Cadaver – Tutti defunti… tranne i morti

Il 06/05/2020, di .

Cadaver – Tutti defunti… tranne i morti

Il nuovo album dei Cadaver è un pezzo di carne rancida piovuto inaspettatamente dal cielo. Quasi in sordina, i norvegesi hanno rilasciato un EP digitale, ‘D.G.A.F.’ (Nuclear Blast): niente proclami o dichiarazioni altisonanti, l’unico biglietto da visita le tre tracce presenti nell’opera, fotografie di una band che ancora una volta torna in vita grazie alla tenacia del suo leader e unico membro sempre presente in ogni incarnazione del gruppo (anche nella breve fase targata Cadaver Inc). Ed è stato proprio Anders “Neddo” Odden il protagonista della lunga chiacchierata avvenuta in uno dei tanti pomeriggi, tutti simili tra loro, di quarantena.

Come va là da te in Italia?
Io sono fortunato vivo al sud e qui la situazione è meno pesante rispetto ad altre zone, come per esempio Milano. E in Norvegia?
Sono in quarantena forzata, è una situazione irreale: per fortuna ci sono la musica e le altre forme d’arte a farci compagnia. In questo momento la cultura sta mostrando in modo evidente la propria utilità.

Infatti, voglio ringraziarti per un grande disco come come ‘D.G.A.F.’, una vera manna dal cielo in un  periodo come questo per un vecchio reduce della scena death dei primi anni 90.
Ti confesso che sono felice ed orgoglioso di sapere che la mia musica in questi giorni può avere un effetto positivo e portare un po’ di gioia a chi l’ascolta.

Quando hai capito che era arrivato il momento di scrivere una nuova pagina nella storia, non proprio lineare, della tua band?
Io di continuo butto idee su dei demo, ho registrato veramente un mucchio di roba che poi è finita sugli album di diversi gruppi. Però, nonostante io abbia fatto parte di molte band, ho sempre avuto un debole per i Cadaver perché sono stati il mio approccio serio al mondo della musica e sono stati loro che in qualche modo hanno indicato il mio percorso da artista. Rispetto ad altri progetti, rappresentano in pieno la mia visione, anche se poi in questi anni l’ho sviluppata circondandomi di gente differente. Quando ho sentito Dirk mi sono detto che lui era l’uomo giusto per ricreare qualcosa in linea con la tradizione dei Cadavar, ci siamo messi a lavoro per registrare quello che nelle intenzioni doveva essere un album intero e non un EP. Posso affermare che è stato un flusso creativo naturale: spontaneamente le cose sono andate tutte al loro posto.

Mi hai parlato di una grande intesa artistica con Dirk Verbeuren, però per noi vecchi fan il connubio perfetto è quello tra te e Ole Bjerkebakke, fondatore, batterista e cantante dei Cadaver sino al 92. Prima di ripartire hai chiamato il tuo vecchio compagno d’armi?
Sì, l’ho fatto. Ma lui, in questa fase della sua vita, è fuori da ogni discorso musicale, si occupa di marketing letterario per conto di una casa editrice norvegese.

Allora torniamo su Dirk, sei entusiasta del feeling che c’è tra voi,  ma come e quando hai scoperto questa affinità artistica con lui?
Ci siamo conosciuti nel 2014, l’ho sempre apprezzato perché è un musicista straordinario. Quando gli ho proposto di entrare nei Cadaver non credevo che si sarebbe creata una simile alchimia. Col senno di poi, sono contento di aver seguito il mio istinto e orgoglioso per quello che abbiamo fatto insieme.

