Don Airey – Fino al limite e oltre l’arcobaleno
Il 22/04/2025, di Francesco Faniello.

“Tutto qui mi parla di Kurtz”, diceva il capitano Willard mentre si addentrava nei meandri del Nung cambogiano, esattamente come il suo alter ego letterario aveva fatto un secolo prima sul Congo. Ecco, parafrasando Coppola o Conrad che dir si voglia, al cospetto della mia collezione di musica in bella vista nel mio studio e che lui stesso ha elogiato a fine intervista, tutto mi parla di Don Airey, persino i più insospettabili lavori appartenenti di diritto alla Storia del Rock. Basta che ci sia una sei corde con personalità, e subito tocca a lui fare da contraltare, con i suoi tasti d’avorio che di personalità ne hanno da vendere, anche se da anni sono al servizio della memoria di uno dei pesi massimi delle tastiere nel rock, Jon Lord. Non solo: mentre i Deep Purple stanno vivendo un periodo di grazia con un lotto di dischi che ne hanno riaffermato la credibilità, il Nostro torna con un nuovo album in studio con la sua band solista, già protagonista di live tanto incredibili quanto rari in giro per l’Europa…
C’è un nuovo disco in uscita ed è ‘Pushed to the Edge’. Potresti dirci qualcosa sulla sua genesi? Sono passati sette anni dal precedente capitolo in studio, e il mondo è cambiato tanto, nel frattempo…
“È una storia divertente: abbiamo iniziato a lavorarci nel 2018, prima del COVID. Stavamo mettendo su le prime backing tracks in una settimana quando arrivò l’epidemia e dunque andammo incontro a uno stop forzato: prima il lockdown, poi abbiamo ripreso registrando le voci e tutti gli assoli nel 2021, poi un altro lockdown fino al 2022 e la differenza era che nel frattempo il chitarrista Simon McBride era entrato nei Deep Purple! Ovvio dunque che questa release sia stata messa in secondo piano, perché dovevamo lavorare sul nuovo disco dei Purple. Quindi me ne sono quasi dimenticato, tanche che quando ricevetti una telefonata dal manager dei Deep Purple che mi chiese di pubblicare ‘Tell Me’ gli risposi “cos’è ‘Tell Me’?”. E lui: “è un pezzo del tuo album, no?”. Come ti dicevo, me ne ero quasi dimenticato e credevo che nella migliore delle ipotesi sarebbe stato pubblicato postumo. E invece… eccolo qui: devo dire che sentendolo di nuovo, sono rimasto sorpreso.”
Insomma, è stato un po’ come ricevere una cartolina dal passato recente…
“Proprio così.”
La mia prossima domanda riguarda l’attuale formazione, poiché hai menzionato McBride e contestualmente avevo notato come Laurence Cottle [che i più ricorderanno per aver suonato su ‘Headless Cross’ dei Black Sabbath, NdR] non fosse più nella formazione. In definitiva, cambio di bassista e innesto di un nuovo cantante nella persona di Mitchel Emms…
“Beh, semplicemente Laurence non era disponibile. Lui ha un sacco di lavoro ed è uno dei sessionman jazz più ricercati, per via della sua grande abilità. Avevamo bisogno di un bassista in tempi brevi ed è arrivato Dave Marks, che lavora con Simon ed è veramente uno strumentista di altissima qualità.”
Come dicevamo, c’è un nuovo cantante ad affiancare Carl Sentance [il singer di Nazareth e Persian Risk che canta nella Don Airey Band, NdR]: qual è la principale differenza tra Sentance e Emms, secondo la tua opinione?
“Ah, è stato Simon a portare dentro Mitch. Dovevamo suonare al Cambridge Rock Festival e Carl non poteva venire perché era impegnato con i Nazareth, quindi Simon viene da me e mi dice “ho conosciuto questo ragazzo, si chiama Mitchel Emms ed è fantastico!”. Fu così che si unì a noi in occasione di quel concerto e fece un ottimo lavoro… parliamo del 2019. Ecco dunque che quando è arrivato il momento l’ho contattato e gli ho detto che stavo lavorando su un album solista e che lo avrei voluto con me per tre canzoni. Anche Mitch è molto impegnato: partecipa a “Strictly Come Dancing” (sorta di “Ballando con le stelle” britannico, NdR) sulla BBC da due anni, per non parlare del fatto che ha appena vinto “The Voice UK” (il reality che lo ha lanciato nel music business, NdR) ed è costantemente in tour con diversi artisti. Non stiamo parlando del classico cantante rock, per capirci: ha una storia diversa e appartiene a un’altra generazione, ma ha molto talento.”
