ScreaMachine – Tornare alle radici del metal

Il 24/05/2021, di .

ScreaMachine – Tornare alle radici del metal

Un estroverso Francesco Bucci, bassista degli Stormlord, ideatore degli Screamachine all’esordio, rilassato e pieno di voglia di parlare, ci racconta online una avventura di puro heavy metal. Inizia questo nuovo progetto e appare chiaramente gasato di suonare la musica della sua adolescenza, forte però di un gruppo di collaboratori che sanno il fatto loro.

La tua band Stormlord è scura, più estrema, qui invece abbiamo un metal diverso come genere, ma anche più allegro e arioso. C’è molta differenza di atmosfera. Una tua attitudine non ancora messa in campo fino ad oggi?
Fare le cose in modo diverso da come si è abituati è secondo me il motivo per cui si iniziano dei progetti nuovi. Di base gli ScreaMachine nascono proprio da questa mia esigenza. Se qualcuno si ricorda di me è grazie a Stormlord con cui sto dal ’98, presente in tutte le release, componendo vari pezzi, e scritto praticamente tutti i testi. Ad un certo punto noi anzianotti iniziamo a tirare le somme; mi sono sentito molto contento e fortunato, essendomi tolto delle belle soddisfazioni, ovviamente nei limiti di quello che è la nostra realtà, però c’era una cosa che ragionando mi bruciava moltissimo, ovverossia non aver mai suonato in una band dedicata a quel genere che poi è quello che mi ha portato al metal, cioè quella musica che mi ha cambiato la vita, che mi ha dato tantissimo. Io ho iniziato a sentire Heavy Metal nei primissimi anni novanta; il primo disco in assoluto è stato ‘Kill’em All’, poi naturalmente Iron Maiden, Saxon, Accept, Warlock. Mi piace anche il metal ottantiano più particolare, tipo i Taramis [gruppo australiano, ndr.], gli Obsession [americani, ndr.]. Insomma ero e sono un grandissimo appassionato di questo sound che è rimasto sempre il mio primo amore. Nel corso della vita ho ampliato i miei gusti e in quanto bassista, per l’amore che ho per il strumento, sono portato a guardare anche al di fuori del metal: mi piace il Funk, il Soul, ma anche la musica elettronica. Di solito vado per addizione, sono nato col metal classico, sono impazzito per quello estremo, anche perché forse gli anni novanta hanno segnato il momento più prolifico sia del Death che del Black, poi ho iniziato ad aggiungere altre varie influenze, però i Savatage e i primi Manowar mi sono sempre rimasti nel cuore. E ScreaMachine, ci tengo a dirlo, è frutto di pura passione perché nasce sostanzialmente da questa mia urgenza.

Guardando ai musicisti che la compongono, gli ScreaMachine appaiono un supergruppo, dove forse il meno famoso è il cantante.
Ho avuto la fortuna di alzare il telefono e di chiamare un po’ di amici conosciuti in tutti questi anni sulla scena, e, come sempre, quando tu le cose non le programmi, poi vengono bene. Il primo che ho chiamato è stato Valerio Caricchio il cantante, chiamato “The Brave” che è un amico mio proprio d’infanzia nonché una delle persone più metal che conosco, nonché un cantante in possesso di una voce particolare, cosa che volevo perché cercavo un approccio al metal non tanto Power, o classico perfetto alla Kiske o Kotipelto, singer stupendi, ma un qualcosa di scorretto e di pericoloso, un Paul Di’Anno, crudo, quel tipo di voce, il James Hetfield di ‘Kill’ Em All’, non so se mi spiego. Avevo inoltre bisogno di un chitarrista e ho fatto uno squillo ad Alex Mele dei Kaledon, band storica della scena romana, persona che io conosco da tantissimo tempo che suona Power Metal in qualche modo vicino a quello che volevo fare, e mi sono detto che lui sicuramente avrebbe saputo consigliarmi, più in grado di me nel valutare persone che possono aiutarmi, visto che io sono al dentro di più nella scena estrema, e lui mi disse: “Sì, sì,……io!”. E allora “OK!”. E poi tramite lui a domino sono entrate altre persone che io conoscevo già però con cui non avevo avuto modo di suonare, quindi Paolo Campitelli che nei Kaledon suona le tastiere, e da bravissimo strumentista con noi suona la chitarra. E Alfonso Corace detto “Fo”, che è un bravissimo batterista, oltre che un eccellente chitarrista, qui sono tutti bravi a suonare a parte me, ed è noto per i suoi trascorsi coi Lunar Sea, e con gli Airlines Of Terror. Quindi mi si è composta una band in cui tutti hanno lo stesso desiderio mio di entrare in contatto con le radici che ci hanno portato ad amare questo genere. Ormai le band esordienti non sono tali se non descrivono il loro genere con almeno quattro/cinque aggettivi, epic gothic Avantagarde folk; io volevo suonare “Heavy Metal”, proprio un disco di “Heavy Metal”, non Power Metal, non Speed Metal, non Avantgarde metal. Questa è stata l’idea da cui è nato tutto. Poi negli Stormlord ci sono molti rimandi heavy, e per essere estremo c’ha un approccio molto “metallone”, ma nel caso degli Screamachine è tutto più evidente.

