Eldritch – Il Vuoto Interiore

Il 21/12/2023, di .

Eldritch – Il Vuoto Interiore

A due anni da ‘EOS’, dopo aver assoldato un nuovo frontman dato l’abbandono dello storico Terence Holler, il sestetto toscano degli Eldritch è uscito lo scorso 17 novembre con il nuovo ‘Innervoid’, ed i riscontri sono stati fin da subito più che positivi (nella recensione del disco, Gianfranco Monese non ha avuto dubbi nel definirlo album dell’anno in ambito hard & heavy). E come si è riusciti, in così poco tempo, ad avere tutte queste energie per trovare un nuovo cantante e, al tempo stesso, scrivere materiale all’altezza del nome Eldritch, che da più di trent’anni dimostra di essere un gruppo di punta del panorama metal mondiale? In cerca di questa e di altre risposte, il nostro Gianfranco Monese ha deciso di raggiungere il chitarrista e fondatore Eugene Simone. Buona lettura!
Buongiorno Eugene, grazie della tua disponibilità e benvenuto a Metal Hammer Italia: come stai innanzitutto?
“Bene, molto bene grazie!”
Nuovo disco, ‘Innervoid’, e nuovo cantante: questi ultimi due anni dall’uscita di ‘EOS’ vi hanno visti parecchio attivi: vuoi raccontarceli?
“Dunque, siamo stati attivi su vari settori: la promozione di ‘Eos’ è stata un qualcosa che abbiamo programmato abbastanza bene, in quanto per i dischi precedenti non siamo stati capaci, secondo me, di spingerli nella maniera adeguata, soprattutto subito dopo l’uscita. Questa volta, invece, grazie a Scarlet Records abbiamo programmato il tutto in maniera diversa, uscendo prima con qualche singolo e/o videoclip come fanno un po’ tutti, facendo anche qualche investimento, ed infatti i risultati sono poi arrivati per quanto concerne l’apprezzamento. Sai, per me la musica è ciò che più conta, e da questo punto di vista siamo riusciti ad ottenere dei responsi molto positivi in termini di recensioni, commenti dei fan, quindi mi sento di dire che ‘EOS’ è arrivato meglio rispetto ai suoi predecessori. Dopo la promozione c’è stata purtroppo la separazione dal cantante storico Terence Holler, e da lì non è stato semplice proseguire in quanto avevamo già in programma una data in Grecia, ed oltre a quella se n’era aggiunta un’altra al Metal Valley di Genova assieme ai Voivod, quindi per correre ai ripari abbiamo subito trovato un traghettatore, ovvero Marco Biagioli, che ringraziamo tutt’ora infinitamente per la disponibilità, facendosi un bel mazzo per imparare i pezzi; ci ha dato una grossa mano per sostenere queste date, e lo ha fatto piuttosto bene. Dopodichè Marco è tornato ai suoi progetti, e noi ci siamo messi alla ricerca di un profilo con determinate caratteristiche, lavorando nel frattempo a del nuovo materiale: sia io che Oleg (Smirnoff, tastierista, ndr.) avevamo già scritto qualcosa in previsione del nuovo album, e questo già due/tre mesi dopo l’uscita di ‘EOS’, giusto per portarci avanti con le idee. Fortunatamente, la ricerca del nuovo cantante non è stata poi così lunga perchè Alex Jarusso è saltato fuori grazie alla sua amicizia con Oleg Smirnoff, inoltre lo conosceva pure il nostro fonico live. Quindi lo abbiamo contattato per un provino, e dopo la prima volta abbiamo capito che poteva essere il profilo giusto. Da lì siamo andati avanti con i pezzi, e già dopo il secondo provino ci siamo convinti che Alex era quello giusto, sicchè ci siamo messi al lavoro con le linee vocali dei pezzi nuovi, cercando di dargli un indirizzo su qual’è il profilo di cantante giusto per gli Eldritch, senza guardare troppo al passato, in quanto è giusto che uno stacco ci sia, però senza neanche troppo allontanarsi. In questo lui è stato bravissimo, tanto che il suo processo è sembrato quasi naturale, alcune cose sono venute spontaneamente, e da lì siamo partiti forte con la scrittura dei testi e dei brani, arrivando alla fase di registrazione del disco.”
Sbaglio o, anche dal timbro della sua voce, sembra che Alex faccia parte degli Eldritch da molto tempo?
(Ride, ndr.) “Si, infatti, la sorpresa più grande è stata quella! Sembra che lui sia con noi da tanto tempo, per come si è inserito nella musica, nei nostri pezzi, che per quanto ci siano delle differenze con ‘EOS’, la base è quella. Noi non volevamo adattare la nostra musica al nuovo cantante, semmai il contrario: incontrarci e vedere se il tutto combaciava, e così è stato. Al di là del fatto che Alex è molto bravo, nonostante sia uno di estrazione più classica, come Ronnie James Dio, Bruce Dickinson, Geoff Tate, ovviamente ci conosceva, apprezzando da sempre quanto fatto negli anni. Provando all’inizio, con i tempi dispari, qualche piccola difficoltà c’è stata com’è normale che sia, però lui ha superato tutto alla grande, facendo un ottimo lavoro e, come dici giustamente te, si ha l’impressione che sia con noi da molti anni.”