Vedo che ‘Moon Rising’ stata scelta come nuovo singolo. Quando ho sentito il nuovo album per la prima volta, è un pezzo che mi ha immediatamente colpito per via della scelta di separare in maniera rigorosa gli strumenti nei due canali: le tastiere a sinistra e le chitarre tutte a destra, una cosa che mi ha immediatamente ricordato ‘Paranoid’ dei Black Sabbath. Si è trattato di una scelta intenzionale o no?
“Non proprio… è semplicemente che è stato missato in quel modo all’epoca. Devo dire che mi fido ciecamente di Mike Fraser, che ha i Chamaleon Studios ad Amburgo: fa un ottimo lavoro, quindi non interferisco. A essere sincero sono passato dallo studio negli ultimi due giorni di missaggio e c’era questo Hammond a palla, perciò gli ho solo detto di abbassarlo un po’. E lui mi ha detto che non doveva, al contrario!”
C’è un’altra cosa che ho notato nell’economia dell’album, ed è quel flavour vicino agli Yes. È come se ci fosse una sorta di linea di demarcazione tra il carattere più oscuro, rainbowiano di pezzi come ‘Rock the Melody’ e ‘Out of Focus’, il cui livello di freschezza ricorda le band più giovani che si accostano a questo sound come i Night Flight Orchestra, e quel tocco progressive che emerge anche in pezzi più heavy come ‘Godz of War’, in cui sembra davvero di essere al cospetto di Jon Anderson!
“Beh, quando abbiamo registrato ‘Pushed to the Edge’ – e lo abbiamo registrato molto velocemente – i ragazzi della band all’inizio non conoscevano i pezzi, ma quando glieli ho suonati hanno imparato molto velocemente e alla fine si viaggiava a un ritmo di due pezzi al giorno, tanto che Simon mi ha detto che che alla fine di ogni giornata di session gli altri chiedevano su cosa avremmo lavorato il giorno dopo. È stato molto intenso, ci siamo divertiti e questo è il risultato dell’energia sprigionata.”
Uno degli episodi più impegnativi è sicuramente la conclusiva ‘Finnigan’s Awake’, che sin dal titolo si pone come pun sull’assonanza tra il quasi omonimo romanzo di Joyce e il nome del vostro batterista. Proprio quella sorta di flusso di coscienza joyciano che qui si traduce nello scorrere di assoli di chitarra e tastiera, sorretti da uno stile di batteria che mi ha ricordato le cose migliori di Cozy Powell…
“Jon Finnigan è uno di quei batteristi che apprende e rielabora il tutto in maniera molto veloce, poi si annoia… e comincia a suonare qualcos’altro. Ed è stato così che gli ho proposto di fare un pezzo strumentale per scatenarsi: abbiamo trascorso un paio d’ore in studio, ma sono particolarmente soddisfatto della follia che ne è scaturita, specie nel finale! Puoi immaginare l’entusiasmo di Simon…”
Parliamo degli anni intercorsi tra il precedente ‘One of a Kind’ e questo ‘Pushed to the Edge’. Nel frattempo, sono usciti ben tre capitoli della serie live ‘Contractual Obligation’ con Ian Gillan alla voce e con l’orchestra, oltre al fantastico ‘Live in Hamburg’, con una tracklist davvero incredibile. Qual è per te la differenza principale tra i live con Ian Gillan e il già citato ‘Live in Hamburg’?