Il disco è quindi stato fortemente voluto da te, ma è bello che sia venuto bene con la partecipazione attiva di tutti alla composizione, anche se i maggiori scrittori siete stati tu e Alex.
È partito come un mio desiderio, e molto velocemente si è trasformato in qualche cosa che ha coinvolto tutti i musicisti come se avessi captato delle loro istanze, e infatti sono stati molto partecipativi e non ti nascondo che anche a livello umano, sebbene già ci rispettassimo, sono nate delle bellissime amicizie. Quindi ci siamo trovati bene in tutto e assolutamente l’idea è quella di portare avanti l’esperienza come band a tutti i costi. Ci divertiamo tantissimo come proprio fossimo tornanti ai 14 anni, con la differenza che abbiamo le famiglie sulle spalle (ride, ndr.). Uno dei miei riferimenti nella musica, ma non per fare lo spocchioso, è Miles Davis, che era un genio assoluto ed io naturalmente in alcun modo oso paragonarmi a lui, però una cosa che piaceva moltissimo di lui era che pur essendo un bravo musicista ma non il miglior trombettista tecnicamente, e con una teoria incredibile e sperimentatore, aveva una capacità che gli riconoscono tutti, quella cioè di trovare musicisti di valore senza avere paura del confronto, anzi se erano bravi li instradava. Con lui è nato Chick Corea, John Coltrane, John McLaughlin. Evitando paragoni, io lavoro qui con musicisti che suonano meglio di me, ma è per dirti che mi piace molto questo tipo di relazione. Il progetto nasce da una mia idea e mi sento il “direttore artistico”, ho messo sempre in chiaro che mi piace avere l’ultima parola dal punto di vista stilistico. Mi piace avere un’unità di stile ben precisa, per il resto ho voglia di esplorare il tipo di sound, e più contributi possono essere dati, più sono contento. Troppa democrazia in una band non funziona, però quando lavori con gente con cui ti stai capendo, dove le linee guida sono chiare, dato che le persone con cui ho il piacere di suonare sono ottimi musicisti, non c’è nulla di meglio che scecherare le idee. Infatti su tutti i pezzi che ho scritto ci hanno lavorato loro, nell’arrangiamento e con le loro parti, e alla fine anche nella scrittura abbiamo fatto quattro pezzi io, quattro Alex, un pezzo Paolo che essendo l’ultimo arrivato purtroppo si è trovato a contribuire poco, e un pezzo l’ha portato Valerio. Ma tutti hanno messo bocca un po’ su tutto, basta dirti per esempio che le linee melodiche della voce le ha composte al 95% Valerio, idem i testi.

Venendo al cantante Valerio, trovo che sia particolare. Prima di tutto perché timbricamente non assomiglia a nessun’altro, e secondo poi questo fa diventare il gruppo riconoscibile fra i tanti. E questo sembra farlo divenire l’anima dell’album.
Devo proprio dire che è stata una mia scommessa, nel senso che bene o male tutti noi abbiamo trascorsi in altri gruppi, mentre Valerio, mio coetaneo, lo conosco dai tempi della scuola, per una serie di motivi contigenti, pur avendo fatto i suoi EP con gli Agony And Ecstacy, esperienze con altri gruppi, si è dedicato alla cover band dei Black Sabbath, non si è inserito in modo pieno nella scena metal. Ma io, innanzitutto, lo considero come uno dei migliori frontman sulla piazza, e con ScreaMachine si dà l’occasione, non a lui di venire fuori, ma di fa vede’ alla scena metal che cacchio di frontman si stavano perdendo. Perché Valerio ha una straordinaria capacità interpretativa ed attoriale, oltre ad essere una persona di una simpatia strabordante, in più, e questa è proprio la scommessa che io spero di aver vinto, usare questo tipo di voce che è piacevolmente sgraziata ci riconnette un po’ di più a quando l’Heavy Metal veniva urlato; ecco il perché del moniker “ScreaMachine”. È un ritorno a quando si badava meno alla potenza puramente tecnica, in un periodo in cui si aveva voglia di esprimere il “Metallo”, e la voce di Valerio mi dà questa emozione. Anch’io ritengo che la sua voce sia molto particolare, tant’è che all’inizio il mio dubbio era su quanto potesse piacere, perché quando vai sul clone di Kiske o Kotipelto, se ci riesci, lì stai interpretando uno standard abbastanza rodato; certo magari avercene cantanti così, però quando scommetti su una situazione più caotica, più anarchica e personale, allora speri che piaccia. Avremmo fatto un buon lavoro ma non ci sono state praticamente critiche, qualcuna sì, ma di gente che preferisce altri generi, per il resto abbiamo ricevuto un sacco di complimenti, per la sua personalità e sua interpretazione, in più è bravissimo a scrivere tutte le linee perché secondo me ha un eccellente gusto melodico e scrive dei testi molto interessanti. Sono contento di aver fatto scoprire per quanto possibile, un musicista.
Ad ogni modo è un cantante che risulta perfettamente integrato nel contesto e presenta anche momenti di eleganza.
Sì, sì, è un discorso di stile, cioè non è il solito singer Heavy super-inquadrato. È uno che non ha paura di andare sopra le righe. L’apprezzo moltissimo.

