Frontiers Rock Festival IV @Live Club – Trezzo Sull’Adda (MI), 29/30 Aprile 2017

Il 05/05/2017, di .

Frontiers Rock Festival IV @Live Club – Trezzo Sull’Adda (MI), 29/30 Aprile 2017

Fa parlare di se per la quarta volta il Frontiers Rock Fest, annuale kermesse di band appartenenti al rooster della label partenopea che ogni primavera non manca di presentarci qualche ghiotta e gradita sorpresa. A questo giro a suscitare maggior curiosità erano di sicuro le reunion di L.A.Guns e TNT, il ritorno della nuova versione degli Steelheart e il primo show in assoluto dei prestigiosi Revolution Saints. Metal Hammer era ovviamente presente con Dario Cattaneo e Andrea Lami, che vi raccontano nel dettaglio quanto fatto da queste quattordici band.

Testo Dario Cattaneo/Andrea Lami
Foto Andrea Lami

Giornata I

PALACE
La partenza della quarta edizione del festival della label di Serafino Perugino però non è delle migliori. Ad esibirsi per primi infatti sono i Palace, formazione svedese giovane e di recente formazione, capitanata però da un cantante più navigato e di esperienza come Michael Palace, il quale si è reso negli ultimi anni protagonista di numerose collaborazioni di successo (First Signal, Cry of Dawn, Kryptonite). L’esperienza e il carisma del frontman non salvano però le sorti di uno show partito male fin dalla prima canzone, a causa sia di guasti tecnici (voce e batteria mostreranno grossi problemi sulle prima quattro canzoni) sia purtroppo di un approccio forse un po’ leggero che la band ha adottato nei confronti di festival e pubblico. Falsamente simpatici, imbarazzati e forse addirittura svogliati: così ci sono parsi questi quattro musicisti, e la diretta conseguenza è che il loro AOR venato di rock da arena non colpisce come invece ci ha fatto su disco. Certo, le varie ‘Master Of The Universe’, ‘Cool Running’ e ‘Young, Wild and Free’ sono carine, e colpiscono magari anche chi già le conosceva, ma saper tenere il palco è un’altra cosa. Soffrendo fortemente l’assenza di un tastierista ‘vero’ sul palco e la giornata no del cantante, i giovani svedesi se ne vanno senza strappare quasi un applauso. Un’occasione persa, sicuramente, di cui la band non può che dispiacersi. (Dario Cattaneo)

ONE DESIRE
Secondi in scaletta, molto probabilmente perché la band ha solo un album uscito di recente, salgono sul palco i One Desire, nuova band nata per idea del batterista Ossi Sivula e che annovera tra le proprie fila il giovane e talentuoso André Linman, già cantante per gli Sturm und Drang (autori del capolavoro intitolato ’Graduation day’), Jonas Kuhlberg al basso e Jimmy Westerlund alla chitarra. La band è ben affiatata e André, oltre a cantare e suonare la chitarra, si dà anche molto da fare sul palco. Si parte subito con ’Hurt’, primo singolo/videoclip della band, ed è subito gioia per i fan. Si prosegue a ruota con la bella ’Wherever I’m Dreaming’, passando poi per le belle ’Apologise’ e ’Turn Back Time’, la seconda uno dei miei brani preferiti. Dopo la loro esibizione le copie dell’album allo stand della Frontiers sono andate a ruba, fortunatamente io mi ero già preso la mia che ad oggi è anche autografata!! Li avevo già promossi su disco, li aspettavo dal vivo… promossi anche qui a pieni voti. (Andrea Lami)

CRAZY LIXX
Che lo show dei Crazy Lixxsarebbe stato molto seguito lo si poteva immaginare già dalle prime battute di questa giornata introduttiva del festival: il numero dei commenti positivi captati al banco Frontiers riguardanti il loro nuovo ‘Ruff Justice’ bastava a farci capire che un discreto interesse sta effettivamente crescendo attorno a questi cinque selvaggi di Malmo. E a ragione, ci viene da dire, visto che il già citato ‘Ruff Justice’ è sicuramente un album pensato e maturo, dove la grezzezza animalesca dello sleaze degli esordi si fonde alla perfezione con il class metal di scuola Dokken/ Danger Danger tipico dell’altra parte dell’oceano rispetto la madrepatria. Ed è quindi proprio grazie a belle melodie, un grande carisma e un’energia davvero bestiale che i Crazy Lixx fanno breccia nei cuori dei presenti, senza fare prigionieri. Lo show decolla subito con l’energia di ‘Wild Child’ e ‘Blame It on Love’; canzoni che sembrano dare la scossa anche a quella parte di pubblico che finora era rimasta delusa dallo scadente show dei Palace o che magari avevano trovato (come chi scrive) eccessivamente morbida la proposta venata di pop degli One Desire. Il rock e l’energia invece qui scorrono a fiumi, col risultato che i tre quarti d’ora dedicati alla band svedese scorrono davvero in un non nulla, scanditi praticamente solo dai fragorosi applausi che intervallano le dieci canzone quivi proposte. Un bel momento per l’intero festival che, come una cromatissima macchina americana, comincia solo adesso a far veramente rombare i motori. (Dario Cattaneo)