Rispetto all’ottimo ‘EOS’ ed al vostro passato discografico, ‘Innervoid’ si dimostra un p0′ più diretto, più heavy, o è solo una mia impressione?
“E’ vero, ed è stata un po’ una nostra scelta. Noi non abbiamo mai fatto dischi fotocopia, quindi un po’ di cambiamenti, senza esagerare perchè comunque il sound è quello e ad alcune caratteristiche noi non rinunciamo, avevamo già in mente di farli, e a differenza del più intricato e ritmicamente meno immediato ‘EOS’, questa volta abbiamo voluto dare un pizzico di immediatezza in più. Inoltre abbiamo prestato molta attenzione alle linee vocali, ai cori, ai ritornelli, insomma c’è stata una maggiore cura in alcuni dettagli poi essenziali, come la voce, qualche passaggio melodico, fraseggi, e per quanto concerne la struttura ho cercato di mantenere la durata dei pezzi un po’ più ridotta, che poi è stato un qualcosa di naturale, non si è sentita l’esigenza di fare brani troppo lunghi: ascoltavamo una canzone, ci rendevamo conto che durava cinque o sei minuti, e andava bene così, non serviva aggiungere altro.”
Che cos’è questo “innervoid”, questo vuoto interiore? Definisce il disco un concept, assieme ad esempio a titoli come ‘Wings Of Emptyness’ o ‘Lost Days Of Winter’?
“Non è un concept, perchè non racconta una storia, però diciamo che il tema è un pò sempre quello. Pure la copertina non è stata disegnata a caso: c’è questo cuore, che rappresenta l’animo umano, straziato, legato da catene, ed aperto come a mostrare il vuoto. All’interno di questo vuoto, però, si intravede in lontananza una sorta di città, ovvero come da testo di ‘Born On Cold Ash’ la terra non promessa, quella che se vuoi raggiungere lo devi fare attraverso un grosso sforzo personale ed interiore: nella vita di tutti i giorni si vede spesso tutto buio, tutto nero, eppure alle volte basterebbe quel piccolo sforzo di volontà, quella spinta che a volte ci manca, anche per le cose più banali, per migliorare la nostra situazione, il nostro stato d’animo, facendoci vedere il tutto in maniera diversa. Questo è ‘Innervoid’, e sebbene ogni brano abbia una sua situazione, il filo conduttore è questo.”