Tornando all’idea del supergruppo, quanto si sono limati tutti e quanto sei capo tu?
Io sono un po’ quello che vuole avere un ruolo di coordinamento dal punto di vista dell’unitarietà del prodotto. In realtà ci siamo divisi molto bene subito i compiti, proprio perché siamo tutti musicisti con esperienza, quindi i nostri errori abbiamo già fatto in tempo da decenni a farli, sappiamo come si porta avanti un gruppo. E ognuno di noi ha caratteristiche particolari, io e Valerio siamo un po’ più i comunicatori; Paolo Campitelli è il produttore del disco e quindi è un po’ un nerd che si occupa di tutto ciò che riguarda il suono. Alex è il puntiglioso che segue tutte le scadenze. Sin da subito ci siamo trovati i ruoli e io ho lasciato massima libertà dato che mi rendevo conto che più si andava avanti e meno rimaneva progetto “mio” visto che era qualcosa che condividevamo tutti con grande entusiasmo. E’ rimasta una sorta di gerarchia, ma non a livello di capo; per esempio sulle scelte di suono do dei consigli a Paolo, ma sempre a supporto, e poi lui si occupa di tutta la parte dei social-media perché è un ingegnere: io dico “mi piacerebbe che ci fosse questo” , però ogni soluzione che lui mi propone io non m’azzardo a parlare. Insomma c’è molta armonia. La cosa che secondo me ha sancito quest’armonia è stato da parte mia subito mettere in chiaro cosa avessi in mente; in quel momento se aderivi al progetto vuol dire che ti interessava e perciò alla fine era chiaro che si avesse entrambi le stesse finalità.

Avete quindi cominciato quasi per gioco e poi con la Frontiers è diventata una cosa seria.
Avendo tutti delle vite parecchio impegnate con preponderanza di situazioni extramusicali, quando si lavora sul musicale lo si fa sempre in maniera seria. Che sia una cosa che suono solo io, o che sia Stormlord che deve andare in giro, io cerco sempre di proporre qualcosa che mi soddisfi al 100%. Io più che “gioco” direi “Passione”, quando abbiamo iniziato ero molto pessimista sulla possibilità di essere pubblicato sia perché conosco abbastanza bene il mercato discografico, sia perché il genere espresso non rappresenta la cosa più cool del momento. E’ però anche vero che si tratta di un genere immortale come l’Hard Rock, non sarà il genere più ascoltato dai teenager ma è talmente classico che avrà sempre la sua nicchia. Il disco era terminato, almeno nella sua prima parte, prima del contratto con la Frontiers, e appunto abbiamo avuto il contratto facendo sentire la versione del master. Quindi abbiamo veramente fatto quello che pareva a noi, e in questo è stato importante l’apporto di Paolo perché essendocelo registrato noi, davvero potevamo direzionarlo verso gli obbiettivi che avevamo in mente. Se ScreaMachine non vi piace la colpa è solo nostra, non c’è stato un fonico che ha sbagliato, non c’è stato un musicista esterno. Dopodiché, con questo prodotto in mano, visto che la sinergia era forte fra tutti, e i pezzi ci soddisfacevano, allora ci siamo detti: “Vediamo se fosse interessato qualcuno, e sennò in qualche altro modo lo proponiamo”. Con Frontiers nel corso degli anni ho avuto dei contatti e quindi avevo modo di proporlo anche a loro, ma non mi aspettavo assolutamente una tale risposta perché sono troppo importanti, ma in quel momento avevo in mente che magari potessero indirizzarmi verso una etichetta più piccola. Invece con mio grandissimo piacere e sorpresa, dopo poco aver ascoltato il promo, hanno comunicato che era proprio il tipo di band che in quel momento stavano cercando. Non si staccano certo dall’AoR, e dal melodic rock, ambiti in cui la Frontiers è assolutamente un gigante, però Frontiers negli ultimi anni sta diversificando parecchio. Avevano i Primal Fear, hanno da poco pubblicato i Rising Steel molto Classic Metal. Addirittura hanno prodotto una band Death Metal, se non ricordo male. Espandendosi sono rimasti interessati anche a noi; vedi, a volte è la casualità che t’aiuta. Nel momento in cui ci hanno fatto la loro offerta ho stoppato ogni altro tipo di ricerca, perché oggettivamente una etichetta migliore di Frontiers per me era difficile immaginarla; voglio dire: hanno i Whitesnake.