ECLIPSE
Con il motore della nostra immaginaria macchina ancora su di giri, il morale all’interno dell’arena del Live Club è buona. E non fatichiamo a capire il perché: dopo l’infuocato show dei Crazy Lixx ad attendere un pubblico finalmente caldo ci sono gli Eclipse una band da sempre amata qui sul suolo italico. Il numero di maglietti con teschi e chitarre a coda di rondine incrociate è sbalordente, e la linea di riempimento della zona sotto il palco raggiunge l’agonato traguardo della zona mixer. Condizioni queste ideali per l’hard rock melodico e venato di metal del combo capitanato dal bravo Eric Martensson, che non si fa mancare la possibilità di infliggere subito un paio di colpi ‘di peso’, grazie ad un paio di buoni estratti dal nuovo, spettacolare ‘Monumentum’. La proposta dei Nostri è ben nota al pubblico che ne intona a gran voce i brani, e così la band fa fin da subito la propria porca figura sulle assi del Live Club, saccheggiando a piene mai il trittico degli ultimi tre album, da ‘Bleed And Scream’ in poi insomma. Pur mancando della primordiale e lussuriosa energia sregolata dei Crazy Lixx, a livello di impatto emotivo lo show degli Eclipse non è comunque da meno; e dove con la band precedente erano fame e desiderio a dominare, qui i protagonisti assoluti sono invece la classe e l’eleganza. Chiudono l’ora a disposizione di Martensson e soci le belle ’Runaways’ e ‘Don’t Wanna Say I’m Sorry’, facendo calare il sipario su uno show vissuto e coinvolgente, inferiore solo di una piccola incollatura a quello dei Crazy Lixx. (Dario Cattaneo)

REVOLUION SAINTS
Ci abbiamo messo un po’ a capire se lo show dei Revolution Saints ci è piaciuto o no. Il fatto è che una miscela costituita dal talento di Dean Castronovo, dall’estro di Doug Aldrich e dalla simpatia di Jack Blades non poteva che essere ad altissimo potenziale; peccato però che solamente a tratti la band ha dimostrato di carburare veramente, perdendosi invece su alcuni per fortuna sporadici passaggi, a causa soprattutto di una scarsa coesione (ricordiamo si tratta del primo concerto per questa formazione) e di alcuni problemi in carico al bravo Dean nel gestire lo scomodo doppio ruolo di batterista e cantante. Abbiamo quindi assistito a uno show per così dire ‘a due facce’: da un lato la personalità, il talento e l’assoluta professionalità dei Nostri non ha potuto in alcun modo essere contestata ed ha quindi rappresentato un succoso valore aggiunto per chiunque desse importanza alle performance individuali; dall’altra la già citata mancanza di coesione ha impedito a questo miscela infiammabile di esplodere veramente, facendoci vedere delle fiammate emotive sicuramente inferiori rispetto a quelle delle due band che li hanno preceduti. Jack, Doug e Dean fanno comunque il loro, questo va detto, e – una volta esaurito il loro corto repertorio col nome comune (ricordiamo che ‘Revolution Saints’ è l’unico album della band) – i tre ragazzi affiancati dal validissimo Del Vecchio hanno pure la bella pensata di saccheggiare il repertorio delle rispettive band, proponendoci apprezzatissimi brani di Damn Yankees, Night Ranger e Journey. Che dire… per ora solo ‘buona la prima’, ci chiediamo alla fine di un tour un po’ intensivo cosa saranno in grado di fare questi tre mostri messi assieme… (Dario Cattaneo)

