Anthrax + The Raven Age @Live Music Club – Trezzo sull’Adda (MI), 14 marzo 2017

Il 15/03/2017, di .

Anthrax + The Raven Age @Live Music Club – Trezzo sull’Adda (MI), 14 marzo 2017

Anthrax, Live di Trezzo, 14-03-2017. È buffo pensare che questa sera le lancette del tempo siano tornate indietro di almeno trent’anni, non solo grazie alla celebrazione di ‘Among The Living’ ma anche per l’abbigliamento e l’attitudine molto eighties di chi è accorso ad assistere ad un concerto che ricorderemo per tanto tempo. E per chi come il sottoscritto ha vissuto quegli anni per ragioni anagrafiche è stato più emozionante che mai, un tesoretto da custodire gelosamente. Fin dalle prime ore del pomeriggio i fans si aggiravano fuori dal locale, imponenti misure di sicurezza sono state adottate per l’entrata al locale con tanto di metal detector che hanno allungato inevitabilmente i tempi per poter accedere al locale ma, tranne qualche piccolo malumore, tutto è filato liscio. Ad accompagnare la band newyorkese in questo ‘Among The Kings’ tour ci hanno pensato i The Raven Age che si portano dietro un fardello non indifferente come accade per i conterranei As Lions (band di Austin Dickinson, figlio del più ‘noto’ Bruce): avere tra le propria fila George Harris, un cognome alquanto pesante che però non li limita cercando di dimostrare in ogni frangente di voler esorcizzare sgomitando per trovare una loro strada smarcandosi da ogni scomodo paragone. Il quintetto britannico, autore di un metalcore di chiaro stampo statunitense che ha in bands come Killswitch Engage, Parkway Drive e Bullet For My Valentine i propri riferimenti stilistici, si è prodigata con successo in sede live per far emergere le qualità insite nel loro tessuto sonoro: fin dalle prime note di ‘Promised Land’ si denota il grande lavoro chitarristico del duo Harris / Dan Wright, non tanto come perizia tecnica ma nella coesione nel suonare compatti, uniti. Lo stesso dicasi nell’elettrica ed energica ‘The Death March’ mentre ‘Eye Among The Blind’ presenta un songwriting più scolastico ed immaturo. In tutto questo un appunto lo vorremmo spendere per il cantante Michael Burrough che si trova un po’ in difficoltà sulle tonalità più alte anche se aiutato da un buon sustain, dimostrazione ulteriore che su disco le varie diavolerie tecnologiche riescono a coprire quelle imperfezioni che in sede live emergono in tutta la loro chiarezza. A livello scenografico compare alle spalle della band un gigantesco backdrop con il loro nome così come due piccoli backdrop raffiguranti due corvi sono stati applicati di fronte agli amplificatori, nonostante la scenografia tutto sommato minimale i The Raven Age hanno goduto di un ottimo supporto luci andando a colorare di volta in volta le parti salienti del loro set. ‘The Merciful One’ tratto da ‘Darkness Will Rise’ è forse il brano più energico della scaletta, un ottimo mix di taglienti guitar parts unite ad una orecchiabile melodia vocale supportata da una base ritmica che invitava a battere a tempo il piede. Più che il cantante Burrough a scaldare il pubblico ci pensa il bassista Matt Cox che incita a destra e sinistra gli astanti come avviene nella convincente ‘Salem’s Fate’ della quale la band ha prodotto un video che però ha scaldato solamente le prime file e lasciando il resto della platea piuttosto indifferente nonostante la curiosità di scoprire il quintetto proveniente dalla Terra d’Albione. A chiudere un discreto set durato poco meno di mezz’ora ci ha pensato ‘Angel In Disgrace’ prima della quale il vocalist Burrough ha mostrato una bandiera italiana del locale fan club ringraziando i presenti per l’accoglienza. ‘Angel In Disgrace’ ha alzato i ritmi grazie ad un drumming potente, un interessante metal riff ed un solo in accoppiata di maideniana memoria che ha scaldato più di qualcuno. Troppo tardi però, nonostante questo George Harris & co. non hanno lesinato energie, si sono prodigati nel coinvolgere al massimo il pubblico presente che comunque li ha apprezzati nonostante siano risultati leggermente fuori contesto rispetto agli headliner. Si riaccendono le luci ed ecco che comincia l’attesa per gli Anthrax, il palco è imponente accompagnato da un gigantesco backdrop raffigurante la copertina di ‘Among The Living’ per tutta la larghezza del palco, la batteria è posta su una pedana incastonata tra due torri dove sono posizionate moltissime luci contornate da due pedane alle quali si accede attraverso un paio di scalinate. Fin dalla fine dei The Raven Age l’attesa tra il pubblico comincia a farsi palpitante, l’audience arrivata in questa venue è veramente numerosa nonostante il fatto che la band di New York abbia suonato l’ultima volta in Italia lo scorso luglio. Un lungo check ha ritardato l’inizio del concerto di una ventina di minuti, lasciando scaldare il pubblico con ‘The Number of the Beast’…inutile sottolineare quanto la gente l’abbia cantata a squarciagola! Appena si spengono le luci in sala, alle 21.30 e si sentono le note di ‘I Can’t Turn You Loose’ dal film Blues Brother il pubblico si scalda…ed è tempo di ‘Among