Il lavoro si basa sui ritmi cadenzati e non sulla velocità Power Metal. Questo per non assomigliare ai Kaledon?
Questo faceva proprio parte del mio volere iniziale. Volevo proprio pounding metal, un approccio molto all’Accept. Abbiamo dei pezzi un pochino più veloci, come ‘The Metal Monster’ che ha una bella cavalcata all’Iron Maiden, però me la sentivo più sul mid-tempo alla Ronnie James Dio, nello stile anche dei Savatage, i quali raramente corrono. Vuoi anche per la mia formazione Stormlord, che è basata sulle melodie abbastanza epiche nonostante vadano molto veloci, ho preferito l’atmosfera perché solitamente la musica epica è bella ariosa. A me piace anche molto il Power, soprattutto quello tradizionale tedesco, quindi ti parlo degli anni ottanta con gli Helloween, i primi Running Wild; ti parlo dei Rage fino a ‘The Missing Link’ / ‘Black In Mind’. Non è al momento comunque una direzione che ho intenzione di battere. Però questa è solo la caratteristica del debutto. Mi piace l’idea, con questo album, di portare quella sonorità Heavy Metal nel futuro, dato che in nessun modo voglio che ScreaMachine suoni come una tribute-band, questo penso che si capisca anche dalla produzione che abbiamo scelto; noi non volevamo suonare vintage. Ci sono ultimamente validissime band che scelgono una produzione quasi tipo ‘Killers’ o ‘The Number Of The Beast’, io no. Se siamo nel 2021 e abbiamo la possibilità di far suonare le chitarre molto forti, la batteria bella brutale, usiamole. Io ho voluto partire da Accept, Priest, Saxon; le ispirazioni sono quelle ma le abbiamo fatte suonare come sappiamo fare adesso nel 2021.

Ed in effetti suona moderno. E così seguendo questo concetto avete due chitarre e niente tastiere.
Nelle due band principali di origine, di tastiere ce ne sono a iosa. Invece c’era la voglia di tornare “to the roots” proprio basso, due chitarre, batteria e cantante. In realtà delle tastierine nascoste ci sono, ma è più un utilizzo atmosferico, qualche piccolo pad, qualche effettino alla Ozzy. Per esempio su sul ritornello di ‘Silver Fever’ ci sta un’arpeggiatura, ma sono abbellimenti e siccome Paolo è un tastierista oltre che un eccellente chitarrista, avendolo in casa, ci ha fatto queste raffinatezze. Quando comunque penso al sound metal classico, penso ai Priest, esattamente il tipo di formazione che abbiamo. Su You Tube è disponibile la nostra cover di ‘Leather Rebel’ per tributare una delle nostre maggiori influenze. È una canzone che viene spesso sottovalutata e che io personalmente invece ho sempre amato tantissimo.

Parlando delle canzoni, fa effetto ascoltare ‘Mistress Of Disaster’ che hai composto tu. Possiede una verve “Happy”, forse il brano più allegro dell’album. E’ molto lontana dalle atmosfere Stormlord e con una certa vicinanza ai Gamma Ray.
In realtà sono stato molto ispirato dall’Hair Metal, avevo in mente i Dokken. A me piace anche la scena Hair Metal che ho suonato nelle cover band. Quindi Moltey Crue, Skid Row, Cinderella, Stryper. ‘Mistress Of Disaster’ ha una storia strana ed è uno dei brani a cui sono più legato. Nasce nel 2004 circa, quando ero impegnantissimo e non pensavo altro che a Stormlord. Ma avendo avuto sempre gusti eterogenei, ad un certo punto mi è saltato questo refrain in testa, ed è una tra quelle dove le linee vocali le ho scritte io. A quel tempo registrai un piccolo demo per appuntarmelo perché mi piaceva proprio tanto, senza però sapere cosa farci, e poi è rimasta là sul computer. Poi quando gli ScreaMachine hanno iniziato a scambiarsi i demo, abbiamo raggiunto la tracklist definitiva del disco e per me era chiusa. Questa cosa è avvenuta prima dell’estate. Ci siamo detti che ci saremmo risentiti a settembre, per iniziare a lavorare sui demo per registrare. Durante l’estate facendo una bella pulizia del computer, è rispuntato fuori questo pezzo e mi sono detto: ‘Mi piace davvero tanto, gli do una ripulita, lo rendo un pochino più pesante, poi lo propongo ai ragazzi’. In realtà dove ho scritto musica, ho sempre cercato di rendere i lavori abbastanza variegati, mi piace che il gruppo abbia personalità e sia riconoscibile, però cerco sempre di rendere specifici i pezzi, lo faccio anche con gli Stormlord. E credo che anche in Screamachine sia successa la stessa cosa. E siccome tanto dovevamo rendere conto solo a noi stessi ho detto agli altri: “Ragazzi io c’ho sto pezzo a cui tengo tantissimo, secondo me è una bomba, troppo carino, mostra la nostra faccia hard rock, ci vogliamo lavorare?” E loro: “Ma sì, dai è divertente, e gli dà al disco un senso diverso”. Così Valerio mi ha aggiustato le linee vocali, Alex ha fatto un grande assolo anni ottanta e la cosa è uscita fuori sfiziosa; dà al disco un po’ di respiro. E’ mia intenzione esplorare ancora questo lato, magari una canzone a disco; un pezzo un po’ più “party” non mi dispiacerebbe. Anche quello fu un aspetto importante del metal anni Ottanta.

