skies’, potreste raccontarmi qualcosa della produzione con John Mitchell e di come le cose sono cambiate nei vostri album successivi?

Rou: al netto delle nuove tecnologie il processo di registrazione e produzione dell’album non è poi molto cambiato. John Mitchell invece ci era stato consigliato da un manager di una major con cui poi non abbiamo firmato… abbiamo poi provato a produrre assieme un paio di brani e ci siamo trovati bene. Di certo è una persona con una buona esperienza alle spalle… Per ‘Taken to the Skies’ abbiamo impiegato due settimane circa per completarlo, diversamente per quello successivo il tempo è quasi raddoppiato…

Lyam: negli ultimi album abbiamo registrato in modo da tenere separati gli strumenti su diverse frequenze. Si tratta di un processo leggermente più complesso che implica diversi tentativi prima di trovare un equilibrio tra le cose che meglio si adatti alla nostra musica. In realtà su “Taken to the Skies” abbiamo registrato i singoli strumenti uno alla volta, sperimentando di meno.

Da dove deriva il titolo dell’album ‘Taken to the Skies’?

Rou: non era nulla di più che un buon nome per l’album, qualcosa di fresco, in un certo senso una dichiarazione per la nostra missione…

Lyam: ben si legava anche ai testi, in qualche modo c’era un forte legame tra le due cose.

Come create i testi? Come descrivereste il rapporto tra parole e la vostro musica?

Rou: il più delle volte i nostri testi seguono la musica. Scegliamo le parole anche per il loro suono, la fonetica diventa funzionale al nostro genere. La musica, per noi, viene sempre prima ed è come se, solo in via successiva, determinasse il resto. Se ci soffermiamo su un argomento, ad esempio, non diciamo tutto, non si tratta di un saggio, ma in fondo lasciamo lo spazio all’ascoltatore di immaginare ed allo stesso tempo tentiamo di trovare un equilibrio tra testi e suoni.

Ho ascoltato un’intervista degli Oasis in cui asserivano di aver iniziato a fare musica per via del fatto che odiavano Phil Collins. C’è qualcosa che non vi piace nella musica altrui che non mettereste mai nella vostra?

Rou: non so, in fondo la musica che non mi piace non fa parte realmente della nostra vita, per cui la ignoro…forse Niki Minaj (ride)…in realtà non vogliamo annoiare, ma creare musica con differenti influenze, ma non ci interessa andare contro alle altre persone.

State già scrivendo nuova musica? Avete già in mente una direzione?

Rou: E’ presto per dirlo, ma quello che abbiamo intenzione di fare è di muoverci verso la semplicità, qualcosa che colpisca immediatamente l’ascoltatore.

Una direzione quindi più simile a quella dell’ultimo singolo ‘Redshift’…

Rou: Si, esatto, qualcosa del genere.

Un’ultima domanda. Cosa ne pensate della Brexit?

Rou: Noi eravamo contro all’uscita dall’Europa e lo siamo ancora. Si tratta del ritorno di un certo nazionalismo che vuole difendere i propri confini. Una cosa del tipo l’Inghilterra per gli inglesi. E’ una cosa già successa e su cui si ritorna ciclicamente, ma è davvero triste. Facciamo parte di qualcosa di più grande, non circoscrivibile semplicemente ai nostri confini.

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