Lamb Of God – Omens

Il 07/11/2022, di .

Gruppo: Lamb Of God

Titolo Album: Omens

Genere: , ,

Durata: 41 min.

Etichetta: Nuclear Blast

80

Nono album per gli alfieri di quell’ondata di nuovo metal che dall’inizio del nuovo millennio ha travolto gli Stati Uniti d’America e, da lì, l’intero mondo occidentale, genericamente nota come NWOAHM: si tratta di un’indicazione generica, non di genere, riferita forse ad un movimento musicale non pianificato, spontaneo, che abbraccia diverse tendenze sonore. In particolare, quella dei Lamb Of God trova radici specifiche nel suono dei Pantera, nonostante i circa duemila chilometri che separano le rispettive città di origine, non molti se si considera l’estensione geografica del Paese, irrisori rispetto all’influenza trasversale e internazionale del gruppo dei fratelli Abbott. Il disco inizia in media res, con un’esplosiva ‘Nevermore’, da cui emergono alcuni tratti presenti nell’intero lavoro e nell’intera discografia della band: una grande dose di groove, riff possenti e tritaossa, lo stile canoro, ormai inconfondibile, di Randy Blythe, un’enorme dose di rabbia ed energia e tanta musicalità. Ci confrontiamo con un metal sui generis, contaminato dall’hardcore più metallico: ne è esempio ‘Vanishing’, brano piuttosto elaborato, dalla spiccata attitudine punk, anthemico e trascinante. Un piglio veloce e aggressivo caratterizza la successiva ‘To The Grave’, dal riff accattivante. La title-track rappresenta uno dei momenti migliori dell’album, una dichiarazione d’intenti, un grido di battaglia accompagnato da un ritornello irresistibile. Le chitarre sono sempre ben affilate, ma soprattutto ben dosate: la parte ritmica ha senz’altro maggiore voce e impatto sull’economia del disco, mentre la parte solistica arricchisce l’ascolto senza imporsi o strafare, con assolo brevi ma intensi. Dopo l’aggressione sonora di ‘Denial Mechanism’, c’è spazio per una sorta di ballad finale, traccia piuttosto cupa e introspettiva che, muovendo da un arpeggio iniziale, evolve in un brano dai tempi medi, potente e toccante, per poi sfociare in una cavalcata hardcore/thrash introducendo breakdown che portano ad una degna conclusione.
Band di tutto rispetto, i Lamb Of God meritano l’alta considerazione di cui godono e che riescono a mantenere viva anche in questo episodio.

di Stefano Ricco

Non c’è mai un attimo di pace e riposo per molte band metal… e di questa frase fatta possiamo dire che i Lamb of God se ne siano fatti più o meno una bandiera. Dall’arresto del frontman Randy Blythe nel 2012 ad oggi – 2022 – la loro carriera è stata infatti più movimentata delle montagne russe, come dimostra il tutto sommato esiguo numero di uscite discografiche pubblicate (solo tre da ‘Resolution’, appunto). Però, se è vero che “ciò che non uccide, fortifica”, potremmo anche sostenere che la band a questo punto possa essere quasi indistruttibile. ‘VII: Sturm und Drag’ prima e l’omonimo dopo, uscito dopo l’abbandono dell’iconico batterista Adler, ci presentano infatti una band mai buttata a terra, che di lividi e colpi sulle ossa ne ha presi molti, ma è in grado di infliggerne di più, a calcioni e schiaffazzi.
Schiaffazzi che – manco a dirlo – sono ben presenti pure qui. ‘Nevermore’ attacca subito alla gola, senza lungaggini o sinistri intro alla ‘Memento Mori’… il riff iniziale è secco, e su una base quanto mai tambureggiante di Cruz cominciano a tessersi le basi per una vera e propria sfuriata death, che ci concretizza dopo nemmeno un minuto in corrispondenza del ferocissimo ritornello. ‘Vanishing’ mostra la stessa pesantezza su un groove maggiore, e si fa apprezzare per il velocissimo breakdown batteristico sulla prima strofa, roba veramente da torcersi il collo. ‘To The Grave’ mantiene alto il livello di pestaggio dell’album, ma un primo colpo da KO ci arriva dalla successiva ‘Ditch’ violentissima anche nelle liriche e non solo nelle vorticose ritmiche. La title-track ‘Omens’ è più varia, e dosa in maniera diversa gli input usati fino a questo momento, propendendo però più verso il lato groovy e thrashy della proposta che su quello più tipicamente death o metalcore. ‘Gomorrah’ ci da un po’ di respiro, mostrandosi arcigna e nervosa, ma senza l’urgenza e l’incuranza dei primi quattro brani, mentre si torna allo stile più incompromissorio con ‘III Designs’, altra bordata metalcore da ossa rotte. ‘Grayscale’, forte del suo oltre milione di ascolti su Spotify si pone come potenziale nuovo cavallo di battaglia per i concerti dei nostri; mentre a chiudere l’album sono la parossistica e dall’attitudine punk ‘Denial Mechanism’ (probabilmente il brano più veloce in scaletta) e la più lunga e umorale ‘September Song’, ultimi esplosivi proiettili in un caricatore svuotato con ferocia contro l’inerme ascoltatore.
Concreti, violenti, dritti al punto. I Lamb Of God lo erano prima dell’inizio delle loro vicissitudini negli ultimi dieci anni e lo sono ancora adesso, incuranti delle botte tirategli da vita e carriera. Onore al merito per chi la testa non l’ha mai abbassata, e per essere riusciti a tenere un’intensità in linea con gli esordi fino a questo punto della loro carriera. Immutabili senza essere statici, sono chiaramente una band nata per durare.

di Dario Cattaneo

Ascolta il disco su Spotify

Tracklist

01. Nevermore
0
2. Vanishing
03. To The Grave
0
4. Ditch
05. Omens
06. Gomorrah
07. Ill Designs
08. Grayscale
09. Denial Mechanism
10. September Song

Lineup

David Randall Blythe: voce
Mark Morton: chitarra
Willie Adler: chitarra
John Campbell: basso
Art Cruz: batteria