In questo avete seguito la modalità anni ottanta in cui le canzoni avevano caratteri diversi in un unico disco, lo hanno fatto i Judas con canzoni più dure e alcune meno seriose, ma lo facevano parecchi gruppi.
Se c’è una eterogeneità di fondo è anche perché ci sono più teste che hanno composto il tutto, come succedeva per i Maiden. Ma è anche una cosa che mi ero riproposto io. I grandi dischi del metal che ci hanno accompagnato da ragazzini erano proprio belli anche per quello che dici tu. Se prendiamo ‘The Number Of The Beast’ va a toccare nei suoi brani varie sfaccettature. In ‘ScreaMachine’ si passa da ‘The Human God’ che ha un approccio un po’ più duro, a modo suo quasi thrash, a ‘The Metal Monster’ che vedo come il pezzo Maiden della situazione. Passando a ‘Wisdom Of The Ages’ che è più atmosferica, più elegante. E quindi appunto ad una ‘Mistress Of Disaster’. Di base però rimaniamo noi.

‘Wisdom of The Ages’. Perché proprio qui gli ospiti Herbie Langhans (Firewind/Avantasia) e Steve DI Giorgio ( Sadus/Death/Testament/Soen) ?
Su disco abbiamo avuto vari guest. I due che hai citato sono quelli internazionali, è stato possibile raggiungerli dopo che abbiamo avuto l’incontro con Frontiers. Noi demmo loro un master semidefinitivo, e parlando con Elio Bordi degli ultimi miglioramenti da fare, siccome a lui la canzone di Alex ‘Wisdom Of The Ages’ piaceva molto, trovandola particolare, e piace molto anche a me, abbiamo cominciato a fantasticare che sarebbe stato bello aggiungere un duetto fra Valerio ed un altro cantante. Però dicevo io che non avrei voluto una voce troppo classica, troppo cristallina, ed è venuto fuori il nome di Herbie, che apprezzavo, apprezzando anche il lavoro che lui ha fatto con altri. Lui è un po’ uno Jor Lande, ha questa bella voce virile, maschia, vissuta, e ci siamo trovati d’accordo con Elio che sarebbe stato fichissimo. E poi sempre parlando di un’atmosfera particolare, io ho iniziato a fantasticare sul basso fretless. Io non sono un bassista fretless, ma suonare con Steve appariva come una cosa eccezionale a una persona come me, che è cresciuta con i Death e con i Sadus. La Frontiers ci ha messo in contatto presentandoci. Devo dirlo, ho incontrato due personalità estremamente professionali e straordinarie, si sono subito interessate, ed in particolare Di Giorgio è stato un gentleman. Steve ha suonato su dischi colossali eppure subito dall’inizio si è posto in una maniera totalmente tranquilla, simpatica, umile, e mentre chattavamo mi scrive: ‘Dai mandami una base, che registro qualche cosa’, cioè tutto super-spontaneo. Io credo che sia rimasto anche molto contento perché da lui ho chiesto qualcosa che non fosse la solita richiesta; essendo in possesso di una tecnica straordinaria gli chiedono sostanzialmente sempre di suonare alla velocità della luce. Io sono rimasto fermo in quella che era mia idea iniziale. In quella prima parte del pezzo, basso e batteria, avevo pensato che sarebbe stato bello un arrangiamento fretless, che la rendesse elegante. Lui ha chiesto se volessi scale e ho risposto che decidesse lui, ma non c’era bisogno di scale. Posso dire io a Di Giorgio se va bene o non va bene? Magari non troppo tecnicismo, che se la devo rifare dal vivo non la so fare [ride, ndr.]. E lui mi ha mandato questo arrangiamento pieno di slide, appunto che mette molto in luce la tonalità. E qualche giornalista mi ha detto, “Ah! Ma son rimasto un po’ deluso perché mi aspettavo di sentire assoli di basso”. Per me la cosa più importante è sempre la forma canzone, che essa sia bella. Non è che se uno ha Malmsteen ma sta facendo un pezzo ambient, per forza ci devo mettere le scale diminuite. Se uno accetta di partecipare vuol dire che gli piace e ha capito il pezzo. Steve è stato straordinario in questo. E anche Herbie che ha fatto una performance eccezionale.

