Satyricon&Munch – Munchmuseet 29 aprile – 28 agosto 2022

Il 07/10/2022, di .

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Satyricon&Munch – Munchmuseet 29 aprile – 28 agosto 2022

Con l’ultima domenica di agosto si chiude l’esibizione Satyricon&Munch presso il Museo Munch di Oslo. Nelle settimane antecedenti all’inaugurazione l’allestimento è stato abbastanza pubblicizzato, con fitte politiche di previews sui social, sia sui canali della storica band norvegese che su quelli propri del museo.

In termini pragmatici, l’evento celebrato come il matrimonio dell’arte del pittore nazionale Edvard Munch con quella della punta di diamante della scena black norvegese (dopotutto dalla dipartita di Aarseth i soli che hanno tenuto testa ai Satyricon sono gli Emperor che tuttavia non pubblicano dischi da oltre vent’anni) si traduce nella composizione di circa 50 minuti di sottofondo musicale per una selezione dei lavori di Munch in uno spazio dedicato al decimo piano del Munchmuseet.
Era da svariati anni che volevo visitare Oslo, per ragioni in larga parte slegate all’importanza storica nella genesi della scena black perché in finale, esclusa la tappa obbligata all’ex Helvete ora Noseblod Records, la capitale norvegese è lontana anni luce dall’estetica del genere cui ha dato i natali: colorata, ipermoderna, luminosa, multietnica. Se è per questo è molto più black metal il paese in cui vivo, sui Monti Simbruini, al confine con l’Abruzzo, con i suoi boschi immensi affogati in banchi di nebbia costanti da settembre a marzo e le sue costruzioni medioevali che di notte si stagliano nel chiaro di luna come spettri di divinità decomposte nell’oblio. Ciononostante ho voluto cogliere l’occasione della mostra per visitare il Munchmuseet.
Il Munchmuseet è un palazzo di 13 piani, affacciato sull’arcipelago, la cui forma ricorda un gigantesco freno a mano tirato. Pagato l’ingresso è possibile visitare la totalità delle mostre allestite sui vari livelli. L’esibizione Satyricon&Munch mi attende al termine del muto viaggio in ascensore fino ai piani alti.
Adesso, in teoria, ci si aspetta che vi parli della musica, delle tele, di come erano organizzati gli spazi. Del tutto lecito, per carità, però sarebbe come descrivere un essere umano prendendo in esame i singoli apparati: ossa, muscoli, organi interni, tralasciando la complessità dell’insieme. La musica è concepita per funzionare in loop, in modo abbastanza intelligente da saper mantenere l’effetto di continuità esperienziale in qualsiasi momento si decide di entrare.
Fendo un capannello di visitatori, in piedi davanti alla riproduzione della ‘Funeral March’ nelle stampe promozionali, diretto al rettangolo buio dell’ingresso. L’attimo dopo mi ritrovo nel nero assoluto, accompagnato da un tam tam tribale, in pieno stile Neurosis, tra i tanti snodi stilistici della suite strumentale dalle oscure tinte ambient  firmata Satyr&Frost.
Dopo pochi passi nel buio cosmico ecco comparire le tele, retroilluminate, sospese nell’assenza di luci nello spazio circostante. La sensazione di vagare nel nulla è accentuata dal riverbero dei synth ipnotici che, rifrazionati nella risacca di onde sonore, sembrano concepiti per incastrarsi nelle pennellate convulse di Munch. La raccolta ripropone opere maggiori e minori, tra cui pezzi storici come ‘Vampire’ e ‘Anxiety’ (per ammirare ‘L’Urlo’ vi dovete recare pochi piani sotto nella sala specifica dove le tre versioni vengono esposte a rotazione ogni 60 minuti). La struttura strumentale in sottofondo tesse una ragnatela di fraseggi, spigolosi nell’asprezza tipica del songwriting black, in spirali di pathos in crescendo attorno alle singole immagini incastrate nella monocromia nera come frammenti onirici, tritati dal drumming ossessivo di Frost. Un po’ dispiace per l’assenza di vocals, data la potenza espressiva di Satyr ma le linee melodiche di chitarre e synth compensano in modo egregio. Lo spazio, con la musica murata in essa, è come se gridasse esiste solo la realtà interna.
Al termine del breve percorso ci si sente spaesati, naufraghi nella realtà concreta, abbagliati dal panorama oltre le vetrate. La sala in finale è piccolina, di fatto la selezione dei lavori è tutto sommato contenuta. Il che, da un lato dispiace perché di base tutto l’allestimento punta all’esperienza di identificazione col genio pittorico di Munch, ma dall’altro comporta il sollievo della risalita dal magma straniante dei sogni inquieti.

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