Però, forse per la prima volta nella vostra carriera, la line up è formata da due sole persone: come dobbiamo considerare i Cadaver, una  vera band o solo uno studio-project?
Assolutamente una vera e propria band! Quando siamo partiti io e Ole, nel 1998, eravamo in due, poi abbiamo trovato un bassista (René Jansen, morto nel 2014). Un ruolo sempre delicato è stato quello del cantante, prima lo ha svolto Ole, poi è arrivato Apollyon. Ora credo di aver trovato la mia dimensione definitiva dedicandomi anche al basso e alla voce, cosa che mi permette di mantenere il pieno controllo e mi fa sentire a mio agio. In passato ho lavorato con molti frontman, guardando indietro forse non mi sentivo ancora pronto. Quando ho rimesso in piedi i Cadaver ho capito che era giunto il momento per questa nuova sfida.

Alquanto atipico, almeno per i vostri standard, il titolo dell’album, un semplice acronimo.
Significa “don’t give a fuck”.

Tipico slang norvegese alla maniera dei Suicidal Tendencies…
Ahahahah, esatto! Fa riferimento, sopratutto, all’attuale situazione sui social. Tu poi scrivere qualsiasi cosa e sta sicuro che qualcuno che attaccherà le tue idee spunterà fuori. Tutti si ritengo i più bravi in ogni campo: il migliore chef, il migliore medico, il migliore economista… Quindi ti ritrovi  dover sostenere delle dispute assurde per difendere la tua opinione. A questa gente non passa per la testa che ognuno è libero di pensarla come vuole e che è sbagliato imporre le proprie idee. La cosa più giusta, quindi, è fare quello che si vuole e rispondere con un bel “don’t give a fuck”!

Ritroveremo queste canzoni, magari in una versione differente, sul vero e proprio full length?
In realtà l’idea dell’EP nasce perché in passato io ho amato questo formato, per questo lo pubblicheremo in vinile (al momento è disponibile solo in versione digitale Nda)  con l’aggiunta di una bonus track, forse dal vivo, per avere due canzoni a lato.  Il vero e proprio album, invece, conterrà 10 inediti. Molto spesso le canzoni che ho amato si trovavano esclusivamente sugli EP e non sugli album, per questo vogliamo queste tre restino esclusivamente su ‘D.G.A.F.’. Negli 80 i Celtic Frost hanno rilasciato un sacco di EP, così come, dopo di loro, i Napalm Death. Credo, però, che il supporto perfetto per questo tipo di prodotti sia il vinile, per questo oggi stanno tornando in voga queste uscite di breve durata. E poi, diciamocelo, i metallari hanno sempre preferito il vinile con le sue copertine più grandi!

Ci sono differenze tra queste tre tracce e quelle contenute nel vostro precedente lavoro, ‘Necrosis’?
Credo che ‘Necrosis’ avesse un sound molto organico e fuori dal tempo. L’ho riascoltato la scorsa settimana e lo trovo ancora molto buono. Certo è il frutto di una line up diversa e di influenze necessariamente differenti rispetto a quelle di ‘D.G.A.F’. Anche se il nome della band rimane sempre lo stesso, sta certo che il cambio di formazione porta per forza a un risultato diverso.

Devo ammettere che amo questa copertina così schifosa, mi ha ricordato quella rivoltante del vostro esordio ‘Hallucinating Anxiety’. Le opere successive hanno avuto cover sicuramente più sobrie. Quel disco comunque riporta alla memoria un nome che magicamente è ricomparso in occasione dell’uscita di questo EP: Jeff Walker, vostro pigmalione nei primi anni 90 e ospite nella title track di ‘D.G.A.F’.: come è stato tornare a collaborare con lui?
Quando abbiamo iniziato a lavorare seriamente sui nuovi brani eravamo a Los Angeles, perché Dirk vive là e ha uno studio. In quei giorni i Carcass si esibivano nella Città degli Angeli, ne abbiamo approfittato per vederci il loro show. Quando abbiamo detto a Jeff che eravamo negli USA per incidere un nuovo disco dei Cadaver, lui ci ha subito chiesto di poter cantare su un brano, ovviamente abbiamo accettato! Un grande artista, un grande amico, è stato splendido averlo sul nostro ritorno.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=MAmUcGZHCa8&feature=emb_logo