“Con Ian Gillan c’è l’arrangiamento orchestrale che fa la differenza, oltre alla selezione che vede soprattutto classici dei Purple e della sua carriera solista. Ad Amburgo ho suonato sostanzialmente le hits che mi hanno visto coinvolto nel corso della mia carriera. In più, in quell’occasione abbiamo suonato ‘Child in Time’! Pensa, non l’avevamo neanche provata, qualcuno dal pubblico l’ha richiesta e io ho attaccato a suonarla. I ragazzi si guardano l’un l’altro e guardano me con un’espressione tipo “oh s**t, are you serious?”, ahahahah! Però posso dire che è stata una performance che trasuda spontaneità da tutti i pori, specie in un mondo in cui si è sempre sotto pressione e cose così. In definitiva, è venuta molto bene. Magari potevo preoccuparmi per Carl, perché non arriva a fare l’acuto che fa Ian Gillan, però mi sono detto che nessuno lo sa fare e perciò… lui stesso lo ha lasciato fare al pubblico. È stato un momento grandioso!”
Fantastico!
“Un altro momento memorabile è stato quando abbiamo fatto un concerto con i Deep Purple in Polonia e c’erano anche i Nazareth, quindi Carl è venuto a sentirci. Lì ha incontrato Gillan, e Gillan è il suo eroe! Sono subito andati d’accordo, e Carl è felicissimo di averlo conosciuto.”
Una cosa che comunque accomuna i due live è la presenza di ‘Difficult to Cure’, che è uno degli episodi più noti del tuo periodo trascorso nella formazione dei Rainbow. Oltretutto, ricordo che Gillan introduceva il pezzo rimarcando il fatto che gli autori erano “Airey, Beethoven e Blackmore”. Cosa ricordi di quel periodo con i Rainbow?
“Quando ho conosciuto Ritchie, volle volle che suonassimo un paio di cose da soli, solo io e lui. Fu allora che mi chiese se sapevo suonare la Nona di Beethoven e io gli risposi di sì. Ecco dunque che ‘Difficult to Cure’ è stata la prima cosa che abbiamo scritto insieme, anche se poi non fu usata per ‘Down to Earth’ e andò direttamente sull’album di cui divenne la title track, uscito due anni dopo. Quando l’abbiamo registrata ricordo che Bobby Rondinelli aveva un sacco di problemi con la traccia: semplicemente, non riusciva a venirne a capo. Quindi ho lasciato la base e l’ho suonata in sequenza, anche se avevo tutta la traccia in testa con i vari cambi di note. Alla fine Bobby ne è venuto a capo ed è diventato uno dei cavalli di battaglia. Anche quando la suoniamo con la band attuale viene sempre bene, una cosa che mi sorprende ogni volta.”
Personalmente, sono molto felice che i Deep Purple l’abbiano suonata nel tour della reunion del Mark 2 nel 1984; ed è stata la prima volta in cui Jon Lord ha suonato una delle tue canzoni! A proposito di Deep Purple, mi toglieresti una curiosità sulla scelta dei titoli di ‘=1’? Quanto c’è di intenzionale nell’affinità tra ‘Sharp Shooter’, ‘Pictures of You’, ‘Lazy Sod’ e ‘No Money to Burn’?
“Ah, questo dovrai scoprirlo tu, e ti auguro buona fortuna!”
Torniamo a ‘Pushed to the Edge’: stavamo parlando dell’energia di canzoni come ‘Out Of Focus’ e di come ciò mi ha paradossalmente ricordato l’operato dei nuovi gruppi retro rock… pensi che ci sia spazio per nuovi gruppi rock nel mondo, in futuro?
“Beh, lo spero. Personalmente, non lo farò per sempre! Il rock veniva dall’underground, questo è certo: eravamo un po’ tutti degli emarginati sociali e ricordo come quando si era in tour nei primi tempi era anche difficile entrare in un hotel in America. L’unica scelta per noi era alloggiare in un Holiday Inn nell’estrema periferia… In ogni caso, oggi ci sono un sacco di band in giro, alcune delle quali non sono niente male, ma soprattutto ci sono persone che ci credono, lo fanno con passione e portano avanti il tutto.”
Vorrei sapere qualcosa di più su come è nata la ballad ‘Girl from Highland Park’…
Eravamo in studio, avevamo finito di registrare tutte le canzoni in programma e Dave Marks doveva andarsene perché aveva un concerto al London Palladium. In quell’occasione mi sentivo un po’ nostalgico e avevo in mente questo bellissimo refrain, che allora era solo strumentale. L’abbiamo suonato un paio di volte e davvero non riuscivo a immaginare la direzione che avrebbe preso. È venuta così, dal nulla, impreziosita da un bell’assolo di Simon in acustico venuto fuori alla prima take. Highland Park è una zona di Los Angeles, la canzone parla appunto di una bellissima ragazza che viene da lì.”