The Living’ scatenando l’apoteosi in sala! Vedere il pubblico pogare quasi fino a metà sala è uno spettacolo nello spettacolo, gli Anthrax sono una macchina da guerra ben oliata, John Dette al posto di Benante è preciso e puntuale mentre Scott Ian e Fank Bello sono due autentici animali da palco. L’esecuzione di ‘Caugh in a Mosh’ è adrenalina pura, da insegnare alle giovani bands….appunti tecnici sono fuori discussione, questi brani hanno la stessa energia di quando trent’anni furono pubblicate. La band è carica come una molla, il pubblico presente non fa che pogare pogare pogare senza sosta, fumogeni ed un brillante gioco di luci accompagnano l’esecuzione di ‘One World’. Il buon Jonathan Donais si mantiene timidamente in disparte ma d’altronde con un terzetto formato da Belladonna/Bello/Scott come dargli torto? Le attenzioni dei fans sono dedicate indubbiamente a loro e questi ultimi ripagano tanta attenzione con una prestazione sopra le righe. E siamo solo al terzo brano…! Pura violenza sonora nel bridge di ‘I Am The Law’ prima del solo, basterebbe questo per tributargli i migliori onori ed essere a ragione considerati tra i padri del thrash prima di tuffarsi anima e corpo in ‘A SkeletonIn The Closet’ introdotta da uno Scott Ian che ringrazia sentitamente, la annuncia come il suo pezzo preferito svelando di non ricordarsi se lo avessero suonato nel lontano 1987 al Palatrussardi di Milano. Frank Bello e Scott Ian salgono e scendono dalle pedane montate ai lati della batteria, è indubbio il loro carisma che ha forgiato una delle bands di maggior successo che oggi non hanno nessuna intenzione di ‘abdicare’. Efilnikufesin (N.F.L.) è introdotta a cappella da un Belladonna in piena forma sfociando in un assalto sonoro, tra i migliori brani dell’intero lotto per esecuzione e qualità ma questo non lo scopriamo certamente questa sera. Concerto fisico, dispendioso per la band ed il pubblico che ha tributato onori ed applausi nel momento del solo di Jonathan Donais, un modo intelligente di far rifiatare il quintetto dandogli il giusto spazio visto che come era prevedibile, gli altri della band lo hanno (giustamente) oscurato durante l’esecuzione di un album che quando uscì lo vedeva ancora quasi in fasce essendo nato nel 1980. A seguire ‘A.D.I. /Horror Of It All’ che ha visto un problema tecnico al microfono di Belladonna, prontamente sostituito dalla crew. Quasi alla fine ecco arrivare l’acclamata ‘Indians’ introdotta da Jon Dette e che ha visto sotto la pedana della batteria il terzetto formato da Douglas/Scott/Bello intonare l’inconfondibile riff scatenando ancora una volta un forsennato pogo fino all’ultimo respiro. Belladonna forse oggi canta meglio rispetto a trent’anni fa, pochi cedimenti in un set tirato, Scott Ian aizza la folla da par suo saltando come un folletto da una parte all’altra del palco mentre ‘Imitation of Life’ è la degna conclusione di un concerto evento, un modo di tributare il giusto omaggio a canzoni che non mostrano i segni dell’età, anzi suonano ancora tremendamente freschi, frutto di un songwriting ispirato e completo che ha reso celebre la band newyorkese. Senza tempo. Ma lo show prosegue, non si esaurisce con l’esecuzione di questi grandi classici perché ‘Fight ‘Em ‘Til You Can’t’ tratto da ‘Worship Music’ prosegue le danze in maniera egregia, una band mai doma e sempre in palla ammaliando il pubblico con ogni nota. ‘Breathing Lightning’ è uno dei migliori brani di ‘For All Kings’ e qui in versione live trova il suo habitat naturale, il riff scorre tagliente e fluido allo stesso tempo mentre il ritornello si staglia imponente con la sua magnetica melodia. E poi, quasi ‘inaspettatamente’ arriva ‘Madhouse’ che vede un gruppo mostrare ancora una invidiabile grinta dopo quasi un’ora e mezza di concerto. Niente da aggiungere per un brano storico ed importante della loro discografia, tra le migliori songs dell’intero lotto seguita dalla ‘contemporanea’ Blood Eagle Wings’ sempre da ‘For All Kings’, dimostrazione di come gli odierni Anthrax sappiamo ancora scrivere musica con la M maiuscola. A chiudere la set list di questa sera ci han pensato due brani che hanno tributato il giusto merito ad un altro riuscito album della loro carriera, quel ‘State of Euphoria’ pubblicato ad un solo anno di distanza da ‘Among The Living’: ‘Be All, End All’ e la sempreverde ‘Antisocial’, altra scarica di adrenalina per un concerto che definiremo con un solo aggettivo: intenso. Gli Anthrax e la folla che ha gremito la sala questa sera son sembrati realmente una cosa sola, la band ha spinto sempre al massimo sull’acceleratore con brani pieni di energia grazie al loro coinvolgente modo di esibirsi attorniati dai propri fans che hanno dimostrato di apprezzare cotanta grazia. Ed ora non ci resta che attenderli nuovamente la prossima estate in Italia come annunciato da Scott Ian ringraziando il pubblico nel finale sulle note di ‘Long Live Rock ‘n’ Roll’….hanno ancora tanto da dare questi ‘vecchietti’, non perdeteveli la prossima volta.

Foto di ALBERTO GANDOLFO

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