Allora non ci resta che tornare a quei giorni in cui Bill Steer e Jeff Walker vi hanno messo sotto contratto per la loro etichetta Necrosis, dando alle stampe nel 1990 il vostro mitico debutto…
La prima volta che li ho incontrati dal vivo è stato nel febbraio del 1990, avevano un show in Svezia, noi ci andammo e portammo con noi i nostri demo. Fecero un grande concerto, per noi erano veramente delle entità superiori e strane con quei dread e il loro essere vegani, erano così fuori dagli schemi! Ma furono molto gentili, si fermarono a parlare con noi e accettarono i nostri demo. Era un periodo in cui l’underground era in fermento, dei tempi veramente memorabili!

Restiamo sempre nella scena underground dei primi anni 90 in Norvegia, all’epoca il black iniziava la sua ascesa accompagnata dalla fantomatica campagna anti-mosh che aveva assurto il povero Scott Burns, il mitico produttore dei Morrisound Studios di Tampa, a simbolo negativo. Voi coerentemente rimaneste fedeli al vostro sound death, questa cosa vi creò problemi con le altre band ormai attratte dalle nuove sonorità?
No, nessun problema, ci muovevamo liberante, andavamo ai loro concerti a vendere il nostro materiale e abbiamo anche fatto da DJ in alcuni show: eravamo completamente immersi nella scena. Il periodo in cui ci sono stati piccoli conflitti è durato veramente poco, anzi noi eravamo entusiasti di un album come ‘De Mysteriis Dom Sathanas’ che stava portando a qualcosa di nuovo. Il nostro rispetto nei confronti dei Mayhem era assoluto, perché loro avevano creato la scena metal in Norvegia e la stavano traghettando verso una dimensione internazionale. Dobbiamo tutti quanti ringraziare i Mayhem.

A conferma di questo tuo coinvolgimento nella scena black per qualche anno hai organizzato il “Black Metal Bus Tour”, un giro che portava i turisti nei luoghi di Oslo in cui si erano svolte le pagine più eclatanti della storia del Metallo Nero.
Si tratta di una cosa che ho portato avanti dal 2008 al 2012. Un’idea che mi è venuta in mente durante un Inferno Festival perché molti dei ragazzi che erano lì erano anche interessati ai posti in cui le vicende si erano svolte. A un certo punto però ho deciso di smettere perché non volevo più avere a che fare con quegli accadimenti che avevano portato anche a degli omicidi. Ero stanco di raccontare quelle storie, in quei posti poi. Ho mollato proprio quando questa operazione era all’apice del suo successo, però non è stata una scelta istintiva, ho meditato parecchio prima di prenderla.

Un altra cosa che mi ha sempre incuriosito è il motivo per il quale a un certo punto punto della tua carriera hai modificato il tuo nome in Neddo, che altro poi non che il tuo cognome, Odden, scritto al contrario.
All’epoca ero perso dietro tutta una serie di teorie fantascientifiche, quindi cambiare il mio nome equivaleva a diventare una persona completamente differente. Non è durata molto e sono tornato a utilizzare il mio nome vero, anche se sui dischi appare ancora Neddo.

Non hai cambiato solo il tuo di nome, anche quello della band che a un certo punto diventa Cadever Inc. Quella mutazione fu accompagnata, nei primi anni 2000, dal lancio del sito ufficiale  del gruppo, cosa che vi causò non pochi problemi con la polizia norvegese. Ti andrebbe di ritornare su quella bizzarra faccenda?
Parliamo dei giorni in cui i social media non erano ancora esplosi, eravamo agli albori della massificazione di internet. Ebbi questa idea di creare un’azienda fittizia, un po’ come Cosa Nostra, specializzata nella rimozione dei cadaveri e nell’occultamento delle prove. Il sito diventò incredibilmente popolare, entrammo nella top ten dei portali più visitati secondo Yahoo!. Le autorità norvegesi si insospettirono e attivarono un’indagine, che portò all’evidenza della natura scherzosa del sito. Spiegammo loro che era una mossa di marketing per attirare le attenzioni dei fan sui Cavader Inc, anche perché nessuno avrebbe svolto un’attività del genere in modo palese! Però quando la polizia mi ha chiamato, ho capito che era arrivato il momento di chiudere tutto! Ahahah