TYKETTO
Aspettavo i Tyketto da troppi anni, direi una trentina visto che seguo la band sin dall’esordio. Eccoli finalmente in carne ed ossa su un palco degno del loro nome. Della formazione originale sono rimasti solo il batterista Michael Clayton Arbeeby ed il grandissimo Danny Vaughn alla voce. Al basso troviamo un Chris Childs (ex Thunder) e la new entry Chris Green alla chitarra. Forti di essere in tour da un po’, la band risulta particolarmente rodata e compatta. Dopo le presentazioni del caso Danny racconta al pubblico presente un po’ di cose, la prima è che in questi giorni cade l’anniversario della pubblicazione di ’Don’t Come Easy’ e che quindi la band suonerà per intero tutto l’album, ma al contrario perché se facessero subito il primo brano, che fu il primo singolo molti, abbandonerebbero lo show in anticipo (risate di tutti N.d.A.). Si parte quindi da ’Sail Away’ e si passa per brani che di questa band hanno fatto la storia come ’Lay Your Body Down’, ’Standing Alone’, senza dimenticare ’Seasons’ o ’Burning Down Inside’ e ’Wings’. Chiude il set l’attesissima ’Forever Young’ prima che la band provi a congedarsi, con scarso successo visto che viene richiamata a gran voce per i bis (’Rescue Me’, ’Dig In Sleep’ e ’Reach’). La palma dei vincitori di questa giornata viene consegnata a loro per tutto quello che hanno buttato sul palco. Vaughn ha ancora voce da vendere. Applausi a scena aperta. (Andrea Lami)

STEELHEART
Guardando la foto che la wikipedia ci ripropone sulla pagina della storica heavy band svedese Steelheart ci si rende davvero conto di quanto passa il tempo… e di quanti danni esso è in grado di causare. Un incipit un po’ amaro il nostro, lo ammettiamo, ma è lo specchio dell’amarezza che ci ha suscitato lo show di Matijevic e compagni, che tra l’altro attendavamo pure con particolare speranza. Non perché non abbiano suonato bene, anzi, e nemmeno perché Matijevic non abbia cantato all’altezza (chiunque abbia assistito al concerto può smentire questa frase…); piuttosto diciamo questo per via di un approccio che non abbiamo capito che la band ha avuto nei confronti della serata, nonchè nei confronti del ruolo da headliner che è loro stato riservato. Una scaletta francamente discutibile, una pesantezza esecutiva apparentemente artefatta e un approccio da rockstar arrogante sono infatti le caratteristiche che ci ricordiamo dello show, uno show che ci dimostra appunto, come sostenuto poco fa, che il tempo per loro è trascorso, e passando ha lasciato non pochi danni. Nonostante alcune punte interessanti (perlopiù brani del passato), alcune trovate divertenti (lo movenze scimmiesche del tarantolato bassista Rev e la inaspettata performance di Matijevic dal bancone del Live Club) e un finale infuocato tutto dedicato alla inossidabile ’We All Die Young’, non ci sentiamo quindi di promuovere per intero il loro show. Eravamo venuti per sentire una band sì metal, ma che con i propri spandex e le capigliature colorate avevano reso grade un periodo e uno stile musicale che ben si sposava con la proposta del festival; ci siamo trovati invece al cospetto di una chiassosa band heavy che suona oscura e pesante, con un intenzione e un approccio sinceramente inadeguato alla serata. Peccato, più per noi e le nostre aspettative che per loro. (Dario Cattaneo)

Giornata II

CRUZH
Secondo giorno che si apre con i Cruzh, altra band svedese all’esordio. I ragazzi, giovanissimi, hanno provato ad infiammare il pubblico presente riscuotendo qualche buon responso. Banalmente si può dire che a loro è toccato il lavoro sporco ed essendo all’esordio non è cosa semplice, però l’hanno svolto con impegno. Il loro album non mi aveva particolarmente impressionato, questo non significa che non era bello, tutt’altro. Il problema, se così si può dire, è che in mezzo ad uscite discografiche di band enormi della stessa etichetta, il loro lavoro era scivolato via, un po’ come è successo anche oggi durante la loro esibizione. I brani sono carini, la band sa star sul palco, a fine esibizione si è stata molto disponibile. Lascio a loro il ruolo di promessa, sperando di poterli ascoltare al più presto con un nuovo lavoro per apprezzarne le migliorate qualità, vista anche la giovanissima età. (Andrea Lami)