C’è un brano in particolare a cui ti senti più legato, o il cui messaggio ti piacerebbe passasse?
“Musicalmente ‘Handful Of Sand (Right Or Wrong)’ e ‘Lost Days Of Winter’ sono i pezzi che più rappresentano gli Eldritch, tuttavia direi che un po’ tutte le canzoni sono rappresentative. Tolto ‘From The Scars’, un brano volutamente diverso, in tutti gli altri si trovano le caratteristiche tipiche della band. Inoltre, i nostri testi non si discostano tantissimo da quelli che abbiamo sempre scritto, tolto il primo album che è stato un capitolo a sé, e ‘Cracksleep’ che riguarda più la tematica dell’ambiente: grosso modo tutti sono concentrati su aspetti e situazioni umane, alcuni in modo più diretto, come qui, e ti dirò che forse ‘Wings Of Emptyness’ è quello che più mi stuzzica, trattando di un percorso notturno, immaginato come un sentiero impervio alla ricerca di un qualcosa che non si sa se poi si scoprirà, ma intanto bisogna provare a vedere se si riesce a trovare uno spiraglio. E’ un pò quello che dicevo nella risposta precedente: la ricerca di una serenità, affinchè la nostra vita possa migliorare.”
Abbiamo parlato giustamente di Alex Jarusso, il nuovo entrato, ora vorrei gentilmente spostarmi su Oleg Smirnoff, un musicista che a mio modesto modo di pensare il mondo intero dovrebbe invidiarci. A tuo modo di vedere, qual’è il suo approccio su ogni brano? Personalmente, denoto spesso un metodo molto camaleontico, dato in primis da un’ottima conoscenza musicale a 360°. Che musicista è Oleg Smirnoff per Eugene Simone?
“Innanzitutto noi, inizialmente, volevamo dalle tastiere un ruolo a 360°, che spaziasse anche sui campionatori, e non che si basasse solo su quei tre/quattro suoni tipici del progressive, sicchè lui ha avuto campo libero in questo, e così siamo cresciuti insieme. Tutto questo, l’ha poi sviluppato negli altri progetti che ha avuto negli anni: con alcune band in un modo, con altre in un altro. Ricordo che quando ci siamo conosciuti e ci si incontrava spesso a casa mia o sua, era uno che sin da giovane aveva una gran cultura musicale: io avevo un sacco di vinili, e lui ne aveva altrettanti, di vario genere, magari un pò diversi dai miei ascolti, e più basati sul suo strumento. Tuttavia ha una gran cultura musicale, una bella preparazione e soprattutto, secondo me, il suo gran punto di forza sono proprio le idee ed il gusto musicale, che a me piace tanto. Sia su ‘EOS’ che su ‘Innervoid’ abbiamo un po’ la stessa idea su questo mood un po’ scuro, malinconico ma non tetro, ed in questo Oleg è molto bravo. Inoltre, nei pezzi che scrive lui è chiaro che la sua mano, ovviamente, si senta di più, tuttavia anche nei miei riesce sempre a metterci quel tocco particolare. E’ un qualcosa che avviene in automatico, ormai siamo collaudati in questo: lui mi manda un pezzo che ha scritto, io vedo di aggiungere le chitarre, una linea vocale, per poi rimandarglielo, e viceversa fa lui con i miei brani, ed è difficile che entrambi ci troviamo scontenti dalle scelte apportate. Quindi, sono d’accordo: è un gran musicista, il cui punto di forza sono le idee che ha, che per la nostra musica sono l’ideale.”
Dopo oltre trent’anni di carriera e tredici album, come la spieghi questa vena creativa, assolutamente non da tutti, che vi ha condotti sino a ‘Innervoid’?
“Sono sincero: abbiamo sempre avuto come obiettivo principale il cercare di dare qualità alla musica, e cercare di crescere e migliorarsi sempre. Abbiamo fatto negli anni molte scelte anche azzardate, purtroppo in alcuni periodi abbiamo avuto problemi nel trovare il giusto sound, la giusta produzione, il giusto mix, ma da qualche anno a questa parte abbiamo trovato una quadratura, secondo la quale le riprese si fanno tutte nello studio del nostro fonico live, le batterie ed il resto da me oppure ognuno se le fa per conto suo, dopodichè si manda il tutto a Simone Mularoni, che è sempre riuscito negli anni a darci un suono incredibile, tanto che lo definiamo il nostro settimo elemento. (Ride, ndr.) A me piace comporre, mi è sempre piaciuto scrivere musica, cercare di trovare qualche idea nuova, a volte ci riesco, a volte no, per ora a quanto pare ci stiamo riuscendo, quindi bene così, ma non è così scontato. Ad esempio: in un mio giorno libero, cosa che non accade quasi mai, se decido di scrivere ti giuro che arrivo a sera senza un’idea che mi abbia convinto. Magari il giorno dopo, fuori in giro, mi viene in mente una melodia che appena arrivo a casa registro subito, ed in mezz’ora viene fuori che ho scritto mezza canzone. Cercare di mettere sempre in primo piano la musica e l’evoluzione, senza avere come obiettivo quello che viene richiesto dal fan, ma quello che ci piace, alle volte rischiando e, per questo, venendo apprezzati non nell’immediato, ma dopo. Ad esempio ‘Reverse’, disco del 2001, avendo come predecessore ‘El Nino’, è stato spiazzante, e molti ci hanno criticati. Gli stessi che ci hanno criticati, però, anni dopo lo hanno rivalutato. Noi non siamo mai stati etichettati, quindi chi ci segue è più orientato ad accettarli certi cambiamenti: sono convinto che ci sono alcune band là fuori che se mettessero un campionamento pop, o che esula dal loro schema, sarebbe un macello, mentre da noi viene accettato un pò di più.”


