Skold – Dead God

Il 10/05/2022, di .

Gruppo: Skold

Titolo Album: Dead God

Genere:

Durata: 45 min.

Etichetta: Cleopatra Records

75

“Non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente.”
Così scrive Khaled Hosseini nel bellissimo ‘Il Cacciatore Di Aquiloni’ (2003), e così si può descrivere ‘Dead God’, EP di vent’anni fa mai pubblicato dal polistrumentista Tim Skold il quale, se state leggendo questa recensione, della sua longeva carriera sicuramente ricorderete nei Marilyn Manson tra il 2003 ed il 2007. Se, infatti, dell’originale ‘Dead God’ del 2002, il fatto che i brani derubati sul tour bus dell’artista vennero poi messi in vendita online (erano i tempi di Napster e compagnia “bella”), facendo tramontare il tutto (a ciò sicuramente influì anche l’entrata nella band del Reverendo), oggi, grazie alla perseveranza di Skold, l’album vede la sua definitiva luce, completo delle sue dieci canzoni, chiaramente rimasterizzate dai file originali.
E, come da frase introduttiva, il fattore principale che ruota attorno sia a questa recensione che al prodotto in questione, è che suona dannatamente attuale, nonostante sia ventenne, definito da un sodalizio tra chitarre ed elettronica davvero funzionale. Si comincia con ‘Don’t Pray For Me’, ammiccante nelle sue tinte Glam a mescolarsi con la matrice Industrial da sempre cara al Nostro, in un insieme che ricorda quanto proposto dai Murderdolls di un certo Joey Jordison nel loro debutto ‘Beyond The Valley Of The Murderdolls’ (fatalità, anch’esso del 2002). La sofferta ‘The Point’ ci trascina alla danzereccia titletrack, che tra Industrial, Glam e Punk concede più di un richiamo a Marilyn Manson (‘Disposable Teens’).
‘If’, con uno spirito simil Grunge, smorza toni e ritmi, donando poliedricità al disco, pedinata dalla sua antagonista ‘Believe’, dinamica nelle ritmiche e compatta nei suoi tre minuti e mezzo. Personalmente, con ‘Burn’ si raggiunge l’apice di ‘Dead God’: un Industrial senza freni, che invita al pogo più sfrenato, a ricordare i Nine Inch Nails di ‘Wish’ o i My Life With The Thrill Kill Kult di ‘After The Flesh’ (dalla colonna sonora del film ‘Il Corvo’ [1993]). Sintetizzatori graffianti e la solita rabbia vocale determinano (giustamente) ‘I Hate’, carina ma, nella sua breve durata, priva di quel salto di qualità che la faccia uscire dalla sua linearità strutturale, mentre la semi ballad ‘Consequence’, dai richiami Alternative, è impreziosita da un pathos strumentale governato dai sintetizzatori (da 03:27 a 03:54), che porta ai due ritornelli conclusivi. Ci avviamo verso l’epilogo con ‘Don’t Ask Me’, dove egregio è il lavoro eseguito nelle strofe: se, infatti, la prima e la terza sono prettamente elettroniche, quasi ad introdurre ed a chiudere dignitosamente il pezzo, efficiente è la collaborazione tra chitarre e synth nella seconda; il tutto a coronare un ritornello, però, troppo prevedibile.
Poco male, perchè ‘Dead God’ ci saluta con quella che è la sua ballad, dal titolo ‘Too Weird’, struggente nel tappeto creato dai synth e dalla voce di Skold, e ben supportata da chitarre mai invadenti: personalmente, non si poteva chiedere miglior finale. In conclusione, come scritto ad inizio recensione, la vera magia di questo lavoro, riportato alla luce vent’anni dopo, sta nel risultare attuale allora come oggi, e credo venga naturale chiedersi fin dove sarebbe potuto arrivare Tim Skold con il suo genio ed estro, se ‘Dead God’ fosse uscito nel 2002.
Alla pari dell’allora tanto acclamato Manson? Addirittura oltre? Non trovando risposta, possiamo nel frattempo rallegrarci per alcuni rumors (tra cui una foto pubblicata sul profilo Instagram di Skold il ventidue aprile scorso) che, a quanto pare, confermerebbero una nuova collaborazione tra i due.

Tracklist

01. Don’t Pray For Me
02. The Point
03. Dead God
04. If
05. Believe
06. Burn
07. I Hate
08. Consequence
09. Don’t Ask Me
10. Too Weird

Lineup

Tim Skold: vocals, synthesizers, guitars, bass, drums