‘Darksteel’ chi l’ha scritta? È il pezzo più variegato e complesso del disco che vedo molto teutonico, un insieme di Accept, Blind Guardian, Gamma Ray.
L’ho scritta io. Quando senti dei riff intrigati, paradossalmente sono io. I due chitarristi sono più “wild”, io invece che vengo da anni di estremo ho una concezione del riffing un pochino più complessa, poi loro tecnicamente mi stracciano, io con la chitarra strimpello. ‘Darksteel’ è uno dei primi brani che ho scritto e lo considero come quello epico del disco, dove suono io c’è sempre qualche cosa di epico perché è una caratteristica della musica che mi piace tantissimo. Se mi dai i primi quattro dei Manowar impazzisco, poi ‘Crystal Logic’ dei Manilla Road, per non parlare del Black Metal dei Summoning o dei Falkenbach, roba di ‘sto genere. Con ‘Darksteel’, all’inizio c’erano nella mia testa un po’ di Accept ed un po’ di Ronnie James Dio. Poi componendola l’ho interpretata come quei brani dove la struttura non era mai certa, partivano in una maniera poi sviluppandosi diventavano un’altra cosa, un po’ una forma free. Risulta uno dei meno immediati del disco, richiede un po’ più ascolti. Ne sono legato perché rappresenta il Francesco epico. E sono molto onorato del guest che vi abbiamo inserito: Massimiliano Pagliuso chitarrista dei Novembre e degli Oceana. Lo conoscevo da vent’anni perché faceva il fonico nello studio di Giuseppe Orlando dove ho registrato praticamente tutti i dischi Stormlord, ma dopo questa collaborazione io suono il basso per i suoi Oceana. Mi ha fatto molto piacere avere un chitarrista così elegante, infatti gli ho voluto riservare questa canzone un pochino più oscura perché nella mia mente poteva essere più idonea al suo stile solista.

Nel disco vi sono più ospiti alla chitarra. Ma non sembra una scelta così necessaria data l’ampiezza sonora degli stili di Alex e Paolo. Come avete deciso che doveva essere così?
Sempre spontaneamente. Comunque mi prendo tutte le colpe del caso. Essendo un progetto nato per passione, quando ho visto che le cose stavano filando, i pezzi nati ci piacevano, come band iniziavamo ad essere affiatati, m’è venuta l’idea matta, ispirata un po’ dal singolo di Dio ‘Stars’ [e comincia a canticchiarla, ndr-], di avere quasi per ogni song un guitar hero della scena metal italiana. Ne ho parlato con gli altri ragazzi che hanno detto “perché no?” Ma questo vuol dire avere a che fare con musicisti esperti, perché Alex e Paolo sono persone tranquille, anche loro professionisti, pur non vivendo di musica. Quindi abbiamo contattato Mularoni dei DGM, io ho portato Angelini degli Stormlord perché volevo la firma del gruppo a cui ho dato così tanto. Poi Francesco Mattei dei Noveria che è amico di Paolo. Tutti sono stati molto entusiasti perché, vedi, alla fine partiamo tutti da là, dall’Heavy Metal classico. Anche persone che pensi abbiano una formazione diversa, dagli Iron Maiden o dai Priest ci sono passati. E quindi quando hanno sentito questo tipo di musica hanno detto “ma sì, mi piace quest’idea”. E poi credo che abbiano arricchito molto le canzoni perché non hanno fatto una gara di sboronaggine, ma hanno suonato assoli melodici, canticchiabili. Il loro contributo ci è arrivato prima del contratto con Frontiers. Noi siamo andati già forti di queste collaborazioni. Io sono stato contentissimo che la loro fiducia verso ScreaMachine sia stata ripagata con la pubblicazione tramite una etichetta così che farà sentire a più gente possibile anche la loro partecipazione. Tendenzialmente per il prossimo disco non sarà così, anche se a me piace sempre avere qualche guest, ma certo non in maniera così invasiva. Adesso lasceremo spazio ad Alex e Paolo.