Guardando al vostro passato, dato che ne avete vissute tante, partecipando ad esempio alla prima edizione del Gods Of Metal, che poi avete bissato nel 2001, com’è portare avanti un genere che in Italia dovrà sempre sgomitare per ottenere i giusti spazi e meriti?
“Hai detto bene: in Italia, perchè per assurdo ci sono gruppi che vanno molto di più all’estero che in Italia, e questo perchè qui, a parte la recente situazione economica che ha messo ulteriormente in ginocchio un po’ tutto il sistema, secondo me non c’è cultura per questo genere musicale. A mio modo di vedere, siamo sempre molto chiusi. Ripeto: tanti gruppi suonano di più all’estero che qui. Noi all’inizio suonavamo di più in Italia perchè la gente si muoveva di più, c’era più seguito, ma soprattutto c’erano persone più giovani che si appassionavano, anche perchè in quegli anni il metal andava molto di più. Quello che ora noto, a quei pochi concerti metal che vado a vedere, è che c’è gente da una certa età in su: non c’è stato un ricambio generazionale, e questo ha pesato. Io ho tre figli: una di 21 anni, uno di 18 ed uno di 8. I due più grandi, che un po’ vivono la mia situazione con gli Eldritch ecc, la apprezzano, ma tra i loro amici se gli chiedi chi sono i Dream Theater o altri, ti guardano storto. Anche all’estero è un po’ così: ho parlato con due ragazzi tedeschi, ma a parte i Rammstein non conoscevano altre band germaniche, come ad esempio gli Helloween, ed è un peccato perchè al di là delle band storiche c’è sempre tanto di bello da ascoltare, ma non c’è più interesse, e questo pesa. Per quanto riguarda gli Eldritch, all’inizio è stato uno sgomitare. Ci è stato riconosciuto di essere stati uno dei gruppi, se non il gruppo che ha aperto un po’ le frontiere, quando con il nostro demo mandato umilmente in giro, trovammo subito interessamenti da parte di etichette importanti straniere, come le tedesche Noise e Limb Music, che ci collegò alla Inside Out. L’ostacolo più grosso che trovammo fu quello che da suonare in sala prove ci trovammo catapultati su palchi veramente grandi, quindi la botta iniziale la prendemmo e le ossa ce le facemmo lì, andando in tour e suonando davanti a gente anche abbastanza esigente, sicchè le prime date furono dure, poi pian piano le cose sono andate migliorando e la quadratura, nonostante i vari cambi di line up, l’abbiamo sempre ritrovata.”
C’è un disco degli Eldritch, non per forza il più bello o di maggior successo, a cui sei particolarmente affezzionato? E quello che, a lungo andare, ti ha lasciato con l’amaro in bocca?
“Di quelli che mi hanno lasciato con l’amaro in bocca, e non per la qualità dei pezzi contenuti che ritengo belli, sono ‘Portrait Of The Abyss Within’ e ‘Neighbourhell’: purtroppo non siamo riusciti a dar loro il sound che volevamo. Quello che ritengo sia un gradino al di sotto è ‘Blackenday’, in quanto ci sono tre o quattro episodi belli, qualche altro che invece… E non è stata neanche tanto colpa nostra, in quanto avevamo dei limiti di consegne da rispettare, per cui c’è stata un po’ di fretta nel finire e tante cose non sono state curate come volevamo noi, abbiamo avuto problemi con il mix, si è dovuto remixare, rimasterizzare da un’altra parte: questo purtroppo ha penalizzato la resa finale. Quindi per questi tre dischi è stato un po’ un peccato, nonostante siano stati molto apprezzati: qualcuno mi ha addirittura scritto che ‘Portrait Of The Abyss Within’ è il suo preferito, per esempio. Quelli invece a cui sono più legato sono chiaramente i primi tre: erano altri tempi, quindi c’è anche un aspetto nostalgico, no?! Ad esempio ‘Seeds Of Rage’ se lo riascolto ora ti trovo centomila difetti, ma se ripenso a come lo abbiamo costruito, tra giornate e nottate in studio a riascoltare, nelle quali eravamo molto uniti e ambiziosi… Oppure ‘Headquake’, ovvero l’album che ci ha portati a concerti, festival e tour più importanti, e poi la maturazione avuta con il successivo ‘El Nino’… Quindi direi che i primi tre sono quelli che ricordo con più piacere, tuttavia ogni periodo ha le sue belle fasi, i suoi bei ricordi, compresi i dischi meno riusciti come sound: la band era comunque molto coesa, la line up funzionava dal vivo, nonostante fossimo senza tastiere si è suonato a tanti festival in Italia e all’estero. Si è poi giunti a ‘Gaia’s Legacy’, con il ritorno delle tastiere, fino agli ultimi tre dischi, dal sottovalutato ‘Cracksleep’ ad oggi, che ritengo i più maturi e migliori in assoluto, insieme forse a ‘El Nino’, seppur si parli di un’altra epoca.”
Bene Eugene, l’intervista è giunta al termine. Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, se c’è qualcosa che vuoi aggiungere ai lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto tuo!
“Spero tantissimo che con l’anno nuovo ci sia occasione di fare qualche data, cosa che non è molto semplice da organizzare: ce la stiamo mettendo tutta, abbiamo iniziato a provare i pezzi insieme, quindi invito tutti a seguirci sulle nostre pagine Facebook e Instagram, a breve ci saranno degli aggiornamenti a livello di grafica, merchandising, e spero di vedere i lettori di Metal Hammer davanti al palco il prima possibile. Una band che si rispetta non fa solo dischi, suona anche dal vivo, quindi spero davvero che ci sia presto questa opportunità.”

 

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