Cosa possiamo aspettarci dal prossimo tour della Don Airey Band? Verrete in Italia?
“Vedremo, dobbiamo solo fare un programma annuale. Forse dopo l’autunno…”
E sulla scaletta? Hai anticipazioni?
“Ci saranno sicuramente ‘Tell Me’, ‘Moon Rising’, ‘Rock the Melody’. I pezzi più rock, assieme alle hit più famose, come i pezzi dei Rainbow, dei Whitesnake, di Ozzy. Il primo encore è sempre ‘Since You’ve Been Gone’: se puoi suonare ‘Since You’ve Been Gone’, perché non farla? Ovunque la suoniamo, in tutto il mondo, la reazione è sempre la stessa. Tutti vanno fuori di testa: in Italia, in Inghilterra, in Turchia, in Slovacchia, in Polonia che sia.”
Beh, certo. Sono hit immortali, in particolare ‘Since You’ve Been Gone’. Mi viene in mente anche una bella versione con Brian May, penso che tu abbia un bel ricordo anche di quel periodo.
“Sì, è vero.”
Hai intenzione di fare show acustici o addirittura dischi acustici in futuro?
“Ho suonato molto il pianoforte recentemente e ho scritto alcuni pezzi per piano. In realtà, ho registrato un album così circa dieci anni fa, ma non è mai uscito, se non sulla mia pagina web. Tuttavia, ho intenzione di tornare a fare qualcosa di simile in futuro, sarebbe un’ottima idea.”
Ho sentito spesso parlare delle tue radici jazz. Quali erano i tuoi punti di riferimento in quel periodo, prima di approcciarti al rock’n’roll?
“Mi ricordo quando ho sentito suonare Bill Evans: mi è piaciuto immediatamente, mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta. Un’altra volta sono andato a vedere Stan Getz a Leicester: non suonava bossa nova, suonava jazz moderno… e aveva un pianista che si chiamava Chick Corea, tanto per capirci. Ecco, non riuscivo a credere a quello che stavo ascoltando: non avevo mai visto nessuno così, vedere qualcuno così cambia la tua vita e ti fa pensare che quello che devi fare come musicista è migliorarti, spingerti oltre. Chick ha sempre avuto una grande influenza su me: penso che sia una persona meravigliosa, oltre che un musicista incredibile.”
Ok, siamo verso la fine. Ti piacerebbe parlarci dei tuoi dischi preferiti?
“Il primo album dei Boston è sicuramente uno dei miei album preferiti. Poi, ‘Band of Gypsies’ di Hendrix. C’è un disco di Chick Corea chiamato ‘Now He Sings, Now He Sobs’, di cui si dice che sia l’album migliore in assoluto mai registrato da un trio jazz. Inoltre… direi ‘Pushed to the Edge’, è piuttosto buono [ride, NdR]. Infine, penso che ‘Down to Earth’ sia un album fantastico…”
Allora possiamo aspettarci una qualche collaborazione futura tra la Don Airey Band e Joe Lynn Turner o Graham Bonnet!
“Graham è un mio grande amico. Abbiamo già fatto qualcosa di simile, una volta: lui mi ha chiesto se avessi dei pezzi pronti, e li ho suonati in un suo disco assieme a Simon. Non ricordo il titolo dell’album, però… mi dispiace. Dovrebbe essere l’ultimo che ha realizzato [si tratta di ‘Day Out In Nowhere’, uscito nel 2022, NdR].”
Bene, è stato davvero un piacere. Grazie di tutto…
“È stata una bella chiacchierata. E complimenti per la collezione di CD [ben visibile a tutti i contatti telematici di questi ultimi anni, ormai… NdR]”
Grazie mille, Don. In attesa di reincontrarci dal vivo con i Deep Purple o con il progetto solista, penso che aggiungerò presto un altro CD alla collezione: proprio il ‘Live in Hamburg’ a firma Don Airey Band [e così è andata… immancabilmente, NdR].”