Valutando i due chitarristi appunto, come vedi le caratteristiche di ognuno?
Loro sono molto diversi. Stesse radici ma due stili differenti, il che è ottimo. Tecnicamente sono bravi tutti e due. Alex è un chitarrista più melodico, molto attento alle armonizzazioni, meno shredder. Paolo, forte anche della sua esperienza come tastierista, ha grande conoscenza teorica, mentre Alex va un po’ più ad orecchio, a feeling. Paolo è lo shredder della situazione, è stato per me una grande sorpresa perché finora non aveva avuto tanta possibilità di esprimersi. Quando Alex me lo ha presentato mi ha detto che Paolo amando tantissimo lo strumento chitarra avrebbe soddisfatto le aspettative. E quando l’ho sentito, mi aspettavo un buon risultato, ma non immaginavo che fosse così bravo. E sono rimasto ancora più colpito dalle prove in sala che siamo riusciti a fare quando abbiamo consegnato il mix, prima delle chiusure COVID. Bravissimo anche a reinterpretare gli assoli dei guest. Alex invece cerca più l’approccio alla Brian May. Vi sono parti doppiate che fanno bene insieme, due ottimi ritmici. Forse quello che la gente non sa è che Alex è uno dei ritmici più bravi con cui io abbia mai lavorato. Io credo di aver lavorato con signori ritmici, ed è il chitarrista ritmico che ti fa veramente la band. Alex ha una grandissima mano destra e nel nostro piccolo è il nostro Jon Schaffer, e visto che uno l’hanno arrestato, dico “ci sei rimasto tu” [ride, ndr.]. Può tranquillamente prendere il suo testimone.

La ritmica è molto Judas e Accept, di chi è la responsabilità maggiore, considerando che tu fai parte della sezione ritmica?
Io ho dato molto questa impronta bella terremotante. Il basso è uno strumento particolare, in parte sei batterista, in parte sei chitarrista. Soprattutto per quello che mi riguarda visto che non sono certo un virtuoso, quindi tendo a cercare molto il groove, a cercare l’incastro nella canzone. Mi faccio sentire magari solo quando voglio fare una svisata. Forse questo approccio l’ho suggerito io, ma tutti mi sono venuti tranquillamente dietro, per i pezzi miei in particolare. In questo ci ha dato una grande mano Alfonso il batterista, il quale è un altro polistrumentista, batterista eccellente ma anche chitarrista eccezionale, anzi, forse il suo strumento principe è la chitarra. Lui ha molto ben chiara la separazione degli strumenti, e c’è una grande cura nelle cadenze, del groove, e ciò ci riporta agli albori del genere dato che i Judas Priest in questo erano maestri.

Se tornasse il tempo dei live, inizieresti con Stormlord, oppure con ScreaMachine?
Assolutamente ScreaMachine. Io mi sono focalizzato su questo progetto e in questo momento brucio per portarli sul palco, del resto è ovvio che il tipo di musica è da stage. Quando è iniziata questa avventura nessuno si sarebbe immaginato tale situazione, e oggi non ti parlo di live e neanche sto cercando perché sinceramente proporre date e doverle annullare….bè io intenzione di suonare quando sarà possibile farlo in sicurezza nostra e del pubblico, senza la spada di Damocle. Noi abbiamo ritardato l’uscita del disco perché essendo una band al debutto è difficile farsi notare. Adesso cerchiamo di essere molto attivi sui social. Frontiers ci permette di fare molta promozione. Per adesso quello che sto reputando come soluzione migliore è scrivere, scrivere, scrivere! Stiamo scrivendo molti pezzi, abbiamo già l’ossatura del secondo disco. Senti, nel momento in cui non fosse possibile tornare a suonare, anche se le cose sembra stiano migliorando, registreremo il secondo disco non fra tre anni ma fra uno.

Ci aspettiamo un disco che non sia inferiore di livello.
Io faccio uscire solo se ho qualcosa da dire e quando mi soddisfa al 100%, altrimenti non avendo nessun obbligo non faccio uscire nessun disco. L’ho fatto sempre con Stormlord, quindi ogni disco della band è meglio del precedente, anche se col senno di poi individui i tuoi preferiti; farò lo stesso con Screamachine. Per il momento i rough-demo mi esaltano tantissimo, non oso immaginare quando li avremo lavorati tutti per bene. La cosa bella è sempre sfidarsi e dare il 110 %.