Nonostante un’operazione di marketing riuscita come quella e l’evidente qualità dei vostri lavori – tanto che non ho difficoltà a dire che siete una delle migliori band death metal norvegesi di sempre – non avete mai raggiunto un verso successo: come te lo spieghi?
Credo che dipenda da una serie di fattori, per esempio noi abbiamo fatto alcune mosse – come quella del sito – in anticipo rispetto ai tempi, siamo stati dei precursori. Da giovani poi abbiamo preso delle decisioni avventate, perché non avevamo un orizzonte temporale esteso, ma vivevamo alla giornata senza pensare alle conseguenze. Però non ho molto di cui pentirmi, magari avrei dovuto dare più continuità al progetto Cadaver, questo sì.  Ora sono qui e sono contento, da giovane non avrei potuto scrivere materiale del genere, spero che questo possa essere l’inizio di una carriera più regolare. Oggi è diventato anche difficile misurare il successo, capire quali siano i parametri che distinguono le band che piacciono o non al gran parte della gente. Per questo motivo per me è più importante creare musica e saper che c’è gente che l’apprezza, che raggiungere un vero e proprio successo commerciale.

Sicuramente l’esservi accasati presso la Nuclear Blast vi garantirà una maggiore visibilità. Nel roster della vostra etichetta c’è una band con un nome molto simile al vostro, i Kadavar da Berlino. Li conosci e apprezzi la loro musica?
Sì, li conosco. Se tu ci pensi, quando sceglievamo un nome negli anni 80, non essendoci internet, non sapevamo se ci fosse già un gruppo con quel moniker. Non credo che la quasi omonimia possa creare dei problemi, pur uscendo per la stessa casa discografica, tutti sanno che si tratta di due entità distinte con stili differenti. Mi piacciono anche le loro cose perché adoro i Monolorod e tutti quei gruppi con sonorità doomish.

Dal vivo quale canzone ti piace suonare di più?
Se proprio devo sceglierne una, direi ‘Erosive Fester’ dal primo disco. Credo che con quel brano io abbia trovato la mia formula, il riff che mi contraddistingue dagli altri. La prima canzone nel mio stile, la potrei definire.

Abbiamo iniziato la nostra chiacchierata parlando dell’attuale emergenza sanitaria, situazione che che sta avendo dei risvolti drammatici per l’attività musicale live. Oggi si discute molto sulla validità degli eventi in streaming, c’è chi addirittura spinge per i drive in concert. Tu che ne pensi?
Credo che lo streaming possa essere un buon compromesso nel breve-medio termine, ma non la soluzione definitiva. Per quanto concerne i concerti nei drive in, non la vedo una modalità applicabile ai concerti death e black.

Effettivamente il pogo con le macchine farebbe contenti soprattutto i carrozzieri!
Esatto! Probabilmente per eventi pop la cosa è più fattibile.

“Extreme music for extreme people” recitava un vecchio motto negli anni 90, ti ritieni ancora una persona estrema in questo momento della tua vita?
No, dire di no. Tutto è finito con l’adolescenza, con gli anni si cambia. Lo scorso ottobre ho vinto la battaglia contro il cancro, sono un sopravvissuto. La mia visione della vita è completamente cambiata, per me oggi la cose importanti sono la mia famiglia e la mia musica. Il mio estremismo attuale lo esprimo nelle mie canzoni, ma non posso negare che ho una visione più positiva dell’esistenza. La vita è preziosa, anche nelle sue manifestazioni più piccole.

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