LIONVILLE
Non voglio scrivere una castroneria, ma vedere una band italiana per la prima volta su un palco di questo genere, in mezzo a band internazionali, fa sempre piacere. I Lionville sono stati però capaci di realizzare questa impresa. E bisogna ammettere che in mezzo a tante band con un peso specifico davvero elevato, i nostri connazionali hanno fatto davvero un’ottima figura. La band è realmente solida e coesa, le canzoni composte sono proprio belle e ricercate. Lars Safsund (Work Of Art) alla voce da spettacolo. Insomma se bisogna fare I complimenti alla band per quello che ha fatto, bisogna farli altrettanto alla Frontiers per essersi accorta di loro, per averli messi sotto contratto e per averli inseriti nella bill. Il picco della loro esibizione è da considerarsi con l’esecuzione di ’Bring Me Back Our Love’ e ’I’ll Wait’ due brani pazzeschi che non stancano mai. Grazie ai Lionville, dopo l’ormai onnipresente Alessandro Del Vecchio, ci avete reso fieri di essere italiani, se poi vogliamo entrare nello specifico, vista la bandiera genovese che è arrivata sul palco e che è stata sventolata da Lars alle spalle di Stefano, mi avete reso fiero di essere italiano/ligure. (Andrea Lami)

ADRENALINE RUSH
Tornano sul palco del Frontiers Rock Festival gli Adrenaline Rush. I ragazzi si erano esibiti nel secondo giorno della mitica prima edizione del festival, recuperando qualche consenso sia per la bellezza della loro cantante Tave Wanning, sia per le canzoni che in quell’occasione di avevano proposto. Forti di un album appena uscito caratterizzato da suoni più pesanti, sono stati in oggi chiamati ad esibirsi e lo fanno con la stessa gioia ed adrenalina di tre anni fa ma con una consistenza di band maggiore. Il vantaggio/svantaggio di questa band è tutto racchiuso nella bellezza di Tave. Perché questa ragazza attira su di se gli sguardi, ma anche le critiche, di tutti i presenti. Non si capisce bene se siamo di fronte al ’la volpe e l’uva’, quindi solo invidia pura, oppure se le critiche siano fondate. Il mio modesto parere è che questa band sta facendo -con fatica- la sua strada, senza tralasciare interessanti collaborazioni che ne aumentano il valore specifico. Per esempio nell’ultimo album c’è lo zampino di Erik degli Eclipse. Detto questo l’esibizione fila via velocemente, sintomo questo che alla fine le canzoni non annoiano. Un altro mattone è stato messo sulla carriera di questa band che ormai mi sento di promuovere da promessa a realtà, sperando che il loro cammino possa proseguire. A mio giudizio hanno tutte le carte in regola per fare il grande salto. Ci vediamo tra tre anni alla prossima edizione del Frontiers Rock Festival che facendo due conti sarà la numero VIII. (Andrea Lami)

KEE MARCELLO BAND
Difficilissimo fare un report/recensione per un artista che mi ha letteralmente fatto innamorare di un genere. Kee Marcello, per chi non lo sapesse, unitamente a pochi altri, è il mio musicista preferito, ma visto il rapporto che sono riuscito a creare è diventato un amico. Partendo da questo, analizzerò con la maggior cattiveria possibile la sua esibizione. La sua band è composta da Ken Sandlin (Alien) al basso, Jonny Scaramanga (chitarra) e Darby Todd (batteria) tre musicisti che garantiscono un’ottima qualità. Visto che mi è capitato di vedere Kee live più volte come ospite, c’è da premettere che già il fatto di suonare con una band alle spalle rende l’esibizione migliore. La scaletta comprende brani estratti dal suo ultimo lavoro (’Scaling Up’) ma c’è spazio anche per due canzoni degli Easy Action e, come è giusto che sia, per alcuni brani estratti dalla discografia degli Europe. La voce di Kee è migliorata parecchio, invece il suo modo di suonare è sempre eccezionale. Lo show è pieno di picchi di altissima qualità e questi highlight lo rendono uno dei momenti migliori della giornata odierna (ops mi è scappato un giudizio da superfan, perdonatemi). Non serve dire che durante l’esecuzione dei brani degli Europe il pubblico è letteralmente impazzito ed ha iniziato a cantare e ballare. Kee Marcello è finalmente tornato anche in Italia a calcare – con merito – i palchi che gli spettano e questa è già una splendida news per noi. Ora non rimane che continuare a seguire questo artista che è stato capace di infiammare i palchi di tutto il mondo e che ha lasciato un segno indelebile a tanti chitarristi. (Andrea Lami)