Ma tornando all’aspetto live, il cantante sembra grintoso e tonico, come lo vedi dal vivo?
Riuscirà sicuramente. Naturalmente passerà da una severa sessione di prove. I cantanti in questa situazione di blocco concertistico soffrono più di tutti perché io mi invece posso mettermi là col basso e suonare. La musica è arte ma è anche palestra, ha a che fare con la muscolatura, ma per i cantanti si va oltre, soprattutto quando si cantano generi estremi e urlati. Bisogna esercitarsi. Durante le prove prima che chiudessero tutto, lui è stato abbastanza micidiale. Poi abbiamo intenzione di supportarlo con i cori. Lui assolutamente regge botta. Sarà nostra cura arrivare tutti belli preparati. Anche io non suono in sala prove da Novembre per la cover ‘Leather Rebel’. Dovremo tutti toglierci la ruggine.

Visibilità nazionale e internazionale del disco appena uscito? Qualche feedback?
I feedback che ci sono stati vengono dai social. Con Paolo abbiamo curato molto tale approccio. Dando molta ciccia, stando appresso ai contenuti, cercando di trasmettere quello che c’è dietro la band. La visibilità è stata eccellente, e devo per forza riconoscere che lo è stata grazie a Frontiers che ha organizzato per una band al debutto una promozione che mi ha permesso di parlare molto. Sono settimane che sto facendo interviste, non sono con l’Italia dove speravo ci fosse un minimo di interesse, ma anche con l’estero, America, Inghilterra, Francia, Spagna. Da questo punto di vista siamo stati molto fortunati. Frontiers provvede a mandare una sorta di rassegna stampa di tutte le recensioni che escono. Anche qui sono rimasto molto sorpreso perché sai, non sapevo come sarebbe stato accolto un disco che si rifà ad un sound alla fine datato; anche se cerco di farlo suonare moderno l’ispirazione è però datata. Evidentemente abbiamo toccato una corda scoperta. La cosa che mi ha fatto piacere leggere, il leitmotiv di molte recensioni positive, è che mancava un gruppo che si rifacesse alla versione più pura dell’Heavy Metal. E’ bello perché ti senti compreso, e dici “Ehi, io quello volevo fare! Meno male, è andata! L’hanno capito”. Ovviamente un ascoltatore che si sente solo gli Alcest e gli Opeth, difficilmente sarà interessato agli ScreaMachine. I feedback quindi mi hanno colpito, visto che la media di voti è tra il sette e mezzo e l’otto, per un genere così di nicchia per una band al debutto. Il merito è dell’etichetta perché nonostante il merito nostro per la ciccia che abbiamo messo nel disco, senza di loro non ci avrebbe filato nessuno anche mantenendo lo stesso livello qualitativo.

Chi vuole supportare la scena dovrebbe aiutare le band, non cercare di entrare gratis alle serate o farsi regalare un cd.
Siamo sommersi da fiumi di musica, e sembra quasi che la musica nasca per magia, in realtà se la gente ha piacere a sentirci, cerchi in qualche modo di supportarci ma non perché devo uscire in limousine, ma semplicemente perché se una etichetta che ha puntato su di noi non ha nessun riscontro economico, ScreaMachine non farà un secondo disco. A te questa cosa sembra ovvia ma parlando con la gente pare che la musica venga data per scontata. Non supportare farà morire le realtà, cerchiamo di non far morire questo movimento. Date un segno alle etichette coraggiose come Frontiers la quale, nonostante abbia Toto, Whitesnake, ha ancora la voglia di puntare su dei ragazzi di Roma che fanno Heavy Metal. E’ inutile parlare di quanto sono “true” io e “false” tu, quando poi appena esce il disco lo vogliono in regalo. Il costo di un cd veramente, come tre birre, ti cambia la vita così tanto? Non è questione se ne ho bisogno io. E’ un dare senso al progetto.

Escono molti bei dischi ma si vende troppo poco. Che fate a fare i dischi?
Non ha alcun senso. Sono sereno anche se ovviamente sono molto attento alle critiche. Conosco i punti deboli e i punti forti del mio songwriting e di quello della band. Ci siamo sudati ogni singolo secondo di suono che viene fuori e ce lo siamo pure prodotti. Io personalmente ho un lavoro che mi prende tutta la settimana e ho una famiglia con una figlia di due anni e mezzo che dorme di là. E’ molto tosto riuscire a mandar avanti questo discorso. Quello che facciamo non ha perciò alcun senso economico, né di tempo, e non riempi gli stadi. Devo dire che con Stormlord ho avuto dei bellissimi momenti, abbiamo avuto anche il privilegio di suonare in degli anni in cui era ancora possibile riempire le arene col metal e abbiamo potuto suonare in questi grossi festival con gli Slayer, i Testament, i Carcass. Speriamo che quei tempi tornino, io non lo so. Con ScreaMachine di certo non punti né alla fama, né alla gloria, né ai soldi. Lo facciamo perché ci piace; è una urgenza che noi abbiamo, ci piace esprimerla e abbiamo i mezzi per farlo. Punto e basta!

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