Epica – La scienza dell’Omega

Il 29/03/2021, di .

Epica – La scienza dell’Omega

‘Omega’ è l’ottavo disco degli Epica, ottavo centro in una discografia che non conosce davvero punti deboli. Pieno di dettagli e novità come al solito, e arricchito da un concept spiritual/scientifico davvero interessante, non ci siamo fatti scappare l’occasione di scoprire qualcosa di più sui modus operativi e anche creativi della band olandese. Abbiamo quindi raggiunto telefonicamente il leader Mark Jansen per parlare di diversi temi con lui, cominciando dalla solita, odiata, pandemia per finire con una curiosa domanda sulle cover… quando non sei tu a farle!

Per ovvi motivi, la prima domanda ultimamente riguarda sempre la pandemia. Voi come l’avete vissuta, personalmente e professionalmente?
“Il lockdown ha colpito duramente tutti e questo è una cosa che non si può negare… però, devo dire che, vivendo io in campagna, forse ho subito meno di altri il senso di reclusione che in molti lamentano. Ho potuto anche nei momenti più grigi del lockdown fare le passeggiate nella campagna intorno alla mia residenza, ho potuto godermi il mio giardino, i miei cani, le attività che faccio giornalmente quando non mi occupo di musica, tipo lavorare a curare le piante. Insomma, quello che sono le mie attività più care mi sono rimaste fortunatamente. Ma mi immagino bene la disperazione per chi in città invece si è visto privare di tutto quello che faceva prima per passione o anche solo per passare il tempo…”

È bello che tu provi empatia verso gli altri, in un momento in cui invece – soprattutto sui social – ognuno guarda un po’ al suo orticello e ai suoi problemi, ma professionalmente invece? Gli Epica o l’album stesso ne sono risultati impattati?
“Sì, lì l’impatto c’è stato. Pensavamo di rilasciare l’album a settembre 2020 ma come ben sapete siamo usciti con febbraio 2021, che sono ben quattro mesi dopo. L’attività live, inutile dirlo, è praticamente distrutta… i promoter e coloro che si occupano della band ci hanno dato delle date per la ripresa delle attività, ma a me sinceramente sembrano troppo ottimistiche. Non vedo questo miglioramento che giustifichi le date che mi hanno detto. Si vedrà. Lato mio, comunque, per noi era importante far uscire l’album. Era importante far sapere che non siamo stati annientati dalla pandemia, che gli Epica ci sono ancora. E poi il pubblico è pronto per nostra nuova musica, e noi eravamo pronti per pubblicarla. Volevo pubblicarla! Ho pronte queste canzoni da così tanto tempo… (si ferma un attimo, ndr.).
Sai, poi penso che – con tutto quanto di brutto c’è stato – era anche tempo di uscirsene con qualcosa di nuovo. Qualcosa di bello. E penso che questo nuovo album rappresenti ciò, spero che le persone possano ascoltarlo e… sentirsi un po’ meglio, ecco. Forse è un po’ troppo, ma è una mia speranza.”

Mi hai parlato soprattutto della parte di pubblicazione e promozione… ma sulla scrittura e sulla registrazione? Avete avuto problemi che hanno comportato un diverso modus operandi rispetto al solito?
“In linea di massima ti direi che sul modus operandi non ci sono stati impatti. Ma solo perché la pandemia ha colpito duro quando avevamo finito di scrivere quasi tutto, e l’intero lavoro era registrato praticamente integralmente. Diciamo che quando è stato impossibile per tutti muoversi tra le nazioni all’album mancavano solo i cori, le rifiniture sulle voci di accompagnamento e le parti soliste mie e di Simone. Ecco, non sono potuto andare in Olanda per registrare, e nemmeno Simone ha potuto lasciare la sua casa in Germania, e questo è stato un po’ un problema. Però lei ha potuto registrare lì nel suo paese, e io nell’home-studio di casa mia. Per fortuna l’equipaggiamento che entrambi avevamo era della qualità che serviva, e quindi le registrazioni sono riuscite perfette così come le volevamo.”

Venendo a ‘Omega’… liricamente è parte di una sorta di trilogia come abbiamo letto in giro o si tratta di un lavoro a sé stante?
“Sì, è parte di una sorta di trilogia ma solo nel senso che tutti e tre gli ultimi album trattano di temi scientifici similari, e quindi possiamo considerare ogni lavoro connesso agli altri almeno a livello tematico. Ma non sono tre parti della stessa storia… tipo introduzione, svolgimento, epilogo. Non è un concept, insomma. Semplicemente – ma non l’avevamo preventivato – sono dischi che stanno bene assieme, perché prendono nutrimento dallo stesso suolo. Sono molto vicini da quel punto di vista, mi piace alla fine che vengano considerati una trilogia. Lo condivido in qualche modo”.

Hai parlato di temi scientifici, ma per i tre lavori sembra importante anche la parte spirituale…
“Sì, soprattutto quest’ultimo lavoro tratta la cosiddetta ‘Omega point Theory’, che è legata a tematiche sicuramente spirituali. Si tratta della teoria di un prete/scienziato gesuita francese che postula l’esistenza di un massimo livello di coscienza verso il quale tutti noi, ma anche l’universo stesso, sembra tendere. Beh, anche solo detto così è una teoria interessantissima, non trovi? L’idea che, andando avanti con un tempo molto lungo, tutti tendiamo comunque verso un unico punto, a un’unica fine comune… è qualcosa che apre la mia mente. Mi fa sentire parte di qualcosa di più grande, e mi consola sulla ‘separazione’ che vedo ogni giorno a livello umano. Ogni persona è separata dalle altre, in tanti modi… ma a livello fisico, a livello quantistico, c’è un’energia che collega tutti noi, e che scorre verso un’unica direzione, verso un unico punto addirittura. È la giusta ‘fine’ di qualcosa che è iniziato col Big Bang. Da un inizio unico a una fine unica. Un ciclo che si chiude. E quello che questa teoria mi dice è che tutto ciò che era connesso prima, rimane connesso fino alla fine. Ho approfondito molto questo argomento, è qualcosa che davvero mi appassiona e che sono felice di avere in qualche modo cristallizzato nelle liriche di questo album degli Epica.”