UNRULY CHILD
Problemi tecnici di trasporto ci costringono ad arrivare leggermente in ritardo sull’inizio del concerto degli attesissimi Unruly Child, costringendoci contro la nostra volontà a perderci l’inizio dello show e le prime cinque canzoni. Un vero peccato, soprattutto perché eravamo molto curiosi di vedere l’ingresso dalla cantante Marcie Free, un tempo Mark Free. La front(wo)man transgender attira infatti per forza di cosa sguardi e commenti, ma pare essere in possesso della sicurezza giusta per non curarsene e per fare quello che sa fare meglio: tenere un palco per la durata di uno show. Anche se il pubblico parlerà a fine show di una partenza non proprio esaltantissima, ora del nostro arrivo la band ha già scaldato i motori e sta girando a pieni giri e le belle ’On The Rise’ e ’Long Haired Woman’ ci accolgono con grazia e ci mettono subito a nostro agio. Lo show continua sui binari giusti: Marcie Free è decisamente una presenza, sia vocale che carismatica, piacevole, e la band che l’accompagna mostra bene di saper fare il proprio lavoro. In un buon crescendo, la stravagante artista ci propone brani via via più belli e conosciuti, chiudendo virtualmente il sipario con gli encore When Love Is Gone e Who Cries Now. Peccato non averlo visto tutto, ma bello show comunque.

L.A. GUNS
Dopo il piacevole show degli Unruly Child arriva il momento che aspettavamo di più di questa seconda giornata di festival, i neo(ri)formati L.A.Guns con Tracy Guns e Phil Lewis. E mai attesa poteva venire meglio premiata, ci viene da dire, visto lo show cui assisteremo sarà infatti una vera bomba, in assoluto il migliore di entrambi le giornate. Non c’è nemmeno il tempo di vedere le luci accendersi e Michael Grant spegnere l’immancabile mozzicone di sigaretta trai denti che già ’No Mercy’ e ’Electric Gipsy’ hanno fatto il loro lavoro: ci hanno massacrato. Quello che ci investe con inaudita potenza dalle assi del live club è infatti una miscela esplosiva di street, sleaze, metal e hard rock: tutto il meglio praticamente di anni di energia, sudore, sesso e passione che ciascuno di noi ha riversato, in tempi e modalità diversi, in questa musica. ‘Killing Machine’ fa cantare praticamente tutta la venue, e già solo alla terza canzone cominciamo a sentire i primi fan rimanere senza voce. Dalla successiva ‘Over The Edge’ inizia lo show, incredibile, di quel brutto ceffo di Tracii Guns, che attacca l’intro del brano usando addirittura… un archetto da violino! Phil Lewis, mai secondo a nessuno per carisma e presenza strappa di peso gli sguardi dal grandissimo chitarrista grazie alla successiva accoppiata (da urlo) ‘Bitch Is Back’ e ‘Sex Action’, ma è solo questione di tempo prima che il compagno si riprenda di diritto applausi e urla, grazie ad alcune azzeccatissime parti soliste suonate in coppia con il sodale Grant. L’energia profusa è incredibile, e il livello dello show non fa che salire, raggiungendo livelli di coinvolgimento che abbiamo sentito solo in pochi concerti, delle centinaia cui abbiamo presenziato. E’ dispiacere vero quello che proviamo quando ‘The Ballad Of Jayne’ e ‘Rip And Tears’ fanno cadere le loro ultime note sui ronzanti monitor del Live Club: la festa è finita. Ma, lo ricordiamo, per fortuna un nuovo disco pare sia in arrivo…

TNT
Pur sapendo che uno schiaffo come quello degli L.A.Guns non ci sarebbe più arrivato, è con grande curiosità che abbiamo assistito allo show dei TNT. La reunion con Harnell ha donato infatti quel po’ di pepe che serviva per rendere il tutto molto interessante, e così è con grande attenzione che guardiamo salire sul palco l’allampanato chitarrista Le Tekro e il dotatissimo singer americano. Neanche il tempo di far finire ‘Give Me A Sign’ e ‘As Far The Eyes Can See’ e la nostra curiosità di è trasformata in vera sorpresa: come fa Harnell a cantare così alto? La potenza vocale del Nostro è incredibile, e per tutto lo show lo vedremo rivaleggiare col compagno Le Tekro per chi prende più applausi. Ma, al di là delle performance individuali, è la scaletta a portarsi definitivamente a casa la serata: She Needs Me’ e ‘Desperate Night’ sono il testamento e l’eredità di un sound che non ha mai abbandonato i nostri cuori, ‘Listen to Your Heart’ fa ancora cantare tutti anche dopo otto ore di concerti, e ‘10,000 Lovers (In One)’ e ‘Everyone’s a Star’ non possono che rivelarsi, come ci aspettavamo, un grandissimo finale. In fin dei conti, non possiamo che essere soddisfatti di come sia finita questa seconda giornata di festival: iniziata forse in maniera più freddina rispetto alla prima (Palace a parte), si è conclusa però nel migliore dei modi, mandando a casa tutti col sorriso sulle labbra.

Foto di Andrea Lami

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