Sull’album notiamo l’uso di strumenti particolari, soprattutto su un paio di brani… avete adottato approcci nuovi alle parti strumentali?
“Sì, ci sono degli approcci e degli strumenti inediti per gli Epica su questo lavoro. Su ‘Ring Of Salomon’ e ‘Code Of Life’ ci trovano strumenti della musica araba, qualcosa di simile al Bouzuki ma con un nome che adesso non ricordo. Abbiamo usato diversi strumenti comunque… sitar, santur, sarod, la tapla, il più noto didgeridoo… tutto suonati da ospiti esperti. Abbiamo sperimentato tanto di sicuro!”

Un altro elemento inedito che in tanti hanno apprezzato è stato il coro di voci bianche. Come siete arrivati a pensare a questa opportunità?
“Sì, abbiamo avuto anche un vero coro di bambini sull’album. Tre classi ognuna di circa venti voci. Era da un po’ che ci pensavamo e Coen ci ha fatto davvero un gran lavoro sopra, arrangiando, scrivendo e dirigendo il tutto. Sono felice che ci sia stata questa opportunità, era davvero qualcosa in più che ha giovato molto all’album. Mi piace il fatto che si senta bene dove abbiamo utilizzato il coro delle voci bianche e dove invece quello normale… il suono generale del coro dei bambini è davvero distintivo, impossibile da fare in altro modo, anche da professionisti. Mi fa piacere che l’hai chiesto, è stato un grande lavoro”.

Quando si lavora a un album è parimenti importante avere ben chiaro un disegno generale, ma anche curare ogni singolo dettaglio, cosa di cui la musica degli Epica è davvero piena. Su quale di questi due aspetti fate più fatica a lavorare? I dettagli secondo me…
“Beh, ci hai visto bene, sono i dettagli quelli che ci fregano, almeno da un punto di vista del tempo speso. Al contesto generale, l’aspetto generale cioè che una canzone, oppure l’album intero, devono avere ci arriviamo in fretta. Certo ci riuniamo, ne parliamo, ma a un quadro generale ci arriviamo con poco tempo e poche discussioni. L’idea generale ce l’abbiamo chiara da subito quando iniziamo a lavorare. Il resto del tempo lo spendiamo appunto sui dettagli… soprattutto sui più piccoli. Tutto deve funzionare bene e spesso la nostra attenzione si concentra quindi su singole parti. Senza perdere di vista il quadro generale, però.”

Questo lo trovi molto difficile? È una parte del lavoro in studio che miglioreresti?
“Non è che è più difficile. No, anzi, difficile non direi proprio. Lungo. Faticoso, forse. Ma non complesso in senso assoluto. È come se seguiamo un po’ il flusso, da un dettaglio passiamo a un altro, e poi un altro ancora… non ci si ferma mai, non troviamo impedimenti. È solo… lungo, perché i dettagli sono tantissimi. Comunque, tornando alla domanda precedente, forse il trucco è proprio non crearsi da soli le pastoie. Abbiamo un’idea generale, questo te l’ho detto, ma non è un’idea fissa e immutabile, o comunque troppo precisa. È qualcosa che ci da una direzione, ma che può modificarsi e piegarsi alle necessità creative. Ci deve permettere di lavorare bene, non impedirci di farlo.”

Prima di chiudere vorrei capire come pensate di promuovere quest’album, in questo periodo…
“Ovviamente la speranza è di portare ‘Omega’ in tour. Appena si potrà, lo faremo. Per ora, come ti ho detto, ci sono degli accordi, abbiamo già firmato per qualche festival, ma non so se si riuscirà a partecipare a questi impegni che ci siamo presi. Possiamo solo sperare e vedere come andrà, non ho molto altro da dire. Possiamo solo essere pronti quando si potrà, e ovviamente mantenere le parole che ci siamo spesi già adesso.”

Vorrei chiudere con una cosa che mi incuriosisce da sempre… È molto difficoltoso coverizzare gli Epica, parlo da musicista amatoriale. Una vostra canzone o la sai riproporre veramente bene, o è meglio lasciare perdere. Ma a te capita mai di ascoltare giovani gruppi alle prese con le vostre canzoni? Che pensi quando ti capita?
“Beh, impossibile non sentirsi fieri quando qualcuno suona un pezzo che hai scritto te. Lo stesso quando qualcuno ti scrive dicendoti quanto gli sei stato di ispirazione. Immagino che l’orgoglio sia l’unico sentimento possibile in questi casi. Poi ti devo dire che mi è capitato di sentire riproposizioni di nostre canzoni, magari anche non perfette tecnicamente… ma mi sono piaciute la maggior parte delle volte. Se c’è la passione – e quella la senti – anche se i mezzi non sono quelli della band originale, il pezzo prende vita da sé lo stesso. È questo che mi piace sentire da una cover ben fatta. Davvero, mi è capitato anche di avere la pelle d’oca su alcuni passaggi di canzoni nostre fatte da altri… ed